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16/05/21

Poesia della Domenica: Sonetto 29 di William Shakespeare

 

Sonetto 29

Talora, venuto in odio alla Fortuna e agli uomini,
io piango solitario sul mio triste abbandono,
e turbo il cielo sordo con le mie grida inani,
e contemplo me stesso, e maledico la sorte,
 
agognandomi simile a tale più ricco di speranze,
di più belle fattezze, di numerosi amici,
invidiando l’ingegno di questi, il potere di un altro,
di quel che meglio è mio maggiormente scontento;
 
di quel che più amo maggiormente scontento
ma ecco che in tali pensieri, quasi spregiando me stesso, hai detto
la tua immagine appare, e allora muto stato,
e quale lodola, al romper del giorno, si innalza
dalla terra cupa, lancio inni alle soglie del cielo:
 
poiché il ricordo del dolce tuo amore porta seco
tali ricchezze, che non vorrei scambiarle con un regno.


William Shakespeare 

20/03/19

Le mille storie della Tomba di Giulietta a Verona - (da "Monumenti Esoterici d'Italia" in ristampa dal prossimo 18 aprile in Libreria)



Torna in tutte le librerie dal prossimo 18 aprile Monumenti Esoterici d'Italia di Fabrizio Falconi, appena ristampato da Newton Compton Editore. 
Riporto uno stralcio di uno dei capitoli, dedicato alla Tomba di Giulietta a Verona. 

D’altro canto è pur vero che molte delle vicende narrate nelle opere di Shakespeare ambientate in Italia erano già note in Inghilterra grazie alla diffusione in quel paese della novellistica italiana. In particolare per quanto riguarda Romeo e Giulietta, la derivazione diretta fu senz’altro quella dalla Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti, nella quale nel 1530 il vicentino Luigi da Porto riprendeva la tradizione delle due famiglie in lotta, che risaliva addirittura a Dante e alla Divina Commedia (Purgatorio, canto VI, verso 105), spostandone l’ambientazione da Siena a Verona.  

La versione di Luigi da Porto fu poi consegnata definitivamente alla popolarità dalla rielaborazione che ne fece Matteo Bandello, nelle sue Novelle, pubblicate nel 1554.
La lunga premessa – necessaria – sulla identità reale dell’uomo che scrisse la tragedia e sulle fonti, più o meno misteriose, che la ispirarono, ci porta ora sui luoghi reali della vicenda narrata da Shakespeare e che come abbiamo visto all’inizio del capitolo, sono oggetto del culto e della venerazione degli innamorati ancora oggi.

Se dunque, l’identificazione del Cortile del Palazzo di Giulietta, gode di alcuni argomenti favorevoli, dovuti in particolare alla presenza dello stemma del cappello – che ancora oggi si può scorgere -  sulla chiave di volta dell’arco di entrata del cortile (il cappello rimanderebbe dunque al giusto cognome della famiglia, che è quello riportato da Dante nella Divina Commedia, ovvero Cappelletti e non Capuleti), il cosiddetto sarcofago di Giulietta appartiene ad una tradizione che ha molto o quasi tutto di leggendario e che però non smette di incuriosire.

Innanzitutto c’è da dire che all’epoca dei fatti raccontati dal dramma Shakespeariano, nella Verona del Trecento, ai suicidi – ed è questo il caso della Giulietta dei Cappelletti – venivano negati i riti e la sepoltura ecclesiastica.  E’ dunque assai improbabile – anche se si può pensare ad una eccezione concessa per rango -  che alla giovane fosse stata riservata una tumulazione così solenne. 

La sistemazione del sarcofago non è comunque quella originaria.  Il convento di San Francesco, oggi adibito a Museo degli affreschi, dispone di un sotterraneo dove al centro di una artefatta cripta è posizionato il sarcofago in marmo rosso, senza coperchio e con i bordi superiori completamente abrasi, senza nessuno stemma gentilizio o iscrizione.

La leggenda vuole che l’urna fosse in origine, sin dalla fine del Trecento, posta nel chiostro del Convento, ma profanata già in epoca cinquecentesca: per stroncare il culto profano dei due amanti disgraziati, infatti,  sembra che i cappuccini decisero di aprire il sarcofago e, dopo aver disperso le ossa in una tomba comune, di adibirlo a cisterna per l’acqua del pozzo. 

L’escamotage, però non riuscì a frenare la crescente popolarità del mito di Giulietta e della sua presunta sepoltura, che si accresceva nei secoli con la fortuna della tragedia shakespeariana e delle sue infinite repliche e versioni, in tutta Europa.

Il sarcofago di Giulietta, quello che veniva indicato come tale, rimase oggetto di un pellegrinaggio continuo da parte di personalità illustri, che di passaggio a Verona, chiedevano ai francescani di poter ammirare i resti materiali di quella nobile leggenda.

Transitarono così davanti al mitico sepolcro, l’imperatrice Maria Luisa d’Austria,  duchessa regnante di Parma e Piacenza che nel 1822 pretese addirittura di farsi realizzare alcuni monili con i frammenti di marmo prelevati dal sarcofago o Lord Byron, che rimase colpito dallo squallore e dall’abbandono di quel sepolcro (8), che divenne ancora più evidente dopo che le ultime suore francescane abbandonarono definitivamente il convento nel 1842. All’epoca di Charles Dickens, come si ricava dalle sue memorie italiane, il sarcofago era ormai ridotto ad essere un semplice abbeveratoio.

Fu soltanto nel secolo scorso e precisamente nel 1910 che l’urna – per intervento della Congregazione della Carità che aveva preso possesso del complesso - fu finalmente spostata e sottratta alla rovina e alle intemperie, ponendola accanto ad un busto dedicato a Shakespeare.

La sistemazione definitiva del sarcofago si deve al direttore dei musei veronesi Antonio Avena che dopo aver subodorato l’affare – era stato scritturato come consulente nel 1936 dalla Metro Goldwyn Mayer per il kolossal Romeo and Juliet diretto da George Cukor, ma il film poi non fu girato nei luoghi originali – decise di sistemare il sepolcro marmoreo in una cornice scenografica adeguata, cioè in una falsa criptacon tanto di lapidi pavimentali autentiche - realizzata ad hoc nei sotterranei del complesso dell’ex convento.

Nell’assenza comunque di uno scheletro, dei resti di un corpo reale riferibile a Giulietta – c’è anche chi propone di svolgere una indagine a tappeto presso le fosse comuni dei francescani, impresa ovviamente improba e impraticabile – la sfortunata erede della famiglia dei Capuleti continua a inquietare i sonni di quei luoghi che la videro protagonista, nella realtà e soprattutto nella finzione shakespeariana. 

A parte fenomeni folkloristici, come quello di un mago che qualche anno fa pretese di far riapparire dal nulla Giulietta in carne e ossa, nel cortile del Castello di Montecchio Maggiore e il fantasma della giovane Capuleti fa di tanto in tanto capolino nelle cronache locali veronesi.  Ancora più radicata è invece la tradizione legata al fantasma di Luigi da Porto, che a quanto pare scrisse la sua novella, fonte diretta per la ispirazione di Shakespeare, nella quiete della sua dimora di campagna a Montorso Vicentino, nella valle del Chiampo.  Dove sorgeva la casa colonica oggi esiste una villa palladiana, e della casa dei fattori, dalla quale lo scrittore ammirava i due castelli di Montecchio Maggiore (che gli ispirarono la faida tra le due famiglie), restano soltanto pochi resti.  Ciò nonostante qui pare aggirarsi il fantasma di da Porto,  con gli abiti d’epoca e i terribili segni di quella ferita di guerra che aveva sul volto: c’è chi giura di averlo visto sostare, nelle notti d’estate, ai piedi della salita, in quell’angolo che sembra fosse il suo favorito,  e sospirare ancora per la verginea bellezza della sua Giulietta e per il suo infelice destino.





11/11/18

Poesia della Domenica - Sonetto n.40 di Shakespeare. "Prendi ogni mio amore, amor mio".



40.
Prendi ogni mio amore, amor mio, sì, prendili tutti:
cos’altro avrai di più di quanto avevi prima?
Nessun amore, amor mio, che tu possa chiamar sincero;
ogni mio era già tuo prima che tu avessi questo.
Se quindi per amor mio, l’amor mio accogli,
non posso rimproverarti di come te ne servi;
ma biasimato sii se invece tu m’inganni
per capriccioso gusto di quel che tu disprezzi.
Ladro gentile, io ti perdono il furto
anche se mi spogli del poco che possiedo;
eppure amore sa che è maggior dolore
soffrir d’amor l’inganno che d’odio la ferita.
Grazia lasciva, che nell’amor detergi il male,
osteggiami come vuoi, ma non diventiam nemici.

40.
Take all my loves, my love, yea, take them all;
What hast thou then more than thou hadst before?
No love, my love, that thou mayst true love call;
All mine was thine before thou hadst this more.
Then if for my love thou my love receivest,
I cannot blame thee for my love thou usest;
But yet be blamed, if thou thyself deceivest
By wilful taste of what thyself refusest.
I do forgive thy robbery, gentle thief,
Although thou steal thee all my poverty;
And yet, love knows, it is a greater grief
To bear love’s wrong than hate’s known injury.
Lascivious grace, in whom all ill well shows,
Kill me with spites; yet we must not be foes.


William Shakespeare

06/08/17

La poesia della Domenica: Sonetto n.1 di William Shakespeare.




Alle meraviglie del creato noi chiediam progenie
perché mai si estingua la rosa di bellezza,
e quando ormai sfiorita un dì dovrà cadere,
possa un suo germoglio continuarne la memoria:
ma tu, solo devoto ai tuoi splendenti occhi,
bruci te stesso per nutrir la fiamma di tua luce
creando miseria là dove c’è ricchezza,
tu nemico tuo, troppo crudele verso il tuo dolce io.
Ora che del mondo sei tu il fresco fiore
e l’unico araldo di vibrante primavera,
nel tuo stesso germoglio soffochi il tuo seme
e, giovane spilorcio, nell’egoismo ti distruggi.
Abbi pietà del mondo o diverrai talmente ingordo
da divorar con la tua morte quanto a lui dovuto.


From fairest creatures we desire increase,
That thereby beauty’s rose might never die,
But as the riper should by time decease,
His tender heir might bear his memory;
But thou, contracted to thine own bright eyes,
Feed’st thy light’s flame with self-substantial fuel,
Making a famine where abundance lies,
Thyself thy foe, to thy sweet self too cruel.
Thou, that art now the world’s fresh ornament
And only herald to the gaudy spring,
Within thine own bud buriest thy content
And, tender churl, mak’st waste in niggarding.
Pity the world, or else this glutton be,
To eat the world’s due, by the grave and thee.



William Shakespeare

23/10/16

La poesia della Domenica - Sonetto 61 di William Shakespeare.





61.

Sei tu a voler che la tua immagine tenga aperte
le mie palpebre pesanti nell'estenuante notte?
Sei tu a desiderare che i miei sonni siano rotti
da ombre a te sembianti che ingannano il mio sguardo?
È forse il tuo spirito che stacchi dal tuo corpo
e mandi da lontano per spiare le mie azioni,
per scoprire in me ore frivole e vergogne,
bersaglio ed alimento della tua gelosia?
No, il tuo amore pur forte, non è tanto grande:
è il mio amore che mi tiene gli occhi aperti,
il mio devoto amore che frustra il mio riposo
per esser sempre vigile al tuo fianco.
Per te rimango sveglio, mentre tu vegli altrove,
molto lontano da me, ad altri troppo vicino.

Is it thy will thy image should keep open
My heavy eyelids to the weary night?
Dost thou desire my slumbers should be broken,
While shadows like to thee do mock my sight?
Is it thy spirit that thou send'st from thee
So far from home into my deeds to pry,
To find out shames and idle hours in me,
The scope and tenor of thy jealousy?
O, no! thy love, though much, is not so great: 
It is my love that keeps mine eye awake;
Mine own true love that doth my rest defeat,
To play the watchman ever for thy sake:
For thee watch I whilst thou dost wake elsewhere,
From me far off, with others all too near.

William Shakespeare

27/04/16

400 anni dalla morte di Shakespeare: l'attore Ian Mc Kellan lancia una app dedicata al Bardo .




Rendere William Shakespeare più accessibile a tutti, anche alle giovani generazioni, con la tecnologia. 

Tra le varie iniziative organizzate per i 400 anni dalla morte del Bardo, c'è anche questa, lanciata dall'attore inglese Ian McKellen, il Gandalf della saga de "Il Signore degli anelli" e dal regista Richard Loncraine

Un'app per iPad chiamata "Heuristic Shakespeare", in cui l'attore inglese 76enne, e come lui molti altri, recita "La tempesta" mentre sotto la sua immagine scorre il testo. 

L'idea è di fare la stessa cosa con tutte le opere dello scrittore. 

Una performance privata per gli utenti, non su un palcoscenico e senza costumi e si può mettere in pausa ogni volta che si vuole. "Ne ho parlato con gli altri attori e ne sono rimasti affascinati - spiega McKellen - magari averla avuta quando ho dovuto imparare il ruolo di Prospero, mi sarebbe stata di grande aiuto. Gli attori la useranno, credo, si possono anche prendere annotazioni, sottolineare, si prende confidenza con il testo, perché leggi mentre ascolti"

Per lui, uno dei maggiori interpreti di Shakespeare a teatro, la difficoltà è stata sempre prendere il ritmo. 

Il ritmo del verso shakespeariano, dice, è particolare e difficile da imparare. "Perché è il ritmo del cuore umano: di dum, di dum, di dum...". 

Con questa app si vogliono aiutare i giovani a capire drammi e commedie scritte centinaia di anni fa e spesso non più studiati. Anche agli adulti però potrebbe essere utile, per entrare nel clima shakespeariano prima di andare a teatro. "E' pensato per guidare le persone alla visione live - sottolinea Loncraine - non vuole certo sostituire il teatro".