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02/12/20

Uno degli angoli più suggestivi di Roma: San Giovanni in Oleo, duemila anni di storia

 


San Giovanni in Oleo, la memoria dell’apostolo amato da Gesù

 

A Roma, si sa, si parla sempre di Pietro e di Paolo. Ma si ignora spesso l’importante passaggio di quelli che furono gli altri apostoli di Gesù, a cominciare di quelli più importanti: gli Evangelisti. Pochi romani saprebbero oggi rispondere alla domanda se risulta un passaggio a Roma di San Giovanni, l’Evangelista, quello che i Vangeli definiscono il prediletto da Gesù.

Eppure questa presenza non solo è documentata. Ma è anche testimoniata da un culto bi-millenario, mai decaduto.

Di Giovanni si ricorda l’attività di predicatore instancabile, dopo la morte di Gesù, e soprattutto della sua presenza a Patmos, nell’Egeo, dove scriverà le terribili ed enigmatiche visioni contenute nell’Apocalisse. Ma tra queste due fasi, Giovanni transitò anche a Roma.

E’ Tertulliano a raccontarci che nell’anno 89 d.C., mentre Giovanni si trovava ad Efeso, si scatenò una nuova ondata di persecuzioni nei confronti dei cristiani ad opera dell'imperatore Domiziano. Tertulliano racconta che Giovanni venne arrestato e condotto a Roma, quindi torturato nei pressi di Porta Latina e infine condannato a morte.

Di lì a poco questa pena però verrà commutata in quella dell'esilio nell'isola di Patmos.

Sul luogo dove venne sottoposto alla tortura dell’olio bollente venne costruita la chiesa di San Giovanni in Oleo. Non si tratta anzi, di una vera e propria chiesa, ma di un piccolissimo oratorio,  un tempietto  a pianta ottagonale, che sorge nei pressi della Porta Latina.  Nelle forme attuali fu costruito all’inizio del ‘500 su commissione del vescovo francese Benoit Adam, su un precedente martiryum costruito in epoca paleocristiana. Il piccolo edificio fu poi restaurato dal grande Borromini nel 1657 per incarico del cardinale Francesco Paolucci che intendeva trasformarlo in una cappella per la sua potente famiglia.

E’ opportuno riflettere sul fatto che Giovanni, secondo quanto tramandatoci dalle scritture e le fonti antiche fu l’unico degli apostoli che non morì subendo il martirio, ma per morte naturale, in età veneranda. 


Anche in questo senso , egli occupa dunque un posto a sé nella storia del Cristianesimo. Giovanni, come abbiamo detto, è il prediletto di Gesù e fratello di Giacomo il Maggiore. Dopo la resurrezione di Gesù è il primo, insieme a Pietro, a ricevere da Maria Maddalena l’annuncio del sepolcro vuoto, ed è il primo a giungervi, entrandovi poi dopo Pietro.


Dopo l’ascesa al cielo di Gesù,
  gli Atti degli Apostoli ce lo mostrano accanto a Pietro in occasione della guarigione dello storpio al Tempio di Gerusalemme e poi nel discorso al Sinedrio, dopo il quale fu catturato e poi con Pietro incarcerato.

Sempre insieme a Pietro si reca in Samaria. Nell’anno 53 d.C. Giovanni si trova ancora a Gerusalemme: Paolo infatti lo nomina (Gal 2, 9) insieme a Pietro e a Giacomo come una delle colonne della Chiesa. Ma verso il 57 Paolo nomina a Gerusalemme solo Giacomo il Minore: dunque Giovanni non c’è più, trasferitosi a Efeso, come concordemente testimoniano le fonti antiche, fra le quali basterà citare, per tutte, Ireneo (Contro le eresie, III, 3, 4): La Chiesa di Efeso, che Paolo fondò e in cui Giovanni rimase fino all’epoca di Traiano, è testimone veritiera della tradizione degli apostoli.  La permanenza di Giovanni a Efeso, dove scrive il Vangelo (secondo quanto afferma ancora Ireneo), è interrotta, come le stesse fonti antiche ci dicono, dalla persecuzione subita sotto Domiziano (imperatore dall’81 al 96), probabilmente verso l’anno 95. Si innesta qui la tradizione, riportata anche da molti autori antichi, del suo viaggio a Roma e della sua condanna a morte in una giara di terracotta colma di olio bollente, dalla quale l’ormai vecchio apostolo uscì illeso, salvo dalle bruciature, suscitando lo sconcerto dei suoi aguzzini. 

E vediamo qui quali sono le fonti: la fonte più antica che ce ne parla è Tertulliano, intorno all’anno 200 d.C.: Se poi vai in Italia, trovi Roma, da dove possiamo attingere anche noi l’autorità degli apostoli. Quanto è felice quella Chiesa, alla quale gli apostoli profusero tutta intera la dottrina insieme con il loro sangue, dove Pietro è configurato al Signore nella passione, dove Paolo è incoronato della stessa morte di Giovanni il Battista, dove l’apostolo Giovanni, immerso senza patirne offesa in olio bollente, è condannato all’esilio in un’isola (La prescrizione contro gli eretici, 36).


Un’altra testimonianza è quella di
 Girolamo, che alla fine del IV secolo scrive: Giovanni terminò la sua propria vita con una morte naturale. Ma se si leggono le storie ecclesiastiche apprendiamo che anch’egli fu messo, a causa della sua testimonianza, in una caldaia d’olio bollente, da cui uscì, quale atleta, per ricevere la corona di Cristo, e subito dopo venne relegato nell’isola di Patmos. Vedremo allora che non gli mancò il coraggio del martirio e che egli bevve il calice della testimonianza, uguale a quello che bevvero i tre fanciulli nella fornace di fuoco, anche se il persecutore non fece effondere il suo sangue (Commento al Vangelo secondo Matteo, 20, 22). Alle antiche fonti cristiane sul martirio di Giovanni a Roma si può poi aggiungere con buona attendibilità anche l’allusione del pagano Giovenale (inizi del II secolo), che, nella IV Satira, critica Domiziano raccontando l’episodio della convocazione del Senato per decidere che fare di un enorme pesce, venuto da lontano e portato all’imperatore, che viene destinato a essere cotto in una profonda padella.

Come nello stile delle Satire, il pesce sarebbe appunto Giovanni, il povero pazzo cristiano.  E' una ipotesi affascinante frutto dello studio pubblicato recentemente da una ricercatrice italiana, Ilaria Ramelli.

Se la ipotesi fosse giusta, ci troveremmo di fronte alla clamorosa conferma da parte di una fonte pagana, di una lunga tradizione prima orale e poi scritta, tutta cristiana. Il che ancora una volta avvalorerebbe la tesi che alla base di testimonianze così antiche ci sono sempre riscontri reali, storici, effettivi.


Tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e Segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, Roma, 2013, 2018

04/08/18

Riemerge lungo l'Appia Antica un "Autogrill" di 2000 anni fa.


Vengono alla luce i resti di un tratto di strada lungo 14 metri. Costeggiava un piccolo centro abitato in cui si svolgevano anche attività artigianali. Era una stazione di sosta e commercio, abbandonata 20 secoli fa, lungo la "regina viarum". 

L'ipotesi degli studiosi: è l'antico insediamento di Nuceriola. Era una stazione di sosta e di commercio: un luogo dove rifocillare i cavalli, riposarsi e poi ripartire. Insomma, un qualcosa di simile alle locande o agli autogrill di oggi. 

Solo che questo sito ha duemila anni e insiste sulla Via Appia, la "Regina viarum" dell'impero romano. 

È uno scavo ricco di sorprese quello portato avanti a Benevento, tra le campagne di Masseria Grasso. 

L'equipe di archeologi dell'università di Salerno, guidati da Alfonso Santoriello, docente di Archeologia del paesaggio, ha individuato un antico tratto di strada in terra battuta lungo 14 metri, bordato da cordoli e databile a partire dal terzo secolo avanti Cristo

"Sicuramente è un pezzo dell'Appia antica - dichiara Santoriello - Costeggiava un abitato, all'interno del quale abbiamo rinvenuto un importante quartiere artigianale che si estende per 400 metri quadrati, databile tra il primo secolo avanti e il primo dopo Cristo". 

L'area, riportata in parte alla luce già nel 2016, è costituita da cinque ambienti, contenenti due fornaci (numero che potrebbe aumentare).

Era qui che si produceva vasellame a "pareti sottili", una varietà molto raffinata. 

Gli ultimi ritrovamenti, risalenti a pochi giorni fa, hanno individuato anche un canale per il deflusso delle acque, essenziali per il funzionamento dell'impianto artigianale, accanto a fosse con materiale di scarico. Hanno restituito vasi, brocche, piatti impilati. 

Si tratta di reperti che, secondo gli esperti, lascerebbero intendere quanto il sito non fosse soltanto una "statio": molto probabilmente ci troviamo in un piccolo e fiorente nucleo abitativo, poi abbandonato dopo il 50. L'ipotesi più suggestiva è che lo scavo sia ciò che rimane di Nuceriola, scalo principale dell'Appia prima di Beneventum, distante quattro miglia. L'idea è suffragata anche dalla "Tabula Peutingeriana", copia medievale di una mappa di antiche vie consolari romane: i luoghi sembrano coincidere.


06/05/18

Segna la data: il 13 maggio arriva l'APPIA-DAY.



Far convergere gli interessi diffusi presenti lungo il tracciato dell'Appia, da Roma a Brindisi, per rendere la regina viarum oltre che un attrattore culturale una direttrice di sviluppo in chiave turistica, rilanciando cosi' l'economia di questi luoghi nell'ottica di nuovo approccio per la crescita delle nostre citta'.

E' l'obiettivo di AppiaNet, una rete che vuole comporre un progetto contemporaneo di Appia Antica forte del contributo di tutti quelli che se ne occupano e se ne prendono cura: il parco archeologico, le universita' e la ricerca, le associazioni ambientaliste e quelle di tutela, i Comuni e le Regioni, le imprese del territorio.

L'iniziativa - frutto della collaborazione tra Legambiente, CoopCulture e Touring Club Italiano - e' stata presentata  presso la Reggia di Caserta nel corso del workshop 'Verso il Forum Appia' che parte non a caso da Caserta, proprio per raccontare come il 'sistema' Appia coinvolge non soltanto Roma ma tante citta' del Centro e Sud Italia - vedra' convergere intorno all'antica strada romana associazioni, imprese, cooperative e borghi storici per creare una rete di relazione sulla quale costruire un calendario articolato di iniziative durante tutto l'arco dell'anno.

Il tutto nello spirito della terza edizione dell'AppiaDay il prossimo 13 maggio: una giornata di festa per muoversi senza auto tra il primo miglio dell'Appia e Villa dei Quintili, e poi apertura straordinaria e gratuita dei monumenti tra Roma e Brindisi e tanti eventi in programma - passeggiate, trekking, ciclotour, musica e spettacoli - per vivere l'archeologia e il territorio a piedi e in bici.


'L'Appia Day e gli oltre duecento eventi ad esso collegati - spiega Alberto Fiorillo, responsabile aree urbane di Legambiente - hanno l'obiettivo di unire idealmente le tante citta' e comunita' locali che si snodano lungo questo antico tracciato per chiederne la pedonalizzazione per l'intero anno, a partire dalla citta' di Roma, cosi' da poterla finalmente considerare la porta d'accesso a una nuova idea di citta'.

Vogliamo mettere in atto quella che fu l'idea dell'intellettuale Antonio Cederna che piu' di tutti si e' battuto per questa visione, superando la vecchia concezione dei monumenti antichi chiusi nel recinto e proporre il patrimonio archeologico come principio regolatore dell'intero sistema urbano, in un inedito intreccio di archeologia e urbanistica'.

L'Appia Day nelle passate due edizioni ha visto la partecipazione di oltre 100 mila persone. Una giornata in cui Roma e i romani, in modo festoso si riappropriano del fascino della strada piu' bella del mondo e che insieme a Legambiente e le altre associazioni chiedono con forza la pedonalizzazione della Regina Viarum e costruire insieme la Capitale e il Paese di domani.


Con loro tantissimi cittadini dei diversi comuni del centro e sud Italia attraversati dall'antica arteria. Nel corso del Forum Appia di Caserta sono stati presentati ufficialmente gli appuntamenti dell'Appia Day e della giornata del 13 maggio, il cui programma completo e' disponibile sul sito www.appiaday.it.

A Roma e' prevista un'anteprima gia' oggi, domenica 6 maggio, con una passeggiata da Porta Portese a Ponte Sisto, promossa con la collaborazione del Comitato Mura Latine, Inarch Lazio e DIAP La Sapienza.

Una camminata di circa tre ore, durante la quale scoprire la storia e il fascino millenario che ancora conservano le strade romane.

 Sabato 12 maggio, invece, alla vigilia dell'Appia Day, per gli amanti delle due ruote da non perdere il GRAB BIKE: appuntamento alle ore 10.00 presso l'Arco di Costantino da dove partira' una pedalata di 45 km pensata per scoprire il GRAB, il Grande Raccordo Anulare delle Bici della Capitale.

Il progetto di questa ciclovia - nato dal basso, famoso a livello internazionale e gia' finanziato dallo Stato - ha proprio l'Appia Antica tra i suoi tratti piu' pregiati e molto del successo dovuto all'idea del GRAB risiede nella pedonalizzazione della Regina Viarum, elemento necessario ad assicurare all'anello ciclabile quella qualita' e quella bellezza che lo hanno reso famoso nel mondo. Per info e prenotazioni e' possibile collegarsi al link: https://www.eventbrite.it/e/biglietti-grab-bike-45190070718.

Nel tratto romano della consolare, costruita nel 312 a.C., cuore dell'Appia Day, il 13 maggio saranno oltre 150 gli eventi in programma con l'apertura straordinaria e l'ingresso gratuito in aree archeologiche, monumenti e musei pubblici che costeggiano il cammino dell'Appia.


Un modo per ribadire la necessita' di tutelare questi spazi dall'invasione delle auto e dello smog, per restituire gli spazi alla collettivita' e per rilanciare l'importanza di una mobilita' nuova e sostenibile anche nelle grandi citta' a partire proprio da Roma.

Ci saranno visite guidate da San Giovanni in Oleo, all'ex Cartiera Latina e ancora al Museo delle Mura o al Mausoleo di Priscilla e di Cecilia Metella; narratori d'eccezione come lo scrittore Roberto Carvelli che terra' lezioni di storia itinerante o con l'antropologo Giorgio Fabretti che curera' il walkabout "Arcadia Felix vero Cava Fabretti", la fabbrica dei sanpietrini.

La giornata sara' animata, inoltre, da performance teatrali e di rievocazione storica, laboratori (come quello di cesteria e scriptorium sublacense), degustazioni con prodotti di Slow Food per scoprire la variegata biodiversita', anche agricola, del ricco territorio che l'Appia attraversa, l'Agro romano, che fa di Roma il primo comune agricolo d'Europa. Ci saranno, inoltre, iniziative per bambini, mostre fotografiche (come quella sulla riscoperta della colonizzazione romana dell'Appennino centrale, o sulla ricostruzione cartografica realizzata nell'800 dall'archeologo Luigi Canina); escursioni.

E chiaramente anche tanta buona musica: dall'Orchestra di musica tradizionale di Testaccio alla Corale Femminile Aureliano, Coro Floreos e Coro Academia Alma Vox; ancora i Cori della scuola Musike'; il Grande Coro di Roma con concerto a cappella diretto dal maestro Fabrizio Adriano Neri o della formazione delle Rome Savoyards Barber Shop Quartet.

L'Appia Day sara' anche per i nostri amici a quattro zampe con la passeggiata "Cani in Liberta': passeggiata solidale a 6 zampe" promossa da Almo Nature, Fondazione Capellino e Legambiente e pensata per sensibilizzare i cittadini sulla necessita' di soluzioni concrete per debellare il randagismo.

L'appuntamento e' sempre per domenica 13 maggio, ore 15, al Parco della Caffarella (Largo Tacchi Venturi). La partecipazione e' a offerta libera. I fondi raccolti serviranno per aiutare il canile della Muratella.

Fonte: La Presse

14/02/14

I curiosi graffiti di Porta San Sebastiano, sulla Via Appia.




Poco in vista, defilata rispetto ai monumenti e agli itinerari del centro storico, la maestosa Porta San Sebastiano è la più grande e anche la meglio conservata di quelle che anticamente esistevano lungo le Mura Aureliane per l’accesso alla città. Era collocata al termine della Via Appia, che si percorreva da sud per raggiungere l’Urbe, come del resto è anche oggi. 

Anticamente però la Via Appia si snodava anche nel tracciato cittadino, partendo direttamente dal Campidoglio e questo spiega come mai, appena fuori della Porta, sulla destra, all’inizio della via sia murata l’antica colonna miliaria (in realtà si tratta di una copia, l’originale fu spostato in epoca medievale ai piedi della collina del Campidoglio, dove si trova tuttora) che aveva il compito di segnare il primo miglio della Via Consolare e che fra l’altro funzionò come modello di lunghezza lineare per tutte le altre strade romane.


Oggi la Porta è invece collocata al termine di quella che è stata chiamata Via di Porta San Sebastiano (e che era in origine l’Appia), subito dopo quello che viene chiamato comunemente Arco di Druso e che gli archeologi hanno scoperto essere nient’altro che uno dei fornici dell’Acquedotto Marcio che alimentava le monumentali Terme di Caracalla, e non invece un arco trionfale. 

Il progetto originario della Porta, con i due torrioni circolari che la caratterizzano e che ancora esistono, risalgono proprio all’epoca di Aureliano, ma il monumento fu completamente rifatto sotto l’imperatore Onorio (nel 401 d.C.) con la realizzazione di una fortificazione a livello superiore, con un cammino di ronda merlato e due basi quadrangolari rivestite di blocchi di marmo che furono messe a circondare (e quindi a rafforzare) le torri rotonde. 



I rivestimenti marmorei di queste basi angolari hanno la strana caratteristica di alcune escrescenze di forma rotonda e convessa che hanno suscitato la curiosità degli archeologi. A che servivano ? L’ipotesi più probabile è che si tratti di elementi decorativi ispirati agli umboni, cioè le parti sporgenti collocate nel mezzo degli scudi militari. Un’altra teoria invece spiega la presenza di questi orpelli come elementi apotropaici, destinati ad allontanare le energie negative dei nemici intenzionati a dare l’assalto alle mura della città.

Ma un altro motivo di interesse della Porta (che ospita fra l’altro l’interessante Museo delle Mura, poco conosciuto) sono i numerosi graffiti e le numerose incisioni di cui è ricoperto il marmo del fornice centrale, dell’ingresso, verso la città.


Tra di esse è celebre la figura, sullo stipite destro (con le spalle al Campidoglio) dell’Arcangelo Michele, con una lunga iscrizione in latino che ricorda la battaglia vinta dalle truppe romane (guidato da Giacomo Ponziano) contro l’esercito del Re di Napoli, Roberto D’Angiò il 29 settembre 1327, il quale voleva occupare Roma e che proprio qui si svolse. L’iscrizione così risulta tradotta: L'anno 1327, indizione XI, nel mese di Settembre, il penultimo giorno, festa di S. Michele, entrò gente straniera in città e fu sconfitta dal popolo romano, essendo Jacopo de' Ponziano capo del rione.

La dedica all’Arcangelo Michele, una delle figure più care della iconografia cristiana, nella Roma medievale era il tributo a quello che si supponeva essere stato un intervento divino, in grado di ribaltare la sproporzione delle forze in campo, nettamente a favore del Re di Napoli.

Ma sugli stipiti, a destra e a sinistra, se soltanto si esamina con attenzione – con la necessaria accortezza visto il continuo transito di automobili – sono presenti molti altri graffiti, molto semplici, con iniziali, date e croci, lasciati dai pellegrini che erano riusciti a raggiungere la città dopo viaggi che si immaginano molto molto difficili e pericolosi. 


Altrettanto interessante è notare la scanalatura della saracinesca che scendeva a chiudere ermeticamente la Porta manovrata dalla camera soprastante, assicurando, insieme al duplice battente di legno, la resistenza contro gli attacchi nemici.

In effetti, forse in pochi altri monumenti come questo, a Roma, si percepisce, attraverso il connubio tra fortificazioni e graffiti votivi, l’alternarsi delle sorti di guerra e pace che hanno contrassegnato i lunghi secoli di storia dell’Urbe.

18/04/11

QUANDO PIETRO DOMANDO’: “DOMINE, QUO VADIS?” – UN LUOGO DIMENTICATO.




Gli americani ci hanno realizzato sopra addirittura un kolossal, uno dei maggiori incassi di sempre al botteghino, quel "Quo vadis ?", regia di Mervyn LeRoy, che nel 1951, ricostruì una Roma antica di cartapesta, commuovendo le platee con la storia dell’amore impossibile tra il patrizio romano Marco Vinicio-Robert Taylor e la bella cristiana Licia-Deborah Kerr.

In realtà il ‘drammone’ sentimentale era solo il pretesto per raccontare, in forma popolare e romanzata, l’alba del Cristianesimo a Roma, il periodo più buio e terribile della sua storia, quando le persecuzioni dei Romani causarono migliaia di vittime presso gli adepti della nuova religione ‘importata’ dalla lontana Palestina.

Il film, basato sull’opera letteraria dello scrittore polacco Henryk Sienkiewicz che per l’omonimo romanzo ricevette il premio Nobel nel 1905, terminava con un famoso passo riportato dalla tradizione storica, quello di San Pietro che lascia Roma, a causa della persecuzione, e lungo la Via Appia incontra Gesù Cristo morto e risorto molti anni prima, che alla domanda di Pietro: “ Domine, quo vadis ? “ , “ Signore dove vai?” , risponde: “ Venio iterum crucefigi, “ , e cioè “ Vengo a farmi crocifiggere di nuovo “.

E’ un severo ammonimento, non il primo a dir la verità, anche leggendo i Vangeli, che il Signore rivolge al suo apostolo preferito, quello sul quale ha stabilito che venga costruita la sua Chiesa. Da questo ammonimento Pietro deduce che non è il caso, per lui, di fuggire il martirio. Cambia direzione di marcia, fa ritorno nell’Urbe, e poco tempo dopo finisce i suoi giorni sul Colle Vaticano nello stesso brutale modo imposto al Messia, e cioè crocefisso, ma, per sua stessa richiesta - giudicandosi indegno di questa emulazione - con la testa in giù.

Tutto ciò noi sappiamo appunto, da una tradizione prima orale, poi scritta, millenaria, giunta fino a noi dalla prima, primissima comunità cristiana.
In realtà del martirio di Pietro, dal punto di vista delle conferme storiche, nulla si sa. Nulla viene detto negli Atti degli Apostoli, così come della morte di San Paolo, che la tradizione vuole sia avvenuta sulla Via Ostiense, dove oggi sorge la Basilica a lui intitolata, e dove riposano le sue spoglie.

Le notizie su ciò che accadde nel primo secolo ai cristiani, nella Roma di Nerone, arriva ai nostri giorni con fonti unicamente pagane, che però, da un punto di vista filologico, sono ancora più attendibili delle credenze o dei racconti religiosi.

Così sia Tacito, che Lattanzio, o Sulpicio Severo, concordano nel racconto del martirio dei due apostoli, simboli della cristianità, nei modi e nei luoghi che la tradizione continua a perpetuare.
E oggi gli studiosi sono in grado anche di speculare sulle date esatte del sacrificio di Paolo, come di quello di Pietro.

Quindi, nonostante l’assenza di un racconto neo-testamentario, ci sono pochi motivi per dubitare che qualcosa debba essere successo in quel punto dell’Appia antica che ancora oggi esiste, quel punto esatto nel quale antica regina viarum si biforca dando vita alla via Ardeatina.
E’ un piccolo luogo di culto, oggi quasi del tutto dimenticato, soprattutto dai romani, anche se per molto tempo fu venerato come uno dei più insigni santuari della città.
Vi si ferma qualche raro torpedone di turisti giapponesi incuriositi dall’aneddoto che qui si celebra.

E invece è, ancora oggi, un luogo denso di fascino e di interesse.
Riedificata nel 1620 la chiesetta del ‘Domine quo vadis’ si chiama in realtà ‘ Santa Maria in Palmis ‘ , e anche questo nome si riferisce all’episodio dell’incontro di San Pietro con il Signore. Al termine di questo prodigioso incontro, infatti, riferisce la tradizione, il vecchio bastone nodoso usato dall’apostolo ormai in là con gli anni per camminare – un bastone scolpito nel legno di ulivo – miracolosamente fiorì, come se fosse appena stato reciso. E si sa che ‘palmis’ è appunto il nome latino della pianta di ulivo.

Entrando nella chiesetta oggi, si resta colpiti dall’atmosfera fuori dal tempo che vi si respira. Una sola piccola navata, e un modesto affresco nell’abside. Poi, facendo attenzione ai particolari, si scopre sul pavimento una striscia lastricata larga un paio di metri, che va da una parete all’altra della chiesa, dove campeggiano due affreschi, uno raffigurante San Pietro, e l’altro Gesù Cristo, nell’atto di quel famoso incontro.

La striscia lastricata, come avverte una lapide sul muro è stata realizzata, in occasione del rinnovo seicentesco della chiesa con i selci prelevati direttamente dalla Via Appia, distante del resto pochi metri.

Ed ecco, al centro di questa striscia, conservata sotto una arrugginita grata di ferro, una antica pietra del tutto consunta dall’adorazione dei fedeli, con l’impronta di due piedi. Cosa significa questo ? Si tratta di una delle reliquie più preziose e più misconosciute esistenti a Roma, perché si tratterebbe, secondo la tradizione millenaria, appunto, dell’impronta lasciata nientemeno che dai piedi di Gesù Cristo. Apparizione immateriale, spirito, ma abbastanza concreta da lasciare una così evidente traccia di sé.

Documentandosi meglio, si apprende poi che questa pietra, lasciata nella chiesa del Domine quo vadis al culto dei fedeli, è in realtà la sostituzione della vera pietra miracolosa che, dalla notte dei tempi fu spostata per una esigenza di maggiore protezione.

Spostata dove ? Non molto lontano, in realtà: la pietra sulla quale avrebbe posato i piedi il Dio dei Cristiani è attualmente sempre lungo la Via Appia, conservata nella chiesa di San Sebastiano, nella prima cappella a destra, detta appunto, cappella delle reliquie.

E’ curioso come molti cittadini italiani, e romani, credenti e praticanti, siano attratti dalla Terra Santa, dalla comprensibile attrattiva di visitare i luoghi che ‘parlano’ della presenza di Gesù, ignorando magari che a pochi metri da casa loro esistono testimonianze così suggestive della presenza del Cristo nella Città Eterna.

Una cosa che ben sapeva Henryk Sienckiewicz, che pure veniva da molto lontano, dalla Polonia, ma conosceva a menadito la storia e l’inesauribile tesoro che si cela nei luoghi di culto e nel sottosuolo di Roma.

Nel corso delle sue numerose visite, lo scrittore polacco visitava spesso, con un’opera di Tacito in mano, e con molto scrupolo, il Foro Romano. Poco prima di iniziare a scrivere “ Quo vadis ? “ , nella primavera del 1893, soggiornò a lungo all’hotel in via Bocca di Leone. Gli faceva da guida nelle sue visite romane un amico, il pittore Henryk Siemiradzki, anch’egli appassionato cultore della Roma antica. Fu proprio lui a condurlo in un giorno di quella primavera attraverso i segreti dell’Appia Antica. Sinckiewicz rimase colpito da quella piccola chiesa, al bivio con la via Ardeatina. Entrarono, e - dobbiamo presupporre – i due polacchi subirono quello stesso fascino che ancora oggi è possibile respirare in questo piccolo edificio dalla storia così alta.

Fu proprio lì, raccontò parecchi anni più tardi, che Sinckiewicz ebbe l’ispirazione per scrivere un grande romanzo storico sulla persecuzione dei cristiani e sulla Roma di Nerone.
“ Quo vadis ? “ battè i record mondiali per numero di traduzioni (uscì anche in arabo, giapponese, persiano ), oltre a coronare il primo premio Nobel per la Polonia. Niente male per un libro scritto in tre anni di lavoro. Sinckiewicz terminò di scrivere a Nizza, nel febbraio del 1896 e le ultime parole del suo romanzo sono ancora oggi molto toccanti:
“ E così trapassò Nerone, come passa il vento e la tempesta, fuoco, guerra o gelo, e la basilica di San Pietro domina da allora dalle vette del Vaticano, sulla città e sul mondo. “

Anche se oggi i romani appaiono piuttosto distratti riguardo la loro storia – ma questa forse è stata una costante nei secoli, con rare eccezioni – segni del passaggio di questo illustre ‘cittadino ad honorem ‘ restano e numerosi ancora oggi: a lui è intitolata una piazza, proprio al limitare di quella Villa Borghese che amava moltissimo. Così come non poteva mancare un ricordo in quella chiesa, che egli ha reso famosa nel mondo. Subito all’entrata di Santa Maria in Palmis, infatti, sulla sinistra, un busto in bronzo riproduce la sua effige, a perenne memoria.

Non solo: in Via Bocca di Leone, una lapide murata nel 1966 ( nel cinquantesimo anniversario della morte ) ricorda lo scrittore con questa dicitura: “Henryk Sinckiewicz, scrittore e patriota polacco, epico narratore delle eroiche gesta della sua nazione, autore del romanzo Quo vadis, premio Nobel per la letteratura, dimorò in questo albergo nell’anno 1893, nel cinquantenario della sua morte, Italiani e Polacchi posero. “


Fabrizio Falconi