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19/09/16

Perché Villa Pamphilj è così pulita (e le altre di Roma no) ? Un quesito insolubile.




Da molti anni, da romano che vive da sempre in questa città, e che porta nei suoi geni quelli di molte generazioni romane che l'hanno preceduto, mi sono chiesto come sia possibile che Villa Pamphilj - sotto le più diverse gestioni di sindaco e giunte - sia mantenuta così bene, sia così smagliante, così pulita, così preziosamente curata ?

Specialmente entrando dalla parte di Via della Nocetta o Via Aurelia Antica - la parte per intenderci con il laghetto delle tartarughe e il giardino botanico - apprezzo da molti anni - anche stamattina - una cura impossibile da trovare nelle altre meravigliose ville romane, in stato di completo o parziale abbandono. 

Villa Pamphilj, pur essendo molto estesa - 184 ettari, la più grande di Roma - presenta viali curati, nessuna traccia di immondizia o carte in terra o bottigliette in plastica (pur essendo pochi i cestini a disposizione), alberi ben tenuti e potati, corsi d'acqua limpidi, prati sempre sfalciati in ogni stagione dell'anno, staccionate e strutture ben tenute. 

Eppure i romani che la frequentano sono gli stessi che frequentano anche le altre ville. 

Oggi, non resistendo alla curiosità, ho chiesto ai giardinieri che come ogni mattina erano lì, con i loro pullmini del Servizio Giardini.  

"Come fate a mantenere la Villa sempre pulita?"
"Semplice," mi hanno risposto, "la puliamo ogni santo giorno, 365 giorni, con qualunque tempo, con qualunque clima, sempre.

Ho chiesto allora come mai questo metodo non sia applicabile alle altre ville di Roma.  Sono stato ripetutamente a Villa Borghese in agosto ed è in condizioni pessime, sporchissima, mal tenuta, piena di rifiuti ovunque, in ogni siepe in ogni giardino, con il laghetto ridotto un cumulo di alghe e invasa da milioni di risciò macchine a pedali, venditori abusivi, una vera casbah. Di Villa Ada non parliamo. Villa Glori è in uno stato di pietoso abbandono.

Mi hanno risposto che ogni Villa ha il suo servizio e se lì non si lavora è perché evidentemente non si ha voglia di farlo e nessuno controlla. 

Così vanno le cose a Roma (e non si vede all'orizzonte alcun cambiamento). 

Fabrizio Falconi

23/03/15

Le catacombe di Santa Priscilla e il "Lupo Mannaro" della seconda guerra mondiale.

Cortile delle Catacombe di Santa Priscilla (foto Fabrizio Falconi)


Le catacombe di Santa Priscilla e il Lupo Mannaro della seconda guerra mondiale.

La fama di quelle catacombe – che si è sempre saputo essere molto estese, secondo alcuni le più grandi di Roma, con oltre tredici chilometri di cunicoli sotterranei – ha sempre fortemente influenzato il quartiere Trieste che le ospita, al confine con il Salario. 

Un altro toponimo di queste strade – la piazza Acilia, che è attraversata dalla Via Nemorense – rimanda direttamente alla storia delle catacombe. Il nome infatti non si riferisce alla cittadina sulla via Pontina, ma alla gens Acilia, alla quale con ogni probabilità apparteneva la donna che oggi dà il nome alle catacombe, anzi per l’esattezza alla famiglia degli Acilii Glabriones. 

Priscilla era, secondo quanto hanno ricostruito gli archeologi e secondo quanto risulta da una iscrizione funeraria, insieme agli Acilii, la proprietaria dei terreni su cui fu costruita la necropoli.  
Il nucleo più antico delle catacombe risale al II secolo d.C. quando si iniziò a scavare la collinetta tufacea nella zona che oggi sovrasta Villa Ada e che anticamente permetteva di dominare la confluenza dei due fiumi, il Tevere e l’Aniene. 

 Ma fu nel III e nel IV secolo che il cimitero divenne vastissimo, quando esso cominciò ad ospitare i numerosi martiri delle persecuzioni anticristiane di quell’epoca, compresi i corpi di sette papi. 

Nei cunicoli, disposti su tre livelli che si spingono fino a quaranta metri di profondità, furono sepolti migliaia di corpi, secondo alcune stime fino a quarantamila persone, non soltanto cristiane. 

Come capitò ad altre catacombe anche queste, dopo le invasioni barbariche furono abbandonate nel VI secolo dopo Cristo, finché a partire dalla fine dell’Ottocento non furono riscoperte, insieme ai resti della Basilica (poi divenuta soltanto una chiesetta) di San Silvestro sulla Via Salaria, costruita nel IV secolo d.C., dopo l’Editto di Costantino e ricostruita in forme moderne. 

Fu proprio durante questo periodo, nella prima parte del Novecento, che lo scalpore per la scoperta delle catacombe e della loro incredibile estensione, si diffuse per il quartiere che si andava in quegli anni densamente popolando. 

Come sempre, le catacombe portarono con loro una fama oscura, gotica. Era stato così da sempre a Roma, nel corso dei secoli e fu così anche nei primi del Novecento. 

Quei misteriosi cunicoli, che si snodavano per chilometri e per molte profondità, alimentarono la fantasia popolare, insieme al crescere degli incubi che la minaccia bellica diffondeva anche sulla Capitale

Cominciarono a diffondersi sinistre leggende su inquietanti visitatori di quei cunicoli che si diceva vi emergessero soltanto nottetempo. 

Proprio negli anni del secondo conflitto mondiale, la zona di Piazza Vescovio, poco distante dalle Catacombe cominciò a convivere con una misteriosa presenza che terrorizzava i cittadini: si sentivano strane urla di notte, si scorgevano ombre curve, una sinistra figura inafferrabile che gli abitanti del quartiere si dissero certi fosse un lupo mannaro, visto che le sue visite parevano manifestarsi con maggiore frequenza nelle notti di plenilunio. 

Preoccupati da ben altre incombenze, quelle derivanti dai bombardamenti degli alleati, le autorità dell’epoca non tardarono a risolvere la questione assicurando che il responsabile era stato trovato: si trattava di un povero malato mentale che passava le notti ad urlare ed ululare. 

E che fu per questo condotto in manicomio, liberando il quartiere da quei funesti sospetti. 

Le catacombe di Santa Priscilla, oggi visitabili soltanto in minima parte, colpiscono i visitatori con le loro splendide pitture, sopravvissute ai secoli e ai millenni

In particolare quella dell’Orante del III secolo (in realtà si tratta di una donna velata, con le braccia levate, raffigurata in un lunetta); la figura della Madonna con Bambino – ritenuta la prima raffigurazione mariana della storia – al lato del profeta Isaia che addita una stella (II secolo); la cosiddetta Cappella Greca, con iscrizioni tracciate in rosso, con stucchi pregevoli; l’affresco con Santa Susanna; quello che raffigura l’Epifania e la fractio panis; il ninfeo; l’ipogeo degli Acilii con splendide decorazioni. 

Alle catacombe, il cui sito è curato dalle Suore Benedettine di Priscilla, si accede oggi dal civico 430 di Via Salaria.


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. Tratto da Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di RomaNewton Compton Editore