27/11/08

La conversione di Gramsci - un "caso" inutile.


Mi colpisce davvero questo presunto "caso" che ritorna a tratti nel dibattito italiano, sulla conversione in punto di morte di Antonio Gramsci, e mi sembra nient'altro che una pedissequa e triste conferma al fatto che questo paese ormai sembra capace solamente di guardare (e di guardarsi) indietro, e totalmente incapace di pensare al (il) futuro.

Adesso, dopo i "rumours" del 1977, le rivelazioni arrivano direttamente dalla chiesa Cattolica e da un vescovo, Luigi De Magistris, il quale ha pensato di rendere di dominio pubblico le confessioni di una suora sarda, Suor Pinna, che sarebbe stata la testimone dell'evento.

Ora, mi chiedo: ma che bisogno c'è di esternare le ragioni o le circostanze di una conversio in puncto mortis di un personaggio storico o pubblico ? A che serve ? A chi giova ?

Il cuore dell'uomo, come dovrebbe essere chiaro soprattutto ad ogni cattolico, è un mistero pressochè inaccessibile. E le circostanze, i desideri, le speranze ultime, la disperazione, la grazia che possono portare un uomo che per tutta la vita è rimasto lontano dalla fede, a implorare il nome di Gesù, resteranno per sempre impenetrabili.

Che ne sappiamo noi di cosa spinge un uomo a convertirsi ? Che ne sappiamo di quel che succede nel suo cuore, ogni giorno, figuriamoci quando vede la morte stagliarsi di fronte a sè ? Davvero serve a qualcuno - serve magari anche alla propagazione di una causa - lo svelare che un uomo politico padre in Italia di una ideologia, non fu insensibile al richiamo di Gesù Cristo ?

Non sarebbe meglio lasciare in pace i morti ? Lasciare che se la cavino da soli, che affrontino quella 'sacra conversazione' come vorranno e se vorranno ?

24/11/08

Il Vangelo della Domenica - I fratelli più piccoli.


VANGELO
Mt 25,31-46

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.

Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi
avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.

Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.

Poi dirà a quelli posti alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato.


Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna".


Anche in questo caso sono molte le considerazioni che si potrebbero trarre dalle parole di Gesù, che parla in parabole - forse mai così chiaramente come qui - per farsi intendere meglio. E' infatti quasi "didascalico" questo Gesù che spiega cosa "vuole il Re", cosa sembra pretendere da noi.

L'aspetto che vorrei mettere in luce è questa definizione che Egli usa sia nel paragone 'buono' che in quello 'cattivo', ovvero " ogni volta che non avete fatto ( o avete fatto) queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli. " Quello che spesso ci sfugge è che il Re considera "suoi fratelli" - testualmente - gli uomini. E gli uomini più deboli: vediamo le categorie: gli affamati, gli assetati, i forestieri, i nudi, i malati, quelli che sono in carcere.

Davvero in questa semplice lista, fatta di cinque aggettivi e una definizione (quelli che sono in carcere, cioè i carcerati) c'è tutta la gamma completa delle possibili difficoltà umane su questo mondo, che in diversa misura, possono riguardare chiunque.

Dunque in questo panorama "ecumenico" di sofferenze, e di doglianze, Gesù ci eleva al rango di "fratelli più piccoli" del Re. Il che appare come una conferma che il filo che lega il Creatore a noi è molto, molto stretto. Siamo cioè - tutti - suoi fratelli (più piccoli), e come ogni fratello è da supporre che noi abbiamo in comune qualcosa - molto più di qualcosa - con Lui.

E' per questo - e sulla base di questo - che Lui sembra avere questa reazione così netta, così decisa, così - diciamolo chiaramente - severa. Se noi facciamo o non facciamo qualcosa non è qualcosa di neutro, che a Lui potrebbe anche - tutto sommato - non interessare.

No: è qualcosa che facciamo o non facciamo a suoi fratelli (più piccoli): come reagiremmo noi se qualcuno facesse o non facesse qualcosa a dei nostri fratelli di sangue ? La cosa ci toccherebbe, oppure no ?

Ecco perchè - credo - la nostra responsabilità nei Suoi confronti è grande. Ecco perchè - ricollegandoci al Vangelo di Domenica scorsa - non possiamo semplicemente "assistere a tutta la faccenda, senza far danni, restandocene tranquilli tranquilli. "

No. Lui ci chiede di fare, di operare, di dimostrare, di muoverci, di uscire, di metterci in gioco, di rischiare, di andare, camminare, muovere la polvere dai nostri sandali.




21/11/08

Pasolini, Cesare e Dio.


Molta dell'opera poetica e letteraria-saggistica di Pier Paolo Pasolini, risulta essere, se letta oggi, profetica. Pasolini sembrò prevedere con 30-40 anni di anticipo molti dei fenomeni di massa che hanno travolto l'Italia - insieme all'Occidente - trasfigurandone completamente il volto.

Anche a proposito di trasformazioni nel modo di percepire la religione e sulla Chiesa Cattolica, Pasolini scrisse e disse cose ferocemente contestate allora, sulla quale oggi molti osservatori - di destra e di sinistra - concordano, ammettendo che forse 'aveva ragione. '

Risulta così quanto mai toccante rileggere questa pagina degli Scritti Corsari, che dice molto, e di grandemente attuale, sui rapporti tra Chiesa e Stato, su cui bisognerebbe grandemente meditare. Scrive Pasolini:

Prima di tutto la distinzione radicale tra Chiesa e Stato. Mi ha sempre stupito, anzi profondamente indignato, l'interpretazione clericale della frase di Cristo: "Dà a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio": interpretazione in cui si era concentrata tutta l'ipocrisia e l'aberrazione che hanno caratterizzato la Chiesa controriformistica.

Si è fatta passare cioè - per quanto ciò possa sembrare mostruoso - come moderata, cinica e realistica una frase di Cristo che era evidentemente, radicale, estremistica, perfettamente religiosa. Cristo infatti non poteva in alcun modo voler dire: "accontenta questo e quello, non cercar grane politiche, concilia la praticità della vita sociale e l'assolutezza di quella religiosa, dà un colpo al cerchio e uno alla botte, ecc.."

Al contrario Cristo - in assoluta coerenza con tutta la sua predicazione - non poteva che voler dire: "Distingui nettamente tra Cesare e Dio; non confonderli; non farli coesistere qualunquisticamente con la scusa di poter servire meglio Dio; non "conciliarli": ricorda bene che il mio "e" è disgiuntivo, crea due universi non comunicanti, o se mai, contrastanti: insomma, lo ripeto "inconciliabili".

Pasolini nel suo inconfondibile stile appassionato, radicale, polemico, avvertiva e avverte di un rischio sempre in agguato nel nostro mondo: quello di identificare Dio con Cesare e Cesare con Dio, di unificare gli scopi di Cesare con quelli di Dio, l'utile di Cesare con l'utile di Dio: la peggiore delle iatture umane.

19/11/08

Il Vangelo della Domenica - I Talenti.


Mt 25,14-30


Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».


La pagina del Vangelo di questa domenica ripropone una delle parabole più misteriose, più 'difficile', sul cui profondo significato si discute da sempre. Cosa è il talento a cui allude Gesù ? Cosa rappresenta ? Perchè il Padrone della Vigna è così severo ? Perchè non basta custodire il proprio talento e restituirlo intatto come lo si è ricevuto, per salvarsi ? Perchè invece si è condannati a una fine durissima per questo ?

Ciascuno è chiamato a dare una sua interpretazione, ciascuno è chiamato, come sempre a sentire che cosa la Parola di Gesù gli dice, cosa gli chiede.

Quel che a me oggi appare chiaro, dopo averci pensato per molto tempo, è che Gesù Cristo non ci chiede di 'conservare', non ci chiede di 'rinchiuderci', di 'sigillare', di 'mettere al sicuro', di 'nascondere le cose preziose.' Gesù Cristo, sembra dirci l'opposto: nella fede - ma è così anche nella Vita, certamente - è essenziale rischiare, mettersi in gioco, far fruttare, aprirsi.
E' solo così, sembra dirci, che il talento può avere significato e valore. E' solo aprendosi, o meglio AFFIDANDOSI - è questa la parola chiave che Gesù usa - che qualcosa cambia. E cambia per noi in meglio, per sempre.

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16/11/08

Vito Mancuso sul Caso Eluana Englaro


Mi fa piacere postarvi questo intervento di Vito Mancuso sul caso Eluana, pubblicato oggi sul Corriere della Sera a firma di Luigi Accattoli. Sono infatti tra quelli che non condividono - per affrontare questo caso così delicato, così moralmente ai limiti - l'utilizzo di definizioni 'tranchant' che ho letto a destra e manca, come 'omicidio', 'assassinio' o 'eutanasia'. Penso che mai come in queto caso bisognerebbe misurare con molta molta prudenza le parole.

«Quando ci sarà il testamento biologico io disporrò di essere mantenuto in vita finché possibile, perché anche un filo d'erba rende lode al Creatore. Ma non posso volerlo per altri e sono convinto che nel caso di Eluana l'interruzione del trattamento non sia omicidio né eutanasia.

Vorrei che le autorità della Chiesa cattolica - alla quale appartengo - si esprimessero con prudenza in una materia che è nuova e ricca di zone grigie»: è l'opinione del teologo Vito Mancuso che insegna all'università San Raffaele di Milano.

Professore perché non si tratterrebbe di eutanasia? «Non è eutanasia attiva, in quanto non ci sarà un farmaco che provocherà la morte. Ma neanche passiva: se l'alimentazione tramite sondino non è "terapia", non è cioè assimilabile a un farmaco, la sua cessazione non può essere detta eutanasia passiva».

Che cos'è allora? Un abbandono alla morte per fame e sete? «È l'interruzione di un trattamento di rianimazione risultato inefficace, deliberata in conformità a un orientamento espresso a voce dall'interessata in anni precedenti l'incidente ».

Possiamo giurare su una battuta detta in famiglia, non attestata per iscritto?
«Purtroppo no, non possiamo tirarne una conclusione sicura. Ma quelle parole di Eluana sono tutto ciò di cui disponiamo per cogliere la sua intenzione e possiamo fare credito ai genitori che le attestano - e che tanto l'amano - e ai magistrati che hanno vagliato la loro attestazione».

Lei è favorevole al testamento biologico?
«Lo vedo come uno strumento di libertà di fronte allo sviluppo delle
tecnologie mediche».

Ma la vita non è un valore indisponibile?
«Concordo sull'indisponibilità della vita, ma reputo che vada rispettata la libertà di chi rifiuta per sé un trattamento che lo mantiene in una condizione di vita che egli reputa non-vita. La vita si dice in tanti modi. Il principio primo non è quello della vita fisica da protrarre il più a lungo ma è quello della dignità della vita e questa si compie nella libertà personale».

Con il testamento biologico uno dovrebbe poter scegliere di non essere alimentato se venisse a trovarsi in stato vegetativo? «Ritengo che vi debba essere questa possibilità. Per me non la sceglierei, ma non sono sicuro riguardo a ciò che vorrei per i miei figli: c'è sempre divario nell'accettazione della propria sofferenza e
di quella dei figli».

Lei contraddice alcune affermazioni dell'arcivescovo Fisichella e del cardinale Bagnasco: che la Corte apra all'eutanasia e che l'alimentazione sia sempre dovuta...
«Auspico una maggiore saggezza nella parola degli uomini di Chiesa. Come si può tenere per certo che l'alimentazione tramite sondino non sia una terapia se gran parte della scienza medica la considera tale? E perché definire eutanasia qualcosa che formalmente non lo è? Non sarà alzando il tono della voce che si difende la vita».

15/11/08

Benedetto XVI - Più spazio alle Donne nella Chiesa.


Benedetto XVI ha voluto ribadire oggi "quanto la Chiesa riconosca, apprezzi e valorizzi la partecipazione delle donne alla sua missione di servizio alla diffusione del Vangelo. "L'uomo e la donna - ha ricordato nel discorso al Pontificio Consiglio per i laici - uguali in dignita', sono chiamati ad arricchirsi vicendevolmente in comunione e collaborazione, non solo nel matrimonio e nella famiglia, ma anche nella societa' in tutte le sue dimensioni".

In particolare, ha aggiunto, "alle donne cristiane si richiedono consapevolezza e coraggio per affrontare compiti esigenti, per i quali tuttavia non manca loro il sostegno di una spiccata propensione alla santita', di una speciale acutezza nel discernimento delle correnti culturali del nostro tempo, e della particolare passione nella cura dell'umano che le caratterizza".

Il ruolo delle donne nella Chiesa e nella societa' era stato esaltato venti anni fa da Giovanni Paolo II con la lettera apostoolica "Mulieris dignitatem" che Papa Ratzinger ha citato oggi esortando i cardinali, vescovi e sacerdoti ma anche i responsabili delle associazioni e movimenti laicali presenti all'incontro in Vaticano a trarne spunto per la loro azione.

Tra le "questioni di speciale rilevanza" per le quali il Papa apprezza l'impegno del Pontificio consiglio per i laici c'e anche "quella della dignita' e partecipazione delle donne nella vita della Chiesa e della societa"'. E "mai si dira' abbastanza di quanto la Chiesa riconosca, apprezzi e valorizzi la partecipazione delle donne alla sua missione di servizio alla diffusione del Vangelo".

Benedetto XVI lo ha detto nell'udienza concessa ai partecipanti alla assemblea plenaria del Pontificio consiglio per i laici, guidati dal presidente, cardinale Stanislaw Rylko.

11/11/08

Il Vangelo della Domenica - I mercanti del Tempio.


Gv 2, 13-22
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Ho notato che spesso i commenti su questa pagina di Giovanni si soffermano sulla meravigliosa parte finale, metaforica, nella quale Gesù identifica se stesso come il Tempio, lasciando ovviamente i suoi in uno stato di totale in-comprensione, che supereranno soltanto dopo la Resurrezione, intendendo il significato di quelle parole.

Su questo brano, naturalmente si potrebbe dissertare a lungo. Ma a me risulta oggi ancor più interessante riflettere sulla prima parte di questo racconto, e cioè sul celebre episodio della cacciata dei mercanti dal Tempio. Mi piacerebbe riflettere - e spero che anche la Chiesa di oggi non smetta di rifletterci ( che pesantezza e che rudezza inequivocabile hanno quelle parole: "non fate della casa del Padre mio un mercato" ! ) - sul fatto che, a quanto io ne sappia, questa è l'unica scena in tutti i Vangeli, in cui si vede Gesù Cristo preda di un istinto iroso. Che quasi si trasforma in violenza, rovesciando i banchi dei mercanti, mettendo tutto a soqquadro, usando addirittura una frusta di cordicelle.

Insomma: è l'unica volta in tutti i Vangeli in cui vediamo Gesù alzare le mani, scagliarsi contro qualcuno, usare, potremmo dire come si dice oggi, 'la forza'.

Gesù non alza le mani nemmeno quando vengono a prenderlo, nemmeno quando dicono di lui le cose peggiori, quando lo insultano, quando lo umiliano in ogni modo.

Cos'è dunque che genera questa reazione inaspettata, in Lui ?

E', a quanto ne sappiamo, a quanto vediamo, dal racconto evangelico, il commercio, il mercimonio che si fanno sfruttando la fede. Sono addirittura i discepoli a rimproverargli un eccesso di zelo, ma Gesù, con questa risposta a doppia chiave, non sembra preoccuparsi, sembra quasi che dica: "se il Tempio è diventato questo, tanto vale distruggerlo e ricostruirlo dalle fondamenta. "

Per questo seguo con molto interesse in questo periodo, l'operato di molte persone, fuori e dentro la Chiesa (e quelle 'fuori' in questo momento sono forse anche più importanti) che si adoperano per 'rifondare' la nostra fede. La nostra fede non va fondata. E' stata già fondata da Gesù Cristo. Dalla sua persona. Ma oggi quella costruzione - proprio come esemplifica questo racconto evangelico - sembra essersi 'sfaldata' a causa anche di valori non consoni introdotti nei secoli, a errori, a omissioni e peccati e passi falsi di chi - umanamente, con tutti i difetti degli umani - l'ha costruita. E' per questo che non bisogna aver paura, con la guida e il riferimento unico del Fondatore, di ri-fondare la fede, di darle nuovo impulso, nuova linfa, nuova vita, scacciando anche - se occorre - tutti i mercanti dal Tempio, coloro che dovessero sfruttare la fede per i propri umani profitti.

07/11/08

OBAMA PRESIDENTE - Il commento di Enzo Bianchi


Cari tutti, è una settimana storica: Barack Obama è il 44.mo presidente degli Stati Uniti d'America, il primo con sangue afro-americano nelle vene, in tutta la sua storia. Vi riporto di seguito il bellissimo articolo scritto per l'avvenimento da Enzo Bianchi su La Stampa di ieri.


Il dialogo di Obama
La Stampa, 6 novembre 2008

In una società con tradizioni culturali e meccanismi elettorali segnati dalla personalizzazione delle sfide, non sorprende che chi è o sa apparire portatore di cambiamenti desti attese e susciti speranze dai tratti messianici. Soprattutto se mostra capacità di dialogare con le persone a cui si rivolge, se riesce a far sentir loro che le considera non come massa ma come parti di un corpo solidale, un corpo che nutre sogni condivisi e che è consapevole del fatto che “insieme possiamo farcela”.

Non stupisce allora che alla fine del discorso con cui Obama ha annunciato di aver vinto la corsa alla Casa Bianca, questa interazione tra il candidato e i suoi sostenitori abbia assunto tratti tali da richiamare la dialettica tra coro e protagonista propria della tragedia greca o la dimensione della litania alternata tipica di alcune celebrazioni liturgiche. Rievocare i passaggi salienti della storia della democrazia americana nell’ultimo secolo, ricordarne le lotte, le difficoltà, i sogni e le speranze e suscitare nell’uditorio l’adesione esplicita e ritmata - “Sì, possiamo farcela” - non attiene allora unicamente alla conoscenza e all’abilità nell’uso del “mezzo che è il messaggio”, ma riveste una dimensione più profonda, interiore.



Non basta infatti padroneggiare l’arte oratoria, non basta mutuare meccanismi e strumenti tipici dei concerti live o dei mega-raduni – come sovente avviene in quel paese anche in ambito di celebrazioni religiose ed ecclesiali – non basta far leva sull’emotività. Bisogna aver creato qualcosa prima, più in profondità, in quello spazio di interiorità dove ciascuno coltiva più o meno consapevolmente la propria dimensione spirituale. E per fare questo bisogna saper ispirare fiducia, attivare un dialogo, creare una dimensione che è comunitaria e non solo collettiva. Bisogna che ciascuno, indipendentemente dal colore della sua pelle, dalla sua storia, dalle sue sofferenze, senta di essere parte di una realtà più grande, dove i sogni e i bisogni di ciascuno sono presi in carico da tutti, superando individualismi e divisioni.

Certo, vedere e sentire migliaia di persone rispondere ai sogni rievocati come imprese del passato e impegni per il futuro con una formula analoga all’amen delle liturgie - “Sì, è così, lo possiamo!” - ha un forte impatto, soprattutto quando l’attesa si è caricata di ricordi e di speranze di altri tempi, di stagioni che avevano visto i narratori di un sogno come Martin Luther King e Robert Kennedy finire brutalmente assassinati. Eppure, in questa sorta di liturgia catartica si cela anche una pericolosa insidia: se quel flusso di dialogicità si interrompe, se la percezione di essere ascoltati e capiti si spezza, se la realtà quotidiana della convivenza nella polis contraddice il sogno comune intravisto come possibile, saranno proprio i tratti messianici a rivoltarsi in delusione cocente: troppe volte nella storia abbiamo visto gli osanna mutarsi repentinamente in “crucifige”. Sì, cantare insieme la speranza significa anche non delegare a una sola persona, per quanto carismatica, il faticoso lavoro di costruire insieme un futuro più giusto.

Enzo Bianchi

04/11/08

Il Vangelo della Domenica - Le Beatitudini.


Come si può pretendere di commentare le Beatitudini ? E' im-possibile. Si possono soltanto leggere e rileggere. Lasciare che fermentino dentro ognuno di noi, come è sempre stato. Occorrerebbero trattati e trattati, e nemmeno quelli riuscirebbero a dare forma teorica-esegetica alle parole più intense, più straordinarie, che si siano mai udite da orecchio umano su questo mondo.

VANGELO
Mt 5,1-12

In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, salì sulla montagna e, messosi
a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli.
Prendendo allora la
parola, li ammaestrava dicendo:
"Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi, quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo,
diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi
ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli".


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02/11/08

STRAORDINARIO RITROVAMENTO IN ISRALE: il più antico testo ebraico mai trovato !



E' davvero una notizia straordinaria:


Cinque righe tracciate da uno scriba di tremila anni fa stanno destando la massima emozione fra alcuni archeologi israeliani secondo cui sembra trattarsi del "piu' antico testo ebraico" mai trovato finora.


Ad accrescere il dramma vi e' lo scenario in cui il coccio di 15 centimetri per 15 e' tornato alla luce: la morbida e verdeggiante valle di Elah, a sud-ovest di Gerusalemme, dove secondo la Bibbia il pastore (e futuro monarca israelita) Davide affronto' spavaldamente il guerriero filisteo Golia.

Secondo la cronologia tradizionale il regno di Davide si sviluppo' mille anni prima di Gesu' Cristo: altri ritengono che il re sia vissuto invece verso il 900 a.C. . Esami al carbonio effettutati su noccioli di uliva trovati vicino al coccio in questione li fanno risalire ad una data compresa fra il 1050 e il 970 a.C.

La scoperta e' il frutto di scavi avviati a giugno da un professore della Universita' ebraica di Gerusalemme, Yosef Garfinkel, nella zona di Khirbet Qeiyafa, nel cuore della valle di Elah. Lo studioso era attirato in particolare dai resti di una struttura possente, la Fortezza Elah. Situata a due giornate di marcia da Gerusalemme e a una decina di chilometri dalla importante citta' filistea di Gath, sembrava essere un avamposto del regno di Giudea. Le mura esterne avevano un perimetro di 700 metri, la loro larghezza era di quattro metri. All'interno c'era una guarnigione di 500 uomini: la assenza nella zona di ossa di suini fa pensare che si trattasse di una postazione di israeliti. Gia' allora si vietavano il consumo di carne di maiale.

Ed e' la' che e' stato ritrovato il coccio, scritto con caratteri che gli studiosi chiamano 'proto-canaanei'. Da quella scrittura si sarebbero poi sviluppati l'ebraico e altre lingue semitiche. Superato lo sbalordimento iniziale, gli studiosi hanno iniziato la decifrazione dei caratteri che non erano incisi, ma erano stati tracciati con un inchiostro prodotto dalla mistura di carbone e di grasso animale.

Dopo un termine iniziale di divieto ("Non fate...") l'anonimo scriba traccio' altre parole, sottolineate da righe nere, che in parte sono state cancellate dal tempo. Tre parole sono state identificate con certezza: 'Re' (Melech); 'Giudice' (Shofet); 'Schiavo' (Eved). Ma non viene escluso che quei caratteri siano solo la parte di nomi privati: ad esempio, Achimelech ed Evedel.

Per proseguire l'esame del coccio gli studiosi israeliani faranno ricorso alla tecnologia. Negli Stati Uniti esiste a quanto pare la capacita' di ricostruire le lettere scomparse, sulla base di labili tracce rimaste nella materia. Secondo gli studiosi della Universita' di Gerusalemme la importanza di questa scoperta potrebbe rivelarsi paragonabile a quella dei Rotoli del mar Morto: testi religiosi che risalivano ad "appena" duemila anni fa.

fonte Aldo Baquis per Ansa - da Tel Aviv, 31 Ottobre 2008.

01/11/08

L'eroismo cristiano.



Oggi nel giorno in cui la Chiesa festeggia tutti i suoi santi, mi tornano in mente le parole che ho ascoltato qualche anno fa pronunciate da Enzo Bianchi, in una famosa e bellissima trasmissione radiofonica, Uomini e Profeti, che da anni conduce meravigliosamente Gabriella Caramore.

Bene, spesso noi cristiani - noi che facciamo riferimento a Cristo, nelle nostre vite - ci sentiamo un po' schiacciati dal Suo esempio di morte in Croce, e dall'esempio di molte vite di Santi che hanno fatto vite eroiche, che sono giunti spesso al punto di dare la vita, per la causa dell'amore.

Allora ci viene da domandarci: "Mio Dio, ma allora cosa mai dovrò fare io, cosa mi sarà richiesto, a me personalmente, per poter entrare nel Regno, per vedere il Suo volto ? "

E' proprio la domanda che la Caramore rivolse a Enzo Bianchi. Il quale rispose, nel suo solito stile, semplice, diretto, essenziale: no, disse, il cristianesimo non esige alcun atto d'eroismo. Il cristianesimo, Cristo, non ha questo tipo di esigenze. Il cristianesimo è esigente soltanto su un punto: sull'amore. E' l'unico comandamento che ci viene richiesto, che è necessario per entrare nel Regno dei cieli.

Un amore che non è un volersi bene generico, però. Un amore che non ha nulla di consolatorio, nulla di romantico, nulla di accomodante. Assolutamente nulla. Un amore totale, un donarsi reale all'altro, un essere solidale con lui, un vivere con lui e come lui: è l'amore di una madre per un figlio, è l'amore di un amico che dà tutto quello che può - e anche di più - per un amico in difficoltà, è l'amore gratuito, senza interessi, senza calcoli, senza doppi fini, senza invidie, senza do ut des.

E' l'amore senza. E l'amore punto e basta. E questo, e soltanto questo, è l'eroismo quotidiano che ci viene richiesto.


Il sito di Uomini e Profeti:

http://www.radio.rai.it/radio3/uomini_profeti/

31/10/08

Vittorio Messori - Gli stupefacenti segnali che ho ricevuto da Dio.



Davvero sorprendenti queste rivelazioni dello studioso cattolico Vittorio Messori (coautore con Papa Wojtyla di "Varcare le soglie della speranza" e con il card. Ratzinger di "Rapporto sulla fede"), che in nuovo libro-intervista racconta di sè, di come si e' avvicinato a Dio quando era un giovane cronista a Torino, nell'estate del 1964, sfogliando dopo tanti anni un Vangelo.

"Il libricino - ricorda - usci' polveroso, non so come, dai recessi dell'armadio. Non ho ricordo di note che, anche se ci fossero state, sarebbero state arse dalla vampata che eruppe da quel testo. Neppure in questo, dunque, ci fu la mediazione di qualcuno: di un biblista che commentasse quei versetti, di una Chiesa, di un prete, di un amico. Un incontro nudo e crudo, nella mia piccola stanza al piano rialzato del 27 di via Medail, dalla quale non vedevo strade ne' persone ma un cortiletto sempre deserto.

Fu un andare a sbattere, senza intermediari, con una Parola che divenne carne". L'episodio e' raccontato dallo stesso Messori nel libro-intervista scritto con Andrea Tornielli, "Perche' credo", edito da Piemme. Molto citato, nella conversazione, lo scrittore Andre' Frossard, autore del best seller degli anni '70 "Dio esiste, io lo ho incontrato". Ma se a Parigi era stato l'atmosfera di una chiesa a aprire il cuore di Frossard, ad accendere il fuoco della fede in quello di Messori non era bastato, qualche anno prima, l'evento straordinario di una telefonata dall'al di la'.

"Erano gli anni del liceo ed ero - rivela - ancora lontano dalla svolta che mi avrebbe 'costretto' alla fede. Era il primo anniversario della morte di Aldo, lo zio materno morto giovane per un ictus cerebrale. Solo in casa dormivo del sonno pesante di quel giovanotto in salute che ero, quando fui svegliato dal telefono. Alzai la cornetta: un gran caos di disturbi elettrici, di fischi, di raschi, i disturbi che c'erano allora sulle linee quando la chiamata era interurbana e veniva da molto lontano. Dopo qualche mio 'Pronto! Pronto!' mi arrivo', chiarissima, inconfondibile, la voce, che ben conoscevo, di mio zio.

Mi disse, affannato, parole che ancora adesso ricordo come se le avessi udite ieri: 'Vittorio, Vittorio! Sono Aldo! Sto bene! Sto bene!'. Subito dopo, il rumore che annunciava la caduta della linea, la fine del collegamento. Guardai l'ora. Come mi confermarono poi i miei genitori, era quella, esatta al minuto, della morte dello zio, giusto un anno prima".

Rispondendo a Tornielli, Messori ammette candidamente di aver "esaminato ogni altra possibilita'" dopo quella straordinaria telefonata. "Ho finito con l'arrendermi all'evidenza, non essendo come gli ideologi, gli atei in primis, che fanno prevalere sui fatti il loro schema aprioristico: era proprio zio Aldo, sua era la voce, non reggono ipotesi di scherzi macabri, equivoci, allucinazioni.

Ne' mi e' possibile pensare a un sogno, visto che ero ben sveglio sia durante sia dopo la telefonata: in effetti, quella notte non tornai piu' tra le coltri e attesi in piedi l'alba".

Una telefonata che tuttavia "non basto'" ad avvicinarlo alla fede: "passata la sorpresa - confida lo scrittore - rimossi presto il ricordo di quella notte, mettendo l'episodio tra le singolarita' inspiegabili in cui a tutti puo' capitare di imbattersi.

Gesu' stesso ci avverte, nella parabola del povero Lazzaro, quando il ricco, ormai morto, chiede ad Abramo di poter avvertire i cinque fratelli perche' non finiscano essi pure all'inferno. Ed Abramo: 'Se non ascoltano Mose' e i Profeti, non sarebbero persuasi neanche se qualcuno risuscitasse dai morti'.

Per Messori, che lo ha sperimentato su se stesso, "c'e' un mistero di accecamento" per gli uomini "che si lagnano del 'silenzio di Dio'. Spesso non e' Lui che e' muto, siamo noi che siamo sordi. E' vero che, per rispettare la liberta' delle creature, il Creatore ha scelto di praticare la 'strategia del chiaroscuro'. Ma, lo dice la parola stessa, accanto al buio c'e' anche la luce: ed e' proprio questa che spesso ci si ostina a non vedere".

Nell'intervista rilasciata a Tornielli, lo scrittore racconta anche di una sua inchiesta compiuta su un analogo episodio "paranormale" accaduto ad un facoltoso professionista torinese che si era rivolto per telefono a un istituto di suore per un'infermiera. La sera dopo si presento' una religiosa nel suo abito austero e da allora, ogni notte, venne puntualmente a vegliare al capezzale dell'uomo. Guarito, decise per prima cosa di andare con la moglie all'istituto della religiosa per salutarla e ringraziarla ancora dell'assistenza. In portineria si stupirono per il nome della suora perche' una di loro aveva portato quel nome: per tutta la vita aveva assistito i malati e che aveva lasciato un ricordo esemplare. Ma era morta da molti anni".

Comprensibilmente, quei coniugi non sapevano capacitarsi. "Li condussero - racconta lo scrittore - nel piccolo cimitero al fondo del giardino del convento e mostrarono loro la tomba, con la foto della defunta sotto la croce: ne segui', ovviamente, un rischio di malore per la coppia, visto che entrambi la riconobbero senza esitazione. Era proprio lei".

"Sulle prime - spiega Messori a Tornielli, che fedelmente riporta - pensai a una sorta di leggenda metropolitana, ma alla fine mi decisi e andai a conoscere quei coniugi. Mi confermarono tutto, senza esitazione, eppure con pudore, temendo, stimati borghesi com'erano di essere scambiati per allucinati. In effetti, mi accolsero con cortesia, mi raccontarono, concordi, com'era andata ma con altrettanta concordia, malgrado le mie insistenze, non mi permisero di parlarne sul giornale. Volli completare, approfittando delle mie conoscenze nel giro religioso per ottenere dalle religiose di mostrarmi quella sepoltura. Vi sostai, ovviamente, con emozione: ma, a quel tempo, la scoperta della fede era gia' avvenuta. Se non potei scriverne allora, lo faccio adesso perche', vista l'eta', credo che quei due siano gia' andati da tempo a salutare e ringraziare quella misteriosa infermiera notturna. Dai cenni che mi fecero, mi parve di capire il perche' di quelle visite: con pazienza, con amabilita', con l'esempio, la suora giunta dall'Aldila' li aveva riavvicinati alla fede, li aveva indotti addirittura a riscoprire i sacramenti. Insomma, le era stato concesso un prolungamento dell'apostolato che aveva esercitato in vita".

Secondo Messori, "in casi come questi si dimostra come il vero libero pensatore sia il credente. Questo constata i fatti e, se sono oggettivi e provati, li accetta, anche se vanno al di la' degli schemi razionalisti e dell'esperienza comune.

Il non credente, invece, e' prigioniero del suo schema ideologico: se i fatti non vi rientrano, tanto peggio per i fatti, una spiegazione 'naturale' bisogna assolutamente cercarla, altrimenti va in crisi il pre-giudizio. E, se non adesso, la spiegazione - conclude - la si trovera' in futuro".

fonte AGI

27/10/08

Il Vangelo della Domenica - Il Comandamento più Grande.



Dal Vangelo secondo Matteo
22,34-40

In quel tempo, i farisei, udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: "Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?".

Gli rispose: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti".

Amare il Signore e Amare il prossimo tuo, ci dice Gesù, piuttosto chiaramente, sono due lati della stessa medaglia. E sono le due regole principali che Egli ci indica, per rispettare la Legge, e dunque entrare nel Suo Regno.

Ma io direi persino di più: secondo quanto Gesù dice non solo sono due facce, ma sembra essere proprio la stessa cosa: Gesù usa infatti il termine 'simile'. Simile, cioè 'uguale'.

E' già l'etimologia stessa della parola a guidarci: Simile deriva dal latino similem, cioè "che ha sembianza di quello che si dice esser simile. " Dunque, a me piace pensare proprio questo, e non mi sembra di illudermi, ma anzi di interpretare fedelmente le parole riportate da Marco: amare Dio, amare il Signore è la stessa cosa, ha cioè la stessa sembianza, che amare il tuo prossimo.

Ed è la stessa cosa proprio perchè l'uomo è - contiene - la stessa impronta di Dio. L'uomo è strettamente legato a Dio, il suo creatore. L'uomo non è un qualsiasi accessorio dell'immensa creazione. L'uomo è lo specchio di Dio nella creazione. E' anche - potremmo dire - lo specchio critico, nel quale Dio valuta la sua creazione.
Da ciò discendono conseguenze importanti: amare il prossimo E' amare il Signore. Odiare il prossimo E' odiare il Signore.

Ma Dio - Gesù - ci chiede di amare tutti ??? Proprio tutti ??? Non possiamo risparmiarci almeno qualcosa, lasciare il nostro umano risentimento per qualcuno che proprio non riusciamo a sopportare, non possiamo perdonarci almeno la nostra invidia, il nostro rancore, la nostra piccola vendetta per qualcuno che proprio la merita ???

La risposta di Gesù è 'No'.

Per questo la legge cristiana non è affatto semplice, ed è il contrario del 'volemose bene' nel quale il cristianesimo purtroppo - e ancora oggi - è stato così spesso annacquato. Volere bene al prossimo significa volere bene a Dio, e amare il prossimo con la mente, con il cuore e con tutta l'anima, significa amare il prossimo tuo come ameresti e come ami te stesso (perchè solo noi stessi, a quanto pare, riusciamo ad amare con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente).

Ma questo non basta per essere alla Sequela di Gesù. Amare se stessi non basta. Bisogna uscire da se stessi, dal proprio centro di (auto) riferimento. E solo così, soltanto in questo unico modo, si va anche verso il Signore-creatore.
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24/10/08

Leggere il Vangelo.


Conosco molti amici che mi chiedono, di tanto in tanto: " ma come è che ci si converte ? " Sono persone a cui 'piacerebbe' credere. Che si definiscono anche cristiani, se proprio devono, ma che non hanno mai avuto una illuminazione profonda, riguardo alla loro fede. Sono sempre alla ricerca di qualcosa che li convinca definitivamente, che li scuota, che cambi davvero le loro vite.

E chiedono: "come si fa ? Dove trovo quell'acqua che cura, che consola e che convince, che fa sperare, che mi cambia ?"

L'unica risposta che conosco a questa domanda è: il Vangelo.

Ciascuno, io credo, può parlare semplicemente per la propria esperienza. Ma, andando avanti, mi sono reso conto che per molti è stato così. Un giorno, perchè si è in crisi - parola oggi quantomai abusata - o perchè non si sa dove sbattere la testa, o perchè consigliati da qualcuno, o per caso, ci si imbatte nel Vangelo.

Lo si comincia a leggere tutto, dall'inizio alla fine. E piano piano, ci si accorge che succede qualcosa di molto profondo. Si sentono vibrare corde interiori mai sentite prima. La cosa che io posso dire è questa: bisognerebbe leggere uno dei Vangeli - non importa quale, anche se secondo me il migliore per cominciare è quello di Matteo - per intero. Meglio se di mattina, un capitolo per volta, ogni mattina, e tutte le mattine finchè non si è finito. Seguendo l'ordine di quella Storia che conosciamo già, che ci sembra già scontata, che ci sembra non ci possa più dire nulla, e che invece ogni volta è capace di rinascere dentro di noi.

Non c'è altro modo, per 'convertirsi'. Che non significa altro che 'convergere' verso qualcosa (anche se ormai questo è diventato un termine brutto, come se ci fosse di mezzo una umiliazione, una rinuncia, una abdicazione, e invece è proprio il contrario).

Quelle parole ci parlano, possedendoci (proprio nel senso in cui dice C.G.Jung nel post precedente). Se le lasciamo entrare veramente, le parole di quell'Uomo che si proclamò Figlio di Dio, non ci lasceranno più.

foto in testa: "acqua" di Stefania Camilleri.

23/10/08

Il duello tra Atei e Credenti secondo Jung - Un presupposto sbagliato.



In tempi nei quali sembra essersi radicalizzato ancor di più il confronto tra i razionalisti-atei e i credenti-positivi, con una reciproca incomunicabilità, ritengo sia davvero utile rileggere questa paginetta di Carl Gustav Jung (davvero profetica), contenuta nella Risposta a Giobbe, testo di cui abbiamo già parlato qui:

In questa materia l'obiettività assoluta è ancora più difficile da raggiungere che altrove. Se si hanno convinzioni religiose positive, cioè se si "crede", si avverte il dubbio come estremamente sgradevole, o addirittura lo si teme. Per questo motivo si preferisce non analizzare l'oggetto della fede. Se invece non si hanno delle opinioni religiose, non ci si confessa volentieri il sentimento di una lacuna, ma o ci si vanta apertamente della propria spregiudicatezza, o si accenna almeno al nobile spirito di libertà su cui si fonda il proprio agnosticismo....

Ambedue, credente e agnostico, sentono senza saperlo l'insufficienze dei loro argomenti. L'illuminismo opera valendosi di inadeguati concetti razionalistici della verità e richiama l'attenzione, ad esempio, sul fatto che credenze come quelle nella nascita da una Vergine, nella qualità di figlio di Dio, nella resurrezione dei morti, nella transustazione e altre ancora siano del tutto assurde. L'agnosticismo afferma di non possedere alcuna nozione relativa a Dio o a un qualsiasi altro oggetto metafisico e si lascia sfuggire il fatto che non si possiede mai una convinzione metafisica, ma si viene posseduti da essa. Disgraziatamente anche i difensori della 'fede' operano spesso con gli stessi futili argomenti, soltanto nel senso opposto..

Ambedue i sostenitori di questi due opposti punti di vista sono posseduti dalla ragione che incarna ai loro occhi l'arbitro supremo e indiscutibile. Ma chi è "la ragione" ? Perchè dovrebbe essere l'arbitro supremo ? Non significa ciò, che è ed esiste un'istanza collocata al di sopra del giudizio della ragione, come ci viene confermato dalla storia dello spirito umano in tanti esempi ?


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20/10/08

Il Vangelo della Domenica - La moneta di Cesare.



Mt 22,15-21

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva ridotto al silenzio i sadducei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi.

Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?".

Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: "Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo". Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: "Di chi è questa immagine e l'iscrizione?". Gli risposero: "Di Cesare". Allora disse loro: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio".


E' senza alcun dubbio uno dei passi del Vangelo più citati, più equivocati, più fraintesi, e più strumentalizzati.

Ed è difficile interpretarlo correttamente, secondo me, se non si fa veramente silenzio, e non si lascia sedimentare la Parola, che anche in questo caso ha molto più da dirci, di quanto appaia a prima vista.

La domanda fatta a Gesù è capziosa. E' frutto addirittura di un complotto, ordito da farisei ed erodiani per indurre il Profeta a inciampare, a fare - come diremmo oggi - una 'gaffe' screditante agli occhi dei suoi 'sostenitori'.

La domanda che costoro fanno è se 'pagare il tributo a Cesare sia lecito'. E già qui ci sarebbe da discutere, perchè loro non chiedono se sia 'giusto', ma 'lecito', ed è già una bella differenza.

Gesù, però, non cade nel tranello. Cosa vorrebbero che dicesse ? Che non è 'lecito' ? Che ai Romani, agli esattori, agli amministratori, non è lecito pagare tributo, ma soltanto a Dio ? Questa parola basterebbe a condannarlo a morte, subito.

Ma Gesù non elude la domanda. Dà anzi una risposta che più piena non si potrebbe: "Rendere a Cesare quel che è di Cesare (la sua moneta, la moneta che egli ha coniato, ovvero far restare in ambito mondano tutto ciò che è mondano), e rendere a Dio tutto ciò che è di Dio ( ovvero tutto ciò che non è mondano, cioè effimero, e sul quale Cesare, o chiunque altro Cesare nulla può).

La risposta di Gesù è tutto meno che qualunquista - come qualcuno l'ha interpretata a volte. Non dice: paga le tasse e stai a posto così. Non dice: i soldi sono una cosa, la spiritualità un'altra, e bisogna coltivare tutte e due.

Non dice niente di tutto questo.

Dice di rendere a Cesare, e cioè di far restare in quell'ambito, quelle cose che nella vita servono per vivere. Cioè la stretta materialità. E di dedicare a Dio tutto il resto. La separazione è chiara. Gesù l'ha affermata tante altre volte, in altri passi del Vangelo, non si può servire Dio e Mammona, ed è più facile che un cammello (o una corda) passino nella cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno dei Cieli.

Dio, dice Gesù, è un'altra cosa.

Dio vuole altro.

Non sa che farsene della moneta di Cesare.

E di questo, dovremmo ricordarci tutti.

18/10/08

Dziwisz alla presentazione del film "Una Vita con Karol": Wojtyla fece miracoli anche in Vita.


Il card. Dziwisz asserisce di essere stato testimone oculare di vari miracoli che sarebbero stati compiuti da papa Wojtyla quando questi era ancora in vita, tra i quali la guarigione di una giovane indemoniata. Lo racconta lo stesso Dziwisz, segretario personale di Giovanni Paolo II per tutto il suo pontificato, nel film-intervista "Testimonianza" tratto dal libro "Una vita con Karol", presentato questa sera in anteprima alla presenza di Benedetto XVI nell'aula Paolo VI, in Vaticano.

Dziwisz racconta, fra l'altro, della convalescenza di Giovanni Paolo II in clinica, dopo l'attentato del 1981. "Vicino al reparto in cui era ricoverato - ricorda il segretario - c'erano dei bambini malati di tumore" che lui amava visitare non appena si senti' meglio e che cercavano la sua presenza nella speranza di una guarigione. "La' io fui testimone di tanti miracoli".

Dziwisz racconta nel film anche di una giovane donna indemoniata condotta dal marito in Vaticano per un esorcismo, che pero' non riusci'. "Prima di andarsene, papa Wojtyla le disse: "domani diro' una messa per te. E lei guari"'.

Al di la' di questi fatti straordinari, emergono dal film numerosi aneddoti ed episodi in gran parte gia' noti, ma restituiti con la forza delle immagini e delle ricostruzioni cinematografiche, sottolineata in sala, gremita di cardinali, vescovi e molti polacchi, tra i quali Lech Walesa, un ex presidente della repubblica, un sottosegretario e altre autorita', da applausi e qualche risata.

L'arcivescovo di Cracovia racconta, ad esempio, di quando, da cardinale, A Ludzmierz in Polonia, cadde uno scettro da una statua della Madonna e il cardinale Wyszynski, che era con lui, gli disse ridendo: "Pare che la Vergine voglia dividere il suo potere con te", e di quando, dopo il conclave che lo elesse Papa, confesso' al suo futuro segretario: "Che cosa ho combinato!".

Un gruppo di attori rappresenta, nel film, le molto vociferate fughe in incognito di Wojtyla dal Vaticano per andare ad immergersi nella natura che tanto amava. Poi, riprende il racconto del cardinale Stanislaw: parla della visita in Polonia, di Solidarnosc, e della lettera scritta a Breznev quando la Russia pensava all'intervento militare, che non ricevette mai risposta e non fu mai divulgata, ma in cui era scritto che "la nazione ha diritto alla liberta"'.

Ed ecco il momento dell'attentato per mano di Ali' Agca: "Ricordo i piccioni che scappavano in alto dopo gli spari, come in un film - dice Dziwisz - che mi e' rimasto per sempre negli occhi". Il primo pensiero di Wojtyla fu per l'attentatore che subito perdono', prima confidandolo al segretario, poi scrivendo una lettera mai spedita in cui scriveva: "Come possiamo presentarci al Signore se non ci perdoniamo?". Successivamente espresse personalmente il proprio perdono al killer turco.

Ma Wojtyla, racconta ancora il segretario, affermando di poter ora rivelare "quello che finora abbiamo tenuto segreto" subi' un altro attentato, in realta' documentato dalle cronache.

Quando si reco' a Fatima nell'82 per portare alla Madonna il proiettile che l'aveva colpito e ringraziarla di avere avuto salva la vita, un sacerdote invasato gli si getto' addosso con un coltello. Il Papa continuo' la cerimonia e sembro' che il colpo non fosse andato a segno, ma quando torno' in camera, Dziwidz vide di persona che era stato ferito.

"Tremavamo tutti dopo l'attentato dell'81 - prosegue l'intervista - ma lui ripeteva che non potevamo vivere nella paura", e prosegui' il suo apostolato, che lo porto' presto, da Papa nella sua Polonia, dove volle incontrare ad ogni costo Lech Walesa e si rifiuto' di 'ammorbidire' i suoi discorsi, come gli era stato richiesto dal regime comunista. Sei anni dopo, cadeva il muro di Berlino. Poi vennero molti altri viaggi. In partenza per Cuba, un giornalista gli domandava se sarebbe successo li' quello che era successo in Polonia, e lui rispose, "perche', era andato male?'. E poi, "non sono un profeta".

Infine, le immagini si chiudono sul periodo della malattia e della morte, gia' rese ampiamente pubbliche. Dziwisz testimonia, in chiusura, della sua ultima uscita, quando non riusci' a parlare. Allontanatosi dal balcone, gli sussurro': "se non posso piu' stare con la gente e parlare con loro, e' meglio che me ne vada". Scrisse su un biglietto Totus tuus, e comincio' la sua coraggiosa agonia.

15/10/08

I nostri morti.

I nostri morti non ci hanno abbandonato. Se ne sono andati lasciandoci senza parole.

Avremmo voluto ancora dire loro qualcosa. Qualcosa che non siamo riusciti. E quella parola ci è rimasta dentro.

Immaginiamo i loro occhi che ci guardano di notte, ci sentiamo sfiorati quando meno ce lo aspettiamo. Li sentiamo mormorare parole indistinte, nella penombra.

I nostri morti si sono dileguati troppo presto. Hanno stabilito un vuoto nelle nostre vite. E qualche volta pensiamo di risolvere quel vuoto, non pensandoci. Invece, quel vuoto è sempre lì. E ogni giorno è sempre più vuoto, sempre più fondo. Nasconderlo, non serve.

I nostri morti ci chiedono di vivere
. Hanno nostalgia della vita. Ci chiedono di essere la loro prosecuzione su questa terra che hanno lasciato a fatica. Non soltanto perchè portiamo in giro i loro geni, il loro stesso materiale biologico, che è il nostro. Padri, madri, sorelle, fratelli, figli. Vivono separati da un vetro.

Ci osservano. Ci chiedono di interrompere il nostro insensato incedere di tutti i giorni. Di fermarci ad osservare le nostre vite fatte spesso di niente. Ci chiedono di fare loro spazio. Di non annullarli, di non far finta di niente, di non dimenticarli. Ci chiedono di portarli in giro, di far vedere loro il mondo ancora, e sempre, con occhi nuovi.

Ci proteggono. Ci mandano segnali. Noi non li sentiamo, quando siamo troppo presi, troppo indaffarati o indifferenti. Allora ci chiamano di nuovo, e ci mandano altri segnali. E ci proteggono quando non vogliamo ascoltarli, e siamo in pericolo. Sperano che ci accorgiamo di loro. Sperano che gli parliamo, ancora, e sempre, nel buio, nella pioggia del giorno, nelle giornate che non finiscono mai.

Ci aspettano. Vogliono essere con noi, insieme, nella ultima speranza che contiene ogni mistero, e che ci attende, alla fine di questo viaggio finito.