31/03/09

Jabès - L'Ospitalità che crea il nostro essere Persone.


Quando morì Edmund Jabès, il 2 gennaio del 1991, si disse subito: uno dei massimi poeti contemporanei. Ma non solo, perché Jabès, l’esule egiziano trapiantato a Parigi, lasciando un corpus di riflessioni e testi filosofici, ha anche esplorato – sempre in modo poetico – alcuni temi capitali della contemporaneità. Uno di questi è il tema dell’accoglienza, dell’essere straniero, dell’ospitalità che sembra, mai come in questi tempi, cruciale per le sorti del mondo.

Cruciale anche per noi cristiani, che dovremmo fare dell'ospitalità all'altro, al clandestino, al rifugiato, all'esiliato, al derelitto, al sofferente, al fuggitivo, al povero, all'emarginato, la nostra bandiera di vita. Purtroppo invece nella nostra bella Italia cristiana succede esattamente il contrario, come illustrato, assai amaramente dal pezzo pubblicato oggi in prima pagina sul Corriere della Sera da Gian Antonio Stella e che potete leggere cliccando qui.

All’ospitalità Jabès dedicò un libro ( in Italia: Il libro dell’Ospitalità – Edmund Jabès, Raffaello Cortina Editore, 1991 ).

E l’ospitalità di cui parla Jabès, la ricchezza maggiore per un individuo, per una persona: è quella che permette a due estranei di incontrarsi e di (ri)conoscersi. Con l’incontro, lo svelamento reciproco:

Posso rivelare il mio nome soltanto a colui che non mi conosce.
Colui che conosce il mio nome, lo rivela a me.

E’ dunque solo l’altro, colui attraverso il quale io posso imparare il mio nome. E’ grazie alla sua accoglienza/ospitalità che io posso identificarmi. Ed è l’attesa di/per qualcuno che genera la sua presenza, le concede significato:

Tu esisti perché io ti attendo.

Anche attendere non è quindi un’operazione passiva, ma creativa. La parola ospite, infatti ha in lingua italiana, una doppia valenza, attiva e passiva: colui che ospita, e colui che è ospitato

L’ospitalità, dice Jabès, è crocevia di cammini. Ma noi sappiamo aspettare l'atteso ? Sappiamo riconoscerlo ? Sappiamo ospitarlo ?
.

27/03/09

Signore dei Tempi e degli Attimi - Una preghiera.


Cari amici, capita, di tanto in tanto, di imbattersi in un testo antico, ricoperto di polvere, che parla al nostro cuore e alla nostra fede, con una freschezza, una attualità e una potenza che ci sorprende e crea come un lago di pace nei nostri giorni affannati. Mi è successo con questo testo di un anonimo siriaco, che non conoscevo, e che voglio condividere con voi.


Signore dei Tempi e degli Attimi.

Quando viene la sera,
dov’è dunque la luce di questo giorno?
La sera spoglia ogni uomo,
lo distende per il sonno,
mostrandogli che tutti i suoi beni
restano quaggiù.

Gli leva le vesti,
lo mette a nudo.
Così la morte spoglia l’uomo
dei suoi beni.

Appare il mattino
e rende le vesti
a coloro che se ne rivestono:
figura della Risurrezione,
grandioso stupore.

Dì a te stesso questo:
quel che la sera ti toglie,
il mattino te lo rende
perché tu te ne copra le membra.

Svegliaci Signore,
dalla sonnolenza di questo mondo.
Allora in colui che viene
noi erediteremo la vita con i tuoi santi.

Donaci di rivestire
le vesti appropriate
per la sala del banchetto
e di prepararci
dei sontuosi mantelli di virtù.

Lode a te, mio Signore,
che hai separato la notte dal giorno,
e li fai immagini, parabole del mistero.
Noi ti confessiamo, Signore dei tempi e degli attimi.
Tutto se ne va, ma tu, tu resti te stesso
senza fine. Amen.



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24/03/09

Il cielo.

Al cielo, Dio mio, sembriamo proprio non riuscire più a guardare, se non quando ci informiamo sulle previsioni del Tempo. Eppure è lì nel cielo, il mistero che ci sovrasta, e del quale fatichiamo così tanto ad occupare la nostra mente.

Ecco allora questo semplice invito a ri-osservare il miracolo costante del cielo, con un video accompagnato dal Violin Concerto di Philip Glass, per i lettori de Il Mantello di Bartimeo ( va visto fino alla fine !)

23/03/09

Ma esiste un Piano Divino?





Ma esistono i piani divini ? Per tutta la vita ci dibattiamo in questa domanda: quello che mi succede dipende da quello che io faccio o decido, o dipende da quello che Qualcuno mi manda ?

Io, essendo cristiano, sono convinto che siano vere entrambe le cose (ma non so quanti cristiani oggi, quanti si definiscono tali, ne siano altrettanto convinti). Credo cioè che la nostra vita sia in perenne equilibrio tra le cose che noi decidiamo ogni momento della nostra giornata, e quello che non possiamo decidere, ma che 'ci capita', e che noi siamo chiamati costantemente a recepire, leggere, interpretare.
Sono cioè convinto che la volontà divina al nostro riguardo, non sia data una volta per tutte. Ma che la volontà divina nei nostri confronti sia come un padre nei confronti di un figlio. Noi possiamo decidere molto riguardo alla vita di nostro figlio: possiamo decidere come 'educarlo', e se sia giusto o no che esca di casa la sera, se ci piace o no la fidanzata che ci porterà a casa. Ma non possiamo decidere assolutamente TUTTO. Nostro figlio ci sfuggerà sempre, manterrà sempre una autonomia decisionale, ci sorprenderà sempre con i suoi atteggiamenti, le sue scelte, ecc... Un quid di incontrollabile, di imponderabile, di totalmente libero esisterà sempre in lui, come esisterà sempre la nostra libertà, autonomia, arbitrio, rispetto alla volontà divina. La volontà divina non è una tirannia. La volontà divina è come una 'cura' che si manifesta nei confronti di noi, figli. Ma noi possiamo curare quanto vogliamo un figlio, alla fine dovrà essere lui a dire 'sì' ai principi, all'educazione, alla cura che noi abbiamo riversato in lui. Ciò comporta una serie di importanti conseguenze:

1. Non possiamo lamentarci contro Dio perchè non manifesta la volontà che noi vogliamo da lui. Dio ci ha lasciati liberi di crescere. E nessuno potrà fare il cammino al posto nostro.

2. I segnali della 'cura' che Dio ci manda ci sono sempre, anche quando non li sentiamo, esattamente come quando un ragazzo non si accorge di quanto suo padre sia vicino a lui, di quanto voglia il suo bene, anche se non vuole o non può, o non riesce a sentirlo (e magari anche se suo padre non riesce a farglielo capire).

3. E' inutile affannarsi per capire cosa abbiano in mente i piani divini su di noi: i piani divini dipendono (anche) da noi, e senza di noi, cioè senza il nostro 'sì' alla cura, non può che prevalere l'istanza contraria a Dio (e cioè il male).

4. Esiste, però, nel piano della creazione, nell'imponderabile volontà divina, un quid (possiamo dire, banalizzando, il 20% ?) che noi non potremo mai comprendere, a proposito della vita: perchè un bimbo di 9 anni contrae la leucemia ? Perchè quella sera un mio amico è uscito di casa e un TIR l'ha investito ? Questo rimane un mistero, e in questa vita, nessuno potrà scioglierlo, e se questo appartiene o no alla volontà divina, lo scopriremo solo nell'aldilà. Ma per il resto, per quelli che sono gli avvenimenti consuetudinari della nostra vita - per le gioie, le speranze, le felicità, le ferite, le cadute, le mancanze, le rinascite - non dovremmo mai, credo, tirare in ballo troppo facilmente la 'volontà divina'.

18/03/09

Il perdono che non sappiamo dare.


Mentre la fede cattolica sembra ormai interessarsi soltanto alle esternazioni, alle polemiche, alle questioni legate all'etica, alla biologia, alla politica, ecc.. Il Vangelo sempre ci sorprende e - per fortuna - ci riporta al nucleo essenziale della nostra fede, a quel nucleo che è veramente importante, e senza il quale - si direbbe parafrasando San Paolo - assai vano sarebbe il nostro credere.

Uno degli aspetti principali della fede cristiana, la virtù che Cristo ha, in modo veramente rivoluzionario, calato nel mondo, è il perdono.

La liturgia di ieri ci ha riproposto questo semplice, straordinario brano del Vangelo: "In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?". E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. " La cosa che tutti dovremmo notare, credo, è che la domanda di Pietro non dice: "al mio fratello, se pecca contro di me e poi si pente ?" ma soltanto " se pecca contro di me".

Quindi, questo perdono iperbolico che il Signore ci richiede (70 volte 7, simbolo di pienezza) va - andrebbe - concesso non soltanto a chi pecca contro di me, ma anche a chi pecca contro di me, senza pentirsene.

Beh, se noi riflettiamo sulle nostre vite, su quanto ci è difficile anche solo perdonare una persona che ci ha fatto del male, e che si è pentita e che ci chiede perdono - il nostro orgoglio si oppone, sdegnosamente - figuriamoci quanto può essere difficile valutare e praticare il perdono per colui che ci ha offeso gratuitamente, e nemmeno se ne è pentito, ma anzi magari si vanta anche di quell'offesa.

Ma ogni volta io torno alla domanda iniziale: perchè il Signore ci chiede queste cose che umanamente ci appaiono im-praticabili, quasi utopistiche ? Io credo che ce lo chieda, perchè sa che nel cuore di un uomo questo perdono è possibile. Che l'uomo, nella sua grandezza (che contiene anche tanta bassezza) è capace della cosa più umana del mondo, e cioè di perdonare chi ti ha fatto del male.

Quanto bisogno abbiamo di perdono. Ma ancor di più quanto bisogno abbiamo di perdonare, di imparare a perdonare sul serio. Non basta una vita. Ma ogni giorno è buono (e santo) per provare ad iniziare.

13/03/09

La lettera del Papa ai vescovi sulla vicenda Lefebvriani: una amarezza senza precedenti.


Non so se da parte dei fedeli cattolici si sia percepita realmente la portata davvero umanamente sconvolgente della lettera che il Papa ha scritto ai vescovi sulla vicenda della revoca della scomunica ai Lefebvriani. Una lettera che non è esagerato definire 'drammatica', perchè Papa Benedetto XVI esce allo scoperto, e con toni davvero inediti, rende conto della sua personale, profonda amarezza, per come tutto l'affare della revoca della scomunica è stato vissuto 'mediaticamente', diventando giorno dopo giorno, una vera e propria colata di fango che ha finito per investire ogni buon proposito iniziale, la Curia Vaticana, l'autorità vaticana nel mondo, e la figura del Papa stesso.



Per chi non ha letto la lettera integralmente, consiglio di recuperarne la lettura, cliccando qui:




Ma insomma, anche dai resoconti di agenzia, credo si percepisca l'entità di questa situazione. Non capita spesso - anzi non è capitato quasi mai, credo, nella storia recente, che un Papa arrivi a dire che nella Chiesa (nella Chiesa cattolica) "ci si mangia e ci si divora. "

Una immagine fortissima, quasi 'dantesca'.


Insomma, dopo questa lettera, nessuno potrà più sostenere, che Oltretevere, tutto va bene, tutto fila via liscio. Se perfino il cauto Osservatore Romano parla di un Papa "coraggioso per una bufera senza precedenti. "

La situazione è piuttosto seria. Forse non sarà tutto come viene descritto da Marco Politi in questo pezzo su Repubblica on line, però davvero forse sarebbe il caso di realizzare cosa sta succedendo dentro le gerarchie della Curia Romana, se oggi anche il Segretario di Stato Card. Bertone ha sentito il bisogno di convocare le agenzie per ribadire che "Il Papa non è solo".


Un Papa solo ?


Davvero la Chiesa Cattolica, la Chiesa di Roma - almeno nei suoi vertici gerarchici - sarebbe ridotta a questo ?


11/03/09

Cristiani perchè tanta paura ?


Cari amici, anche riallacciandomi all'ultimo commento di Alessandro, e alla mia risposta, nel post precedente a questo, mi piace proporvi questo denso articolo comparso domenica sul Sole 24 ore a firma di Roberta de Monticelli.


Cristiani, perché tanta paura?
di Roberta De Monticelli
in "Il Sole-24 Ore" dell'8 marzo 2009


Ma esiste una «scuola medica-teologica-filosofica» del San Raffaele, come da più parti si dice?
Certamente c'è un nuovo personalismo, da molti di noi condiviso (sul Sole 24 Ore lo ribadisce Giorgio Cosmacini, che chiama giustamente «testamento biografico» il testamento biologico).

Come non rallegrarsi profondamente dell'eco che oggi trova la voce di un teologo come Vito Mancuso? Anche le reazioni di sconcerto o scandalo che essa provoca sono segno certo che con lei «lo spirito è al lavoro». Lo sentiamo, il suo soffio che ravviva, in un'idea grandiosamente semplice, che Mancuso esprime dal punto di vista teologico ed ecclesiologico, quando invita i cattolici a rinnovare «la svolta positiva che il Vaticano II ha introdotto fra cattolici e storia», estendendola «al rapporto con la natura».

Vista dal versante neuroscientifico, etico e filosofico questa è l'idea stessa che ha portato a fondare una facoltà filosofica di concezione tutta nuova. L'evento cosmico cui noi umani assistiamo da che esistiamo - lo stupefacente emergere della personalità e dei suoi mondi dalla materia e dall'energia di cui siamo fatti - dopo aver finalmente penetrato, con la modernità, la nostra consapevolezza e la nostra scienza, chiede oggi alla nostra ragione pratica-morale, giuridica, politica oltre che religiosa - di farsene carico. La nostra ragione matura con noi. Forse quello che veramente caratterizza l'intero «tempo moderno», sempre più incisivamente e rapidamente, è la crescita relativa della vita personale rispetto a quella sub-personale, che la nutre e sostiene. Cresce la parte di «natura umana» che ciascuno di noi «impersona», che ingloba nella propria personalità morale e spirituale, e di cui è chiamato a farsi responsabilmente carico. Cresce la parte di vocazione e decresce quella di destino.

Si allargano i confini della giurisdizione della coscienza morale di ciascuno: e questo vuol dire che molto più spirito si incarna e molta più natura si spiritualizza. Cioè si incorpora nella personalità degli individui: molti più fatti biologici, molti più legami sociali si fanno oggetto delle sensibilità personali. Per la responsabilità che ne portiamo ormai, nel bene e nel male. Oggi le posizioni del Magistero in materia di etica pubblica si riconducono in gran parte a una volontà
di limitare l'interpretazione personale della vita biologica: in nome della sua «indisponibilità», in nome della «natura».

Eppure le differenze personali nel modo di vivere la sessualità, la riproduzione della specie, la fine della vita attestano una «spiritualizzazione» della natura, un suo venire incorporata entro le vocazioni personali. Dove la biologia, il sesso, l'amore, la morte sono «impersonate », come si può rispettare la natura senza rispettare le differenze fra le persone? Là dove la natura si impersona e la personalità si incarna, lo spirito vive e soffia potenzialmente di più, e non di
meno, la sensibilità ai valori si allarga e non si restringe.

Il cristianesimo, la «religione dello spirito», è la radice di un personalismo che oggi più che mai è seme di intelligenza nuova. E lo spirito è fatto per rinnovare la mente di ciascuno, non dei soli credenti. Non porta un semplice rinnovamento del sentire e del pensare, ma la concezione stessa del divino come perenne nascita del nuovo in noi, anche attraverso l'immensa libertà che la quotidiana «morte» dell'«uomo vecchio» ci conquista rispetto al passato e alla cieca ripetizione di ciò che eravamo.

E allora perché tanta paura, tante difese? Perché così poca speranza?

09/03/09

Vito Mancuso - non c'è fede senza libertà.


Cari tutti, vi posto l'articolo "La Chiesa e la bioetica non c'è fede senza libertà" pubblicato oggi da La Repubblica, in prima pagina.

di Vito Mancuso

Le gerarchie cattoliche sottolineano spesso che i loro interventi sui temi bioetica sono condotti sulla base della ragione e riguardano temi di pertinenza della ragione, legati alla vita di ognuno, non dei soli cristiani. Per questo, aggiungono, tali interventi non costituiscono un`ingerenza negli affari dello stato laico. Scrive
per esempio il recente documento Dignitas persone che la sua affermazione a proposito dello statuto dell`embrione è «riconoscibile come vera e conforme alla legge morale naturale dalla stessa ragione» e che quindi, in quanto tale, «dovrebbe essere alla base di ogni ordinamento giuridico».

Allo stesso modo molti politici cattolici rimarcano nei loro interventi sulle questioni bioetiche che parlano non in quanto cattolici ma in quanto cittadini. Va
quindi preso atto che le posizioni cattoliche sulla bioetica, sia nel metodo sia nel contenuto, si propongono all`insegna della razionalità. Se questo è vero, se si tratta davvero di argomenti di ragione per i quali «mestier non era parturir Maria» (Purgatorio 111,39), allora le posizioni della Chiesa gerarchica sulla bioetica
sono perfettamente criticabili da ogni credente.

L`esercizio della ragione è per definizione laico, non ha a che fare con l`obbedienza
della fede e il principio di autorità. Chi ragiona, convince o non convince per la forza delle argomentazioni, non per altro. Per questo vi sono non-credenti che approvano gli argomenti razionali delle gerarchie convinti dalla coerenza del ragionamento, per esempio gli atei devoti.

Ma sempre per questo vi sono credenti che, non convinti dal ragionamento, non approvano tutti gli argomenti razionali delle gerarchie in materia di bioetica. Deve essere chiaro quindi (se davvero la base dell`argomentazione magistrale è la ragione) che la posizione critica di alcuni credenti verso il magistero bioetico è del tutto legittima. Se la gerarchia gradisce la convergenza degli atei devoti in base alla sola ragione, allo stesso modo, sempre in base alla sola ragione, deve accettare (se non proprio gradire) la divergenza di alcuni credenti, peraltro non così pochi e privi di autorevolezza.

Sempre che, ovviamente, le gerarchie non pensino che la razionalità valga solo "fuori" dalla Chiesa e non anche al suo interno, dove vale invece solo l`autorità, istituendo una specie di disciplina della doppia verità. E sempre che le medesime gerarchie amino davvero la razionalità e che il richiamarsi ad essa non sia
invece un trucco tattico (come io credo non sia).

In realtà nessuno può chiedere obbedienza sugli argomenti di ragione perché l`obbedienza viene da sé, come di fronte a un risultato di aritmetica o a una norma morale fondamentale. Per questo io penso che agli argomenti di ragione occorrerebbe lasciare maggiore duttilità, visto che la ragione, da che mondo è mondo, esercita il dubbio, soppesai pro e i contro, e per questo vede grigio laddove invece altri (che non amano la calma della ragione ma forme più nervose di autorità) vedono solo bianco o solo nero.

Intendo direche proprio il richiamo alla ragione da parte delle gerarchie cattoliche dovrebbe indurre a una maggiore relatività del proprio punto di vista di fronte alla complessità dell`inizio e della fine della vita alle prese con le possibilità aperte dal progresso scientifico. La cautela è tanto più auspicabile se si prende atto
della storia. La Chiesa dei secoli scorsi infatti non è stata in grado di interpretare sapientemente l`evoluzione sociale e politica dell`occidente, finendo per condannare pressoché tutte quelle libertà democratiche che ora, invece, essa stessa riconosce: libertà di stampa, libertà dì coscienza, libertà religiosa e in genere i diritti delle democrazie liberali.

Allo stesso modo, a mio avviso, le odierne posizioni della gerarchia corrono il rischio di non capire la rivoluzione in atto a livello biologico, respinta con una
serie di intransigenti no, pericolosamente simili a quelli pronunciati in epoca preconciliare contro le libertà democratiche. Ora io mi chiedo se tra cento anni i principi bioetici affermati oggi con granitica sicurezza dalla Chiesa saranno i medesimi, o se invece finiranno per essere rivisti come lo sono stati i principi della morale sociale.

Siamo sicuri che la fecondazione assistita (grazie alla quale sono venuti al mondo fino ad oggi più di 3 milioni di bambini, di cui centomila in ltalia) sia contraria al volere di Dio? Siamo sicuri che l`uso del preservativo (grazie al quale ci si protegge dalle malattie infettive e si evitano aborti) sia contrario al volere di Dio? Siamo sicuri che il voler morire in modo naturale senza prolungate dipendenze da macchinari, compresi sondini nasogastrici, sia contrario al volere di Dio?

E per fare due esempi concreti legati a precise persone: siamo sicuri che si sia
interpretato bene il volere di Dio negando i funerali religiosi a Piergiorgio Welby perché rifiutatosi di continuare a vivere dopo anni legato a una macchina? E siamo sicuri che si sia interpretato il volere di Dio chiamando "boia" e "assassino" il signor Englaro, salvo poi aggiungere, non so con quale dignità, di pregare per lui?

Mi chiedo se tra cento anni (e spero anche prima) i papi difenderanno il principio di autodeterminazione del singolo sulla propria vita biologica, così come oggi difendono il principio di autodeterminazione del singolo sulla propria vita di fede (la quale peraltro perla dottrina cattolica è sempre stata più importante della vita biologica). Se si riconosce alla persona la libertà di autodeterminarsi nel rapporto con Dio, come fa la Chiesa cattolica a partire dal Vaticano II, quale altro ambito si sottrae legittimamente al principio di autodeterminazione? Non ci possono essere dubbi a mio avviso che questo principio vada esteso anche al rapporto del singolo con la sua biologia.

I cattolici intransigenti che oggi parlano della libertà di autodeterminazione definendola "relativismo cristiano" dovrebbero estendere l`accusa al Vaticano II il quale afferma che «l`uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà» (Gaudium et spes 17). La realtà è che non è possibile nessuna adesione alla verità se non passando per la libertà.

È del tutto chiaro per ogni credente che la libertà non è fine a se stessa, ma all`adesione al bene e al vero; ma è altrettanto chiaro che non si può dare adesione umana se non libera. Dalla libertà che decide non è possibile esimersi, e questo non è relativismo, ma e il cuore del giudizio morale.

08/03/09

La Trasfigurazione - Il "Segreto" di Gesù.


Rileggo insieme a voi il Vangelo di oggi.
Mc 9,2-10 Questi è il Figlio mio, l’amato.

+ Dal Vangelo secondo MarcoIn quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.


La cosa che più mi colpisce, ogni volta, di questo Vangelo è il carattere molto misterioso delle parole di Gesù. E quando uso il termine 'misterioso' lo faccio proprio pensando all'etimo della parola, che deriva dal greco: mysterion, cosa segreta. Leggendo questa pagina, ogni volta mi faccio la domanda che ciascun 'neofita' può banalmente farsi: perchè mai Gesù Cristo, il Figlio dell'Uomo, nel momento in cui si Trasfigura e mostra ai suoi discepoli i suoi straordinari poteri, e in definitiva la sua natura divina, lo fa solamente per loro ?

Perchè non c'è stata - mi chiedo - una Trasfigurazione Pubblica di Gesù, che lo avrebbe manifestamente reso agli occhi di tutti il Figlio di Dio, salvandolo probabilmente anche dalla sua morte atroce ?

Perchè la cosa dovette restare avvolta nel segreto ? Non solo: egli ordina perentoriamente ai discepoli di non divulgare quel segreto 'a nessuno'.
La nuova religione di Cristo resta dunque 'per iniziati', non esposta subito a tutti, una religione 'nascosta', che mantiene un forte connotato di segretezza. La lieta novella viene dispensata in seguito alla morte e Resurrezione degli Apostoli, ma in modo tale che questa Rivelazione mantenga sempre una 'non evidenza certa'. Quando questa evidenza, se Dio avesse voluto, forse, ci sarebbe potuta essere, come avvenne per i tre discepoli convocati sul Monte Tabor. Ma evidentemente non 'doveva' essere così. I piani di Dio, restano per noi, comunque e sempre 'oscuri.'

25/02/09

PARCE MIHI DOMINE - Quando la preghiera si fa musica - Jan Garbarek

 

Capita a volte che la musica sia la porta più semplice per arrivare a Dio. E' questo il caso di un disco particolarissimo, che spesso metto sul mio stereo. Lo ha realizzato anni fa Jan Garbarek. Si intitola Officium. Sono elaborazioni moderne (Garbarek è un grande sassofonista) sulla base di canti gregoriani del XV. secolo . Vi riporto qua sotto la scheda tratta da http://ruckert.splinder.com/ ma poi vi invito a guardare semplicemente questo video (o ad ascoltare soltanto la musica) e ad abbandonarvi completamente. Islanda. Un oceano irregolare di lava raffreddata si distende fino all'orizzonte. Manfred Eicher il percorre con la sua auto la strada. Era, come sempre, pensieroso e pronto a far esplodere la sua mente in mille idee, spesso meravigliose quanto folli, ma capaci di rendere la sua casa discografica - ECM records - una delle più importanti al mondo per la diffusione della musica contemporanea.

In sottofondo, a far da contorno a quel'affascinante paesaggio lunare, la musica dell'Officium defunctorum di Morales (XVI° secolo). Passano i giorni nella fredda e desolata Islanda. Nella mente di Manfred le idee iniziano a raffreddarsi e stratificarsi lentamente. Nei suoi pensieri riecheggiano contemporaneamente ascolti recenti, musiche del passato e del presente, i canti polifonici medioevali ed il sassofono inconfondibile di Jan Garbarek, musica antica e jazz.

Poi tutto trova d'incanto la sintesi in un'idea assurda e coraggiosa: unire le improvvisazioni di Garbarek con le voci di un lontano passato del quartetto vocale inglese "The Hilliard Ensemble". Così nacque "Officium", uno dei lavori discografici più indescrivibili, affascinanti, coraggiosi, intriganti e profondi degli ultimi vent'anni.

Un incontro impossibile tra musiche di epoche diverse, un paradosso temporale cui è impossibile dare un nome e tantomeno un'etichetta. Un quartetto vocale esegue brani polifonici di musicisti vissuti fra il 1200 ed il 1500, mentre in sottofondo il "jazzista" Jan Garbarek improvvisa con il suo sassofono. Che fortuna può avere una follia del genere? Da come venne accolto il disco all'epoca della sua pubblicazione nel 1994, vien da pensare che avevano ben ragione i latini nel dire: "Audax fortuna iuvat". Il disco ebbe un grande successo, tenuto anche conto dell'ambito colto al quale si rivolgeva. Un successo non solo di vendite, ma anche di critica. Certo come sempre non mancarono alcune voci sfavorevoli, ma furono comunque minoritarie. I più furono affascinati dalle peripezie di Garbarek che con semplicità si univa alle voci del quartetto vocale inglese. Questo accostamento in apparenza innaturale e assurdo riesciva ad avere e dare un senso di estrema naturalezza, linearità e continuità. Un disco unico insomma. Questa musica regala pace ed oggi riavvicinandomi ad essa ho constatato che gli anni non hanno modificato la percezione ed il ricordo di questi suoni sereni, spirituali ed intensi. Immobile nel tempo, sospesa nello spazio questa musica non invecchia e vive autonomamente in un luogo che non esiste e non è mai esistito se non nella mente meravigliosamente folle di un produttore discografico. Chissà se Manfred quel giorno era consapevole della forza della sua idea.

24/02/09

La Chiesa che scaldava il Cuore - Il discorso della Luna di Giovanni XXIII

Siccome ne abbiamo parlato negli scorsi post, ritengo utile farvi questo piccolo regalo, e riportarvi alla memoria quello che è passato alla storia come Il Discorso della Luna che Giovanni XXIII tenne l'11 ottobre 1962, in occasione della serata di apertura del Concilio: il video storico è bellissimo: mostra la piazza San Pietro gremita di fedeli che, se pur non comprendendo a fondo il valore teologico dell'avvenimento, ne percepivano la storicità, la fondamentalità, la difficoltà, ed erano nel luogo che simboleggia il cattolicesimo, la piazza appunto.

A gran voce chiamato ad affacciarsi, cosa che non si sarebbe mai immaginata possibile richiedere al papa precedente, Roncalli davvero si sporse, a condividere con la piazza la soddisfazione per il raggiungimento del primo traguardo: si era arrivati ad aprirlo, il Concilio.

Il discorso a braccio fu poetico, dolce, semplice, e pur tuttavia conteneva elementi del tutto innovativi. E' un esempio di quel fervore, di quella Chiesa capace di scaldare il cuore, di cui parlavamo, e di cui forse oggi si avverte la mancanza.

20/02/09

Hans Kung da Lucia Annunziata - Il tempo per Morire.



http://www.ildialogo.org/Allegati/HansKung08022009.mp3


Cari amici, con molto piacere vi propongo qui sopra una parte dell'intervento audio  di Hans Kung alla trasmissione di Lucia Annunziata (1/2 ora) l'8 febbraio scorso - prima, dunque della morte di Eluana - nella quale il teologo svizzero ha affrontato molti temi - innovazioni e profonde critiche del papato dell' 'amico-nemico' Joseph Ratzinger, Benedetto XVI; morale ed etica, buona morte .
Trattandosi di un raro esempio di televisione generalista di alto livello, ritengo giusto proporlo per consentire a chi l'ha perso, di recuperarlo.

18/02/09

La "Chiesa dei No" secondo Marco Politi, vaticanista di Repubblica.


Dalla battaglia astensionistica per il referendum sulla procreazione medicalmente assistita al dramma di Piergiorgio Welby raccontato dalla moglie Mina, dagli esordi del Pontificato Ratzinger, con l'elaborazione dei "principi non negoziabili", ai 'Dico' bocciati dalla piazza del Family day, alla "crociata" di Ferrara sull'aborto: è la carrellata di eventi che Marco Politi, firma di 'Repubblica', descrive nel suo nuovo libro 'La Chiesa del no' (Mondadori).

L'accusa è respinta dai vertici ecclesiastici italiani. Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, si è difeso di recente dall'accusa di chi dice che la Chiesa ha "la volontà di alzare muri e scavare fossati. Sarebbe la Chiesa dei 'no'". Ma Politi non ha dubbi. "L'ultimo decennio - scrive - è stato segnato da un'invasione di campo senza precedenti da parte della Chiesa, specialmente quando il Parlamento era al lavoro per trovare soluzioni a nuovi problemi nella società".

La Chiesa ha mostrato di avere "paura" della società che si organizza sui temi della nascita , dela morte, della sessualità a prescindere dai suoi insegnamenti, così come della "europeizzazione della società italiana". Una constatazione che lo ha spinto a tracciare una "indagine sugli italiani e la libertà di coscienza" (è il sottotitolo del volume in questi giorni in libreria).

"Questo libro - spiega - indaga sui tanti modi in cui si declina in Italia la libertà di coscienza". Un panorama che "i vertici ecclesiastici al fondo conoscono, ma con cui non vogliono misurarsi e che molti esponenti della classe politica fingono di ignorare". E mentre oggi, a pochi giorni dalle polemiche sul caso di Eluana Englaro, ricorre l'anniversario dei Patti lateranensi, afferma: "A ottant'anni dal Concordato, il bilancio è opprimente".

Il libro, dedicato al fondatore di 'Repubblica' Eugenio Scalfari, "laico chiaro e coerente", presenta una serie di colloqui con personalità di spicco del mondo laico e cattolico italiano, protagonisti anche delle cronache degli ultimi giorni. Politi parla con il senatore del Pd Ignazio Marino di vita e di morte, di laicità col costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, di coppie di fatto con l'ex ministro Rosy Bindi. Affronta il tema della "bella fede" con il teologo Vito Mancuso, col filosofo Giulio Giorello discute di guelfi e ghibellini, con una giovane avvocata barese della legge pugliese sulle unioni di fatto.

'La Chiesa del no' si conclude con la pubblicazione integrale dell'intervista che Politi fece nel 2004 all'allora cardinal Ratzinger. Dio nella società contemporanea? "E' molto emarginato", rispondeva il futuro Papa. "Una società in cui Dio è assolutamente assente, si autodistrugge".

fonte apcom

16/02/09

Ancora su Eluana: " L'etica di fronte alla vita vegetale " di Vito Mancuso.


Cari amici, a ulteriore integrazione di commenti illuminati sulla vicenda Eluana - che, come da copione, nel panorama schizofrenico del mondo dei media italiano è già stata metabolizzata e cancellata nel grande inceneritore delle notizie - ecco quanto ha scritto Vito Mancuso, su La Repubblica del 13 febbraio scorso, in un articolo in prima pagina intitolato: "L'etica di fronte alla vita vegetale. "


Se le circostanze non fossero tragiche, si potrebbe dire alla Chiesa gerarchica dei nostri giorni, con una leggera ironia e una pacca sulla spalla: "Dio esiste ma non sei tu, rilassati". Il problema infatti è anzitutto nervoso. Riguarda il controllo dei sentimenti e delle passioni. Un controllo che la direzione spirituale sapeva insegnare agli uomini di Chiesa di un tempo, e che invece oggi sembra smarrito. Assistiamo allo spettacolo di una Chiesa isterica: che non è amareggiata ma arrabbiata, che non parla ma grida, anzi talora insulta, che non suggerisce ma ordina, che non critica ma impone alzando la voce, o facendo pressioni su chi tiene il bastone del comando.

Non discuto la buona intenzione di combattere per la giusta causa, mi permetto però di dubitare sullo stile e più ancora sull' efficacia evangelizzatrice di tale battaglia. L' unico "cardinale" che ha pronunciato parole sagge e coraggiose è stato Giulio Andreotti, quando ha giudicato il decreto governativo un' indebita invasione nella sfera privata delle persone. Andreotti è uno dei rari cattolici che ancora ricorda e pratica la capitale distinzione tra etica e diritto, che è, a mio avviso, il punto decisivo di tutta la questione. Personalmente ero contrario all' interruzione dell' idratazione di Eluana.

Se mi trovassi io a vivere una condizione del genere (o peggio ancora uno dei miei figli) vorrei che mi si lasciasse al mio posto di combattimento nel grande ventre della vita anche con la sola vita vegetale: nessun accanimento terapeutico, ma vivere fino in fondo la vita lasciandomi portare dall' immenso respiro dell' essere, secondo la tradizionale visione della morale della vita fisica non solo del cattolicesimo ma anche delle altre grandi tradizioni spirituali.

Chissà poi che cosa significa "vita vegetale": da precisi esperimenti è risaputo che anche le piante provano emozioni, e reagiscono con fastidio a un certo tipo di musica e con favore a un altro (dicono che la preferita sia la musica sacra indù della tradizione vedica). La vita vegetale è una cosa seria, ognuno di noi la sta vivendo in questo momento, basta considerare la circolazione del sangue, il metabolismo, il sistema linfatico. Il fatto, però, è che non si trattava di me, ma di Eluana, e che ciò che è un valore per me, non lo era per lei. Una diversa concezione della vita produce una diversa etica, e da una diversa etica discende una diversa modalità di percepire e di vivere le situazioni concrete, così che ciò che per uno può essere edificazione, per un altro si può trasformare in tortura. Si pensi alla castità, alla clausura, al martirio e ad altri valori religiosi, che per alcuni non sono per nulla valori ma un incubo spaventoso solo a pensarli.

Il padre di Eluana ha lottato per liberarla da ciò che per lei era una tortura, ed è probabile che la conoscesse un po' meglio del ministro Sacconi e del cardinal Barragan. Grazie allo stato di diritto, alla fine l' ha liberata. Io non sono d' accordo? È un problema mio, non si trattava di me, ma di lei. Tutto molto semplice, come sempre è semplice la verità. Ora aspettiamo una legge sul testamento biologico, e io penso che il compito dello Stato sia precisamente quello di produrre, a partire dalle diverse etiche dei cittadini, una legge ove tutti vedano riconosciuta la possibilità di vivere e di morire secondo la propria concezione del mondo.

Se lo Stato fa questo, realizza la giustizia, che, com' è noto, consiste nel dare a ciascuno il suo. La distinzione tra etica e diritto è decisiva. A questo punto però sento la voce di Benedetto XVI che rimprovera questa mia prospettiva di "relativismo" in quanto privilegia la libertà del singolo a scapito della verità oggettiva. È mio dovere cercare di rispondere e lo faccio ponendo una domanda: Dio ha voluto oppure no l' incidente stradale del 18 gennaio 1992 che ha coinvolto Eluana? A seconda della risposta discende una particolare teologia e una particolare etica. Io rispondo che Dio non ha voluto l' incidente. L' incidente, però, è avvenuto. In che modo allora il mio negare che Dio abbia voluto l' incidente non contraddice il principio dell' onnipotenza divina? Solo pensando che Dio voglia sopra ogni cosa la libertà del mondo, e precisamente questa è la mia profonda convinzione.

Il fine della creazione è la libertà, perché solo dalla libertà può nascere il frutto più alto dell' essere che è l' amore. Ne viene che la libertà è la logica della creazione e che la più alta dignità dell' uomo è l' esercizio della libertà consapevole deliberando anche su di sé e sul proprio corpo. È verissimo che la vita è un dono di Dio, ma è un dono totale, non un dono a metà, e Dio non è come quelli che ti regalano una cosa o ti fanno un favore per poi rinfacciartelo in ogni momento a mo' di sottile ricatto.

Vi sono uomini di Chiesa che negano al singolo il potere di autodeterminazione. Perché lo fanno? Perché ospitano nella mente una visione del mondo all' insegna non della libertà ma dell' obbedienza a Dio, e quindi sono necessariamente costretti se vogliono ragionare (cosa che non sempre avviene, però) a ricondurre alla volontà di Dio anche l' incidente stradale di Eluana. Delle due infatti l' una: o il principio di autodeterminazione è legittimo perché conforme alla logica del mondo che è la libertà (e quindi l' incidente di Eluana non è stato voluto da Dio); oppure il principio di autodeterminazione non è legittimo perché la logica del mondo è l' obbedienza a Dio (e quindi l' incidente è stato voluto da Dio). Tertium non datur.

Per questo io ritengo che la deliberazione della libertà sulla propria vita non solo non sia relativismo, ma sia la condizione per essere conformi al volere di Dio. Il senso dell' esistenza umana è una continua ripetizione dell' esercizio della libertà, a partire da quando abbiamo mosso i primi passi, con nostra madre dietro, incerta se sorreggerci o lasciarci, e nostro padre davanti, pronto a prenderci tra le sue braccia. In questa prospettiva ricordo alcune parole del cardinal Martini: «È importante riconoscere che la prosecuzione della vita umana fisica non è di per sé il principio primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignità umana, dignità che nella visione cristiana e di molte religioni comporta una apertura alla vita eterna che Dio promette all' uomo. Possiamo dire che sta qui la definitiva dignità della persona... La vita fisica va dunque rispettata e difesa, ma non è il valore supremo e assoluto».

Il valore assoluto è la dignità della vita umana che si compie come libertà. Sarebbe un immenso regalo a questa nazione lacerata se qualche esponente della gerarchia ecclesiastica seguisse l' esempio della saggia scuola democristiana di un tempo esortando gli smemorati politici cattolici dei nostri giorni al senso della laicità dello stato. Li aiuterebbe tra l' altro a essere davvero quanto dicono di essere, il partito "della libertà". Che lo siano davvero e la garantiscano a tutti, così che ognuno possa vivere la sua morte nel modo più conforme all' intera sua vita.

VITO MANCUSO

Ancora su Eluana -"Vivere e Morire secondo il Vangelo", un articolo di Enzo Bianchi.


Cari amici, vi trascrivo integralmente l'articolo comparso ieri su La Stampa Vivere e morire secondo il Vangelo, scritto da ENZO BIANCHI

C'è un tempo per tacere e un tempo per parlare» ammoniva Qohelet, così come «c'è un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per uccidere e un tempo per guarire...». Veniamo da settimane in cui questa antica sapienza umana - prima ancora che biblica - è parsa dimenticata. Anche tra i pochi che parlavano per invocare il silenzio v'era chi sembrava mosso più che altro dal desiderio di far tacere quanti la pensavano diversamente da lui. Da parte mia confesso che, anche se il direttore di questo giornale mi ha invitato più volte a scrivere, ho preferito fare silenzio, anzi, soffrire in silenzio aspettando l'ora in cui fosse forse possibile - ma non è certo - dire una parola udibile. Attorno all'agonia lunga 17 anni di una donna, attorno al dramma di una famiglia nella sofferenza, si è consumato uno scontro incivile, una gazzarra indegna dello stile cristiano: giorno dopo giorno, nel silenzio abitato dalla mia fede in Dio e dalla mia fedeltà alla terra e all'umanità di cui sono parte, constatavo una violenza verbale, e a volte addirittura fisica, che strideva con la mia fede cristiana.

Non potevo ascoltare quelle grida - «assassini», «boia», «lasciatela a noi»... - senza pensarea Gesù che quando gli hanno portato una donna gridando «adultera» ha fatto silenzio a lungo, per poterle dire a un certo punto: «Donna neppure io ti condanno: va' e non peccare più»; non riuscivo ad ascoltare quelle urlaminacciose senza pensare a Gesù che in croce non urla «ladro, assassino!»al brigante non pentito, ma in silenzio gli sta accanto, condividendone la condizione di colpevole e il supplizio. Che senso ha per un cristianorecitare rosari e insultare? O pregare ostentatamente in piazza con unostile da manifestazione politica o sindacale? Ma accanto a queste contraddizioni laceranti, come non soffrire per la strumentalizzazione politica dell'agonia di questa donna? Una politica che arriva in ritardo nello svolgere il ruolo che le è proprio - offrire un quadro legislativo adeguato e condiviso per tematiche così sensibili - e che brutalmente invade lo spazio più intimo e personale al solo fine del potere; una politica che si finge al servizio di un'etica superiore, l'etica cristiana, e che cerca, con il compiacimento anche di cattolici, di trasformare il cristianesimo in religione civile.

L'abbiamo detto e scritto più volte: se mai la fede cristiana venisse declinata come religione civile, non solo perderebbe la sua capacità profetica, ma sarebbe ridotta a cappellania del potente di turno, diverrebbe sale senza più sapore secondo le parole di Gesù, incapace di stare nel mondo facendo memoria del suo Signore. È avvenuto quanto più volte avevo intravisto e temuto: lo scontro di civiltà preconizzato da Huntington non si è consumato come scontro di religioni ma come scontro di etiche, con gli effetti devastanti di una maggiore divisione e contrapposizione nella polis e, va detto, anche nella Chiesa.

Da questi «giorni cattivi» usciamo più divisi. Da un lato il fondamentalismo religioso che cresce, dall'altro un nichilismo che rigetta ogni etica condivisa fanno sì che cessi l'ascolto reciproco e la società sia sempre più segnata dalla barbarie.

Sì, ci sono state anche voci di compassione, ma nel clamore generale sono passate quasi inascoltate. L'Osservatore Romano ha coraggiosamente chiesto- tramite le parole del suo direttore, il tono e la frequenza degli interventi - di evitare strumentalizzazioni da ogni parte, di scongiurarelo scontro ideologico, di richiamare al rispetto della morte stessa. Ma molti mass media in realtà sono apparsi ostaggio di una battaglia frontale in cui nessuno dei contendenti si è risparmiato mezzi ingiustificabili dal fine.

Eppure, di vita e di morte si trattava, realtà intimamente unite e pertanto non attribuibili in esclusiva a un campo o all'altro, a una cultura o a un'altra. La morte resta un enigma per tutti, diviene mistero per i credenti: un evento che non deve essere rimosso, ma che dà alla nostra vita il suo limite e fornisce le ragioni della responsabilità personale e sociale; un evento che tutti ci minaccia e tutti ci attende come esito finale della vita e, quindi, parte della vita stessa, un evento da viversi perciò soprattutto nell'amore: amore per chi resta e accettazione dell'amore che si riceve. Sì, questa è la sola verità che dovremmo cercare di vivere nella morte e accanto a chi muore, anche quando questo risulta difficile e faticoso.

Infatti la morte non è sempre quella di un uomo o una donna che, sazi di giorni, si spengono quasi naturalmentecome candela, circondati dagli affetti più cari. No, a volte è «agonia»,lotta dolorosa, perfino abbrutente a causa della sofferenza fisica; oggi èsempre più spesso consegnata alla scienza medica, alla tecnica, allestrutture e ai macchinari... Che dire a questo proposito? La vita è un dono e non una preda: nessuno si dà la vita da se stesso né puòconquistarla con la forza.

Nello spazio della fede i credenti, accanto alla speranza nella vita in Dio oltre la morte, hanno la consapevolezza che questo dono viene da Dio: ricevuta da lui, a lui va ridata con un atto puntuale di obbedienza, cercando, a volte anche a fatica, di ringraziare Dio: «Ti ringrazio, mio Dio, di avermi creato...». Ma il credente sa che molti cristiani di fronte a quell'incontro finale con Dio hanno deciso di pronunciare un «sì» che comportava la rinuncia ad accanirsi per ritardare il momento di quel faccia a faccia temuto e sperato. Quanti monaci, quante donne e uomini santi, di fronte alla morte hanno chiesto di restare soli e di cibarsi solo dell'eucarestia, quanti hanno recitato il Nunc dimittis,il «lascia andare, o Signore, il tuo servo» come ultima preghiera nell'attesa dell'incontro con colui che hanno tanto cercato...

In anni più vicini a noi, pensiamo al patriarca Athenagoras I e a papa Giovanni PaoloII: due cristiani, due vescovi, due capi di Chiese che hanno voluto esaputo spegnersi acconsentendo alla chiamata di Dio, facendo della morte l'estremo atto di obbedienza nell'amore al loro Signore. Testimonianze come queste sono il patrimonio prezioso che la Chiesa può offrire anche achi non crede, come segno grande di un anticipo della vittoria sull'ultimo nemico del genere umano, la morte. Voci come queste avremmo voluto che accompagnassero il silenzio di rispetto e compassione in questi giorni cattivi assordati da un vociare indegno.

La Chiesa cattolica e tutte le Chiese cristiane sono convinte di dover affermare pubblicamente e soprattutto di testimoniare con il vissuto che la vita non può essere tolta o spenta da nessuno e che, dal concepimento alla morte naturale,essa ha un valore che nessun uomo può contraddire o negare; ma i cristiani in questo impegno non devono mai contraddire quello stile che Gesù ha richiesto ai suoi discepoli: uno stile che pur nella fermezza devemostrare misericordia e compassione senza mai diventare disprezzo e condanna di chi pensa diversamente.

Allora, da una millenaria tradizionedi amore per la vita, di accettazione della morte e di fede nella risurrezione possono nascere parole in grado di rispondere agli ineditiinterrogativi che il progresso delle scienze e delle tecniche mediche pongono al limitare in cui vita e morte si incontrano.

Così le riassumevala lettera pontificale di Paolo VI indirizzata ai medici cattolici nel1970: «Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico diuccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significatuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza chegli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi nonsarebbe forse un'inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile?

In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e inqualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo: l'ora ineluttabile e sacra dell'incontro dell'anima con il suo Creatore, attraverso un passaggio doloroso che la rende partecipe della passione di Cristo. Anche in questo il medico deve rispettare la vita». Ecco, questo è il contributo che con rispetto e semplicità i cristiani possono offrire a quanti non condividonola loro fede, affinché la società ritrovi un'etica condivisa e ciascuno possa vivere e morire nell'amore e nella libertà.

13/02/09

Ritorno a Gesù Cristo.

La tirannia del presente, rende sempre più difficile per gli uomini e le donne che siamo noi tutti, concentrarci sulle questioni importanti, evitare che la vita ci sfugga via di mano senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Bombardati come siamo da un 'caso' drammatico al giorno - una volta è il 'caso' williamson, un'altra è il 'caso' Eluana, noi cristiani finiamo spesso per dimenticarci di Gesù Cristo, che dovrebbe essere sempre al centro.

Quanti - mi domando umilmente - anche nelle gerarchie ecclesiali, ormai sono diventati sempre di più uomini 'politici', uomini che si occupano magari anche giustamente degli affari del mondo ? E quanto tempo rimane, in queste vite, per Gesù Cristo ?

Persi come siamo nelle contese tra fazioni, anche la questione della fede spesso sembra passare come in secondo piano, rispetto alle presunte 'urgenze': devo schierarmi, non ho tempo per pregare. Che tristezza.

Eppure, basterebbe fare un attimo di silenzio, per ritrovare il centro. Il centro che - per un cristiano - è sempre e soltanto Gesù Cristo. E' da lì che bisognerebbe partire, ogni volta. E invece sembra quasi che Gesù Cristo sia il grande 'desaparecido', ultimamente. Anche sui temi religiosi-etici: si parla di tutto, meno che di Gesù Cristo.

Eppure, è da questo incontro con Lui che è nato tutto e che tutto, in noi, può continuare. Senza di Lui, non si va da nessuna parte.

Scriveva Olivier Clèment, in L'autre Soleil: " Ora non devo più parlare di me. Io volevo raccontare un incontro. La fede è un inizio. Non bisogna giocare con essa: averla, non averla; bisogna entrare in questa cripta – ecclesiale e personale – da cui scaturisce l’acqua viva, e uscirne per condividere tutto. “Entrerà e uscirà, e troverà dei pascoli”. La mia vita non mi appartiene più, è quella di un servo inutile. Ciò che mi accade, ciò che cerco di fare, di dire, come discernervi la mia parte e quella degli altri, tutto cresce da questa amicizia che decifra, così poco tuttavia, questa unità inesauribile in cui Dio si dona ai peccatori e ai pubblicani”.

Ecco, "ora non devo più parlare di me." Ora, dovremmo davvero tornare a parlare di quella amicizia, che Lui ha instaurato con noi, e che è sempre lì, e ci aspetta, e ci richiede, come il primo giorno.

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11/02/09

La morte negata.


Non c’è epoca nella storia dell’uomo che sia stata più lontana dall’idea di morte, che questa che stiamo vivendo.


Per secoli e millenni l’uomo ha con-vissuto con la morte. La morte è stata una sorella fedele, la morte ha fatto parte a tutti gli effetti della vita. Vita e morte si sono mischiati continuamente, nelle guerre, nelle epidemie, nel piccolo mondo di ruvide certezze delle comunità contadine.

La morte, il lutto, il sacrificio, la carne erano parte – a tutti gli effetti – della vita di ogni giorno.

Oggi la morte è scomparsa.

I funerali vengono celebrati frettolosamente, il lutto è scomparso. Parlare di morte, o di lutti, in società, è considerato di cattivo gusto.

La morte è esorcizzata, tenuta lontano, sull’onda di un’euforia pagana, che rende sempre più adrenalinici e sempre più disperati.

Ma è una esperienza tipicamente umana, che più una cosa si allontana forzatamente dal nostro orizzonte psicologico, più la si esorcizza, e più essa ritorna, più potente e simbolica, più minacciosa.

Quindi, anche se siamo nell’epoca della storia umana in cui siamo più lontani dall’idea di morte, siamo certamente nell’epoca in cui la morte fa più paura.

E la ragione è proprio questa.

Conosciamo sempre meno la morte, ed essa ci fa sempre più paura.

La morte continua a dominare i nostri pensieri – è normale, e il pensiero della morte che non riusciamo più ad elaborare, ritorna sotto forma di incubi, depressione, disagio, disturbo, nevrosi.

Sì, perché l’uomo non riesce a vivere sotto il peso schiacciante della morte. Come infatti ci ricordano gli antichi Greci – ha scritto recentemente U. Galimberti - l’uomo per vivere ha bisogno di una costruzione di senso, in vista della morte, che è l’implosione di ogni senso.

Questa visione tragica del greco, che non nutriva speranze ultraterrene, venne oltrepassata dal Cristianesimo che ha iscritto l’uomo in un orizzonte di senso che ha il suo riferimento nell’immortalità dell’anima e quindi, come ci ricorda Paolo di Tarso, nella vittoria sulla morte.

Oggi questa speranza e questa costruzione di senso del cristianesimo sembra – dal comune sentire, ce ne accorgiamo specialmente in un paese ‘cattolico’ come l’Italia – spappolata.

Domina una rimozione collettiva del problema della morte, in vista della nostra incapacità di dare alla morte un senso, e quindi di accettarla nelle nostre vite.

Così, mi sorprendo moltissimo della meraviglia di quanti scoprono con ipocrita scandalo che la sera della morte di Eluana, la puntata del ‘grande fratello’ con le beghe da cortile dei palestrati e il loro futile e insensato vociare, abbia ottenuto il record di ascolti.

Se la proposta è:
- da una parte la morte come OGGI la viviamo e la sentiamo
- e dall’altra il dis-impegno, la disinvoltura, il dis-interesse, la deriva di un ostinato NON-domandarsi nulla,
CHI – secondo voi - potrà mai prevalere ?
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07/02/09

L'unica cosa santa è il silenzio di Eluana.


Stordito come la maggioranza degli italiani - credo - dall'incredibile accanimento mediatico, politico, giudiziario, giornalistico che si è scatenato in questi ultimi giorni sul caso di Eluana Englaro, rifletto nella calma di una mattina piovosa, e mi dico che davvero, davvero, l'unica cosa santa di questa vicenda è il silenzio di Eluana.

Perchè dico 'santa' ? Perchè il silenzio di Eluana non è sottile, non fa distinzioni e distinguo, non spacca il capello in quattro, non argomenta in un modo e nell'altro, non cerca di portare dalla tua parte, non tenta, non insinua, non vuole instillare nessun dubbio, non mette zizzania, non fa scontrare armate di garanti della vita, e garanti della buona morte, non chiede nulla e non pretende nulla (tutte caratteristiche tipicamente demoniache che vedo dispiegarsi alla grande in queste ore, su un fronte e sull'altro).

Il silenzio di Eluana è, e basta.

Il silenzio di Eluana è il mistero della vita, è l'imperscrutabilità del disegno della nostra vita, che niente e nessuno di noi umani è riuscito finora a sciogliere.

Il silenzio di Eluana è santo perchè nessuno può scalfirlo, e perchè è l'evidenza di ciò che deve essere - nonostante noi, e nonostante quel che noi siamo o pensiamo. Il silenzio santo di Eluana meriterebbe soltanto il rispetto. Un rispetto che non è stato accordato, finora.

Ma lei continua a restare in silenzio, anche senza rispetto.

Il suo silenzio è il suo testamento di vita e di morte, per tutti noi che sappiamo soltanto parlare.
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