30/04/09

Mancuso vs. Bianchi - Una disputa sulla Salvezza.


Credo che molti di voi avranno letto, pochi giorni fa, martedì per l'esattezza, l'articolo in prima pagina su La Repubblica, nel quale Vito Mancuso risponde a Padre Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, che su Famiglia Cristiana aveva espresso critiche e riserve sul libro scritto a quattro mani dal teologo del San Raffaele insieme a Corrado Augias, "Disputa su Dio".

Chi non l'ha letto può recuperarlo qui .

Mi piacerebbe parlarne con più calma perchè sono piuttosto perplesso, anzi parecchio perplesso dalla deriva di sovra-esposizione mediatica che sta da settimane ormai attanagliando il nostro buon teologo.Oltretutto anche certe sue posizioni ultime non mi piacciono e non mi convincono, e non ho difficoltà a dire che nella disputa mancuso vs. bianchi, sono dalla parte di Bianchi. In realtà la polemica sulla salvezza extra ecclesiam di Mancuso mi sembra un po' pretestuosa.

Specie laddove si tira fuori il trito argomento di coloro che sono vissuti prima di Cristo e di coloro che non hanno conosciuto o non conoscono Cristo.

Mi sembra che Gesù ripete nei Vangeli, e i fedeli lo ripetono tutte le volte che facciamo la comunione, che Lui è venuto per salvare IL MONDO, e per togliere i PECCATI DEL MONDO. Dunque, se Egli salva il MONDO, salva potenzialmente e concretamente tutto il mondo anche quello che è venuto prima di lui e quello che non conosce Lui.

E mi sembra che Mancuso faccia confusione e sovrapponga in modo assai disinvolto la Chiesa degli uomini con la Chiesa di Cristo. Ma questo discende proprio da un suo presupposto che mi sembra carente: egli cioè fa teologia molto spesso prescindendo dalla centralità della figura del Cristo, e della persona di Cristo, cosa che per un cristiano è assai frustrante, e che invece per atei/agnostici/razionalisti è quanto mai suadente, visto che è proprio l'argomento Cristo ad essere oggi quanto mai 'scandaloso' e quanto mai ' politically in-correct'.

Ecco, non vorrei che tutto questo fosse un po' .. studiato a tavolino (ferma restando la stima per il brillante e colto teologo..)


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24/04/09

La crisi, il denaro, la ricchezza, i cristiani e... Gesù.


Devo dire che mi ha fatto molto piacere sentire dalla bocca del cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia, a margine di un incontro con la stampa, a Mestre, queste parole, quando un intervistatore gli ha chiesto di commentare l'attuale sconvolgente crisi economica:


"Come invita il messaggio cristiano, bisogna avere sempre una coscienza chiara, capace, anche quando e' il caso e in forma misurata, dI denunciare le contraddizioni di cio' che non va. Adesso e' molto importante, realmente, nel senso nobile del termine, che le regole del mondo della finanza vengano riscritte, come mi pare si sta tentando di fare. E mi sembra che il criterio di fondo per riscrivere queste regole sia quello di non dimenticare, come si e' dimenticato, che il valore numero uno, anche nell'intrapresa finanziaria, ha da essere la persona e la persona in relazione a cui bisogna subordinare il resto".

Mi dispiace soltanto che parole di questo tono si siano sentite raramente - anche in ambito di gerarchie cattoliche - negli anni in cui tutto è stato sacrificato alla logica del profitto e del mercato, in occidente, con i risultati che tutti ormai abbiamo sotto gli occhi. Eppure, per un cristiano non dovrebbe essere difficile, anche soltanto aprendo i Vangeli, sapere che senso abbia la ricchezza materiale, di beni e di denaro, su questa Terra. Come sappiamo, Gesù è l’antitesi di Satana: alla bramosia dei beni materiali e del potere sulla natura e sull’uomo, Gesù sceglie come valore supremo “l’essere”. Gesù compie questa scelta nel deserto, dove non ci sono comodità né ricchezze, ma solo le cose strettamente necessarie alla sopravvivenza.


Di qui la sua scelta a una vita povera, itinerante e senza sicurezze, tanto da definirsi come “uno che non ha dove posare il capo” (Lc 9,58).Egli vive per primo e in pienezza quanto insegnerà: “... che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?” (Lc 9,25). Il suo distacco dalle ricchezze è totale, radicale. Egli “cerca innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia” e “liberamente” sceglie una vita che gli permette di appartenere totalmente alla sua missione e di testimoniare tutta la sua fiducia nel Padre.


Egli guarda gli uccelli del cielo e i gigli del campo: sa di valere più di loro, per questo “cerca prima il regno e la sua giustizia”, sicuro che il Padre non gli lascerà mancare il necessario; si affiderà in continuità al Padre; egli non porta con sé né borsa né bisaccia e si accontenta di quello che gli danno (vedi Lc 10,3.8).


Accanto a lui, uniti alla sua missione, ci sono sempre persone (discepoli e discepole) che lo seguono e che lo assistono con i loro beni (8,3). E quando spezza il pane rende grazie, riconosce che tutto è dono del Padre che lo sostenta nel suo cammino. Gesù sa, che solo nel vivere distaccato da ogni bene materiale, può godere di quella libertà che gli permette di vivere in pienezza la sua missione: “annunciare il regno di Dio” (Lc 4,43); essere con gli altri e per gli altri, cioè “servo”.


Sarebbe bello - anche se ahimè appare oggi ancora del tutto utopistico - immaginare una economia fatta dagli uomini non per acuire e consolidare i propri privilegi, ma costruita per essere 'serva' degli altri e per gli altri.


( ringrazio per il contributo dato a questa meditazione il portale http://www.donbosco-torino.it )

20/04/09

Oggi, 39 anni dalla morte di Paul Celan.

Il 20 aprile del 1970 moriva tragicamente, con un tuffo nella Senna, uno dei più grandi uomini del Novecento, Paul Celan. Nato a Cernauti, in Romania, nel 1920, è stato un poeta grandissimo, la cui opera ancora oggi rifulge come una delle voci più autentiche e moderne della letteratura contemporanea.


Una esistenza tragica, contrassegnata dalla costante fuga - lui ebreo - prima dalle atrocità del nazismo (ma perde sia il padre che la madre, fucilata in un campo di concentramento), poi da quelle del comunismo.


Un pensiero profondissimo che ha ispirato tutta la sua opera, con la frequentazione ravvicinata delle personalità più importanti della riflessione filosofica del secolo, prima fra tutte quella di Martin Heidegger.


Paul Celan è una voce cara ai cristiani. Le sue poesie tragiche, vere, dolenti, confortanti, aprono ogni volta il nostro cuore. Lo ricordiamo qui, con questa poesia, tratta da AtemKristall:


Nei solchi di quella moneta
celeste tra stipite e porta
tu pressi il Verbo, da cui
mi srotolai
allorché con pugni tremanti
smantellai tegola dopo tegola,
sillaba dopo sillaba,
il tetto sopra di noi, per amor
del rame luccicante
nella ciotola della questua
lassù.



notizie su Paul Celan:


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19/04/09

Benedetto XVI, l'82mo compleanno, e il nazismo - Il Papa si sente chiamato a sradicare i germi ancora vivi della ideologia distruttiva.

Anche se i media non amano molto questo pontificato, e continuano ad interessarsi unicamente di questioni pur importanti come la contraccezione in Africa, o la revoca ai lefebrviani, Benedetto XVI continua, silenziosamente a condurre certe sue battaglie, anche nei giorni in cui si festeggia il suo 82mo compleanno e il 4.o anniversario del suo pontificato.

Come Papa Wojtyla ha interpretato la sua ascesa al Pontificato anche come una chiamata per l'intera Polonia a riscoprire la propria dignita' offuscata dalla dittatura comunista, il Pontefice tedesco si sente chiamato a sradicare i germi ancora vivi del nazismo, come spiega l'agenzia di stampa AGI.

Negli ultimi mesi di questo quarto anno di Pontificato, Benedetto XVI e' tornato molte volte a parlare del nazismo, un'ideologia che ha causato la Shoah e la seconda guerra mondiale ma anche tante sofferenze al popolo tedesco".

La Shoah induca l'umanita' a riflettere sulla imprevedibile potenza del male quando conquista il cuore dell'uomo, ha auspicato al termine dell'udienza di mercoledi' 28 gennaio, riprendendo la profonda meditazione del suo discorso del giugno 2005 nel campo di concentramento di Auschwitz.

Non ha solo condannato ogni forma di oblio e di negazione della tragedia dello sterminio di sei milioni di ebrei, ma ha richiamato i drammatici interrogativi che questi eventi pongono alla coscienza di ogni uomo e di ogni credente. "Perche' - come ha sottolineato il portavoce vaticano Federico Lombardi - la fede nella stessa esistenza di Dio che viene sfidata da questa spaventosa manifestazione della potenza del male. La piu' evidente per la coscienza contemporanea, anche se non la sola. Benedetto XVI lo ha riconosciuto lucidamente nel discorso di Auschwitz, facendo sue le domande radicali dei salmisti a un Dio che appare silente ed assente".

Del nazismo il Papa ha parlato anche a partire dalla propria esperienza personale. "La nostra vita e' stata segnata dalle sofferenze del nazismo e della guerra", ha ricordato il 17 gennaio parlando in occasione del Concerto offerto dalla diocesi di Ratisbona per l'85esimo compleanno di suo fratello,
mons. Georg. La famiglia Ratzinger fu infatti vittima, come tante altre in Germania, della macchina di morte del regime nazista contro "i malati o i difettosi": un cugino, poco piu' giovane di Joseph e Georg, nato con la sindrome di Down, fu portato via dalla sua casa nella Baviera sud-orientale in base alle nuove disposizioni del Terzo Reich, che proibivano ai figli handicappati di rimanere coi propri genitori.

Di fronte alle vibrate proteste dei familiari, gli inviati del Reich si mostrarono inflessibili: nessuno vide mai piu' il ragazzino. Molto tempo dopo la famiglia ricevette la notizia che il piccolo era morto. Questo dramma ha segnato profondamente entrambi i fratelli Ratzinger.

Appena un mese dopo quel Concerto, il 21 febbraio, incontrando la Pontificia Accademia della Vita in occasione di un simposio sulle nuove frontiere della genetica, il Papa ha denunciato con forza il rischio di un ritorno a forme di eutanasia eugenetica che il mondo ha gia' conosciuto ad esempio nell'antica Roma, dove i bambini handicappati venivano gettati dalla Rupe Tarpea, e nella Germania nazista.

fonte AGI : http://www.agi.it/

nella foto: Joseph Ratzinger studente di teologia a Frisinga.





18/04/09

Clonazione - L'allarme di Padre Giertych .

Sono personalmente atterrito di fronte a certi scenari che può intraprendere la ricerca scientifca nel campo della clonazione umana. Trovo perciò quanto mai interessante pubblicare questo allarme lanciato da padre Giertych, attento ossevatore di questo campo.

"La clonazione umana incontra l'opposizione disgustata di tutti coloro, cristiani e non, che percepiscono spontaneamente l'inalienabile dignita' dell'essere umano". Ma ugualmente, lamenta sull'Osservatore Romano padre Wojciech Giertych, teologo della Casa Pontificia, in molti laboratori si continua a lavorare a questo progetto, tanto che siamo davanti a quella che appare come una "incombente prospettiva che genera giustamente la risposta estremamente allarmata dell'umanita'".

E se nel campo dell'educazione "un programma di formazione che neghi l'individualita' e lo sviluppo delle virtu' personali e che richieda solo un'esatta imitazione di un'identita' imposta" sarebbe qualificato come "essenzialmente inumano", ben maggiori riserve suscita l'idea della fabbricazione in laboratorio di cloni uguali in tutto al genitore clonato o anche semplicemente "prodotti" per esigenze terapeutiche, cioe' "con un patrimonio genetico prefissato, da cui si potrebbero raccogliere cellule staminali embrionali per la produzione di farmaci" da utilizzarsi a favore di altre persone "per superare il problema dell'incompatibilita' immunologica nei trapianti".

La storia - afferma il religioso domenicano - e' piena di tragici esempi di ideologie che sono nate da menti chiuse nell'orgoglio intellettuale, non disponibili ad accettare, con un atteggiamento umile, la verita' della realta'". Citando il recente documento della Congregazione della Dottrina della Fede intitolato "Dignitas personae", padre Giertych ricorda che "gli interventi tecnici che distorcono la natura e la finalita' della procreazione rappresentano un tragico attacco alla dignita' umana", in quanto l'uomo "non puo' essere trattata allo stesso livello della zootecnia: l'adattamento dei processi riproduttivi in piante e animali intrapreso per esigenze umane e reso possibile dagli sviluppi della biotecnologia diviene inammissibile se applicato alla procreazione umana".








12/04/09

E' risorto !


Anche oggi risorge nel cuore degli uomini. Anche oggi, e sono passati duemila anni. Intere generazioni hanno portato consapevolmente o inconsapevolmente dentro le loro storie, la fatica di tutti i giorni, le vite di anni e anni, le Sue parole, l'esperienza della Sua presenza viva, e l'hanno trasmessa alle generazioni future, fino a noi, uomini del ventunesimo secolo.

Anche oggi lo scandalo della pietra rotolata è inaccettabile per molti, ma come ha detto il Papa pochi minuti fa, nel messaggio Urbi et Orbi, i cristiani sono 'follemente' convinti che questa non sia un mito ne' un sogno, non una visione ne' un'utopia, e nemmeno una favola, ma un evento unico ed irripetibile.

E sanno che senza questa 'follia' lo stesso Cristianesimo - e tutta la loro fede con esso - non avrebbe alcun senso.

Sì, Cristo è risorto. Apparve alla Maddalena, apparve ai discepoli: essi lo hanno testimoniato. E molti di loro, dopo sono morti per testimoniarlo. A questo crediamo. Questa è la nostra speranza in vita, e in morte e dopo la morte.

Buona Pasqua a tutti !
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10/04/09

L'ora del Grande Silenzio.


E' l'ora del Grande Silenzio.
L'ora in cui il mondo si ferma. E il Mistero avvolge ogni cosa. Non ha altro da opporre, l'uomo, in questa ora, che il Silenzio. Qualunque altra sua manifestazione, ogni altra manifestazione umana sarebbe insensata.
Non è stato per quello che Lui è morto: non è stato per lasciarci qui a discutere tra chi di noi abbia avuto o abbia ragione.
Non è stato per attribuire meriti o colpe.
Non è stato per riempire per tornare sulle nostre debolezze.
Non è stato per esprimere un giudizio.
Non è stato per riavvolgere il film, non è stato per imprecare al legno storto dell'umanità, che ogni cosa porta a rovina.
Non è stato per amore del Golgota. Tutt'altro.
Non è stato per impartire una lezione, nè per infrangersi contro le nostre orecchie sorde.
Siamo anche noi, Lui.
Siamo noi quell'uomo offeso, a morte, incrociato, bestemmiato, cancellato. Siamo noi, e non c'è distinzione.
Per questo, è l'ora del Silenzio che può salvarci.
Dobbiamo entrare dentro questa ora.
Viverla, soffrirla, passare il guado.
Dobbiamo varcare la soglia tenebrosa.
Recitare il nostro silenzio di questa ora è veramente rinascere.
E' credere, per sempre, al destino di un nuovo appello, che non si potrà più dimenticare.
E' l'ora della croce. Del sangue e dei chiodi. Degli occhi, tragicamente stanchi, che si chiudono. Delle ultime 7 parole pronunciate e pronunciabili.
E l'ora in cui il cielo si squarcia e calano le tenebre.
E' l'ora di ogni silenzio umano.
Che renderà grande ogni possibile risveglio.
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05/04/09

Un cristianesimo senza Cristo ? - Domenica delle Palme.



Che cosa sarebbe il Cristianesimo senza Cristo ? Difficile da immaginare. Eppure, in questi tempi, ho l'impressione - più che una impressione in realtà - che molto disinvoltamente si tenda spesso a 'fare' Cristianesimo senza Cristo, ovvero mettendo in secondo piano - quasi senza mai pronunciarne nemmeno il nome - la figura di Cristo.

E questa tendenza noto specialmente in una certa teologia che viene molto corteggiata dai giornali e dai media - penso anche a Vito Mancuso, il cui lavoro è sicuramente degno di attenzione, di studio e di considerazione, tra i più brillanti degli ultimi anni in assoluto - la quale propone e disputa infiniti discorsi su un 'Dio', un Dio Cristiano, la cui figura quasi mai però assume i caratteri specifici della persona del Nazareno.

Eppure, se una caratteristica peculiare il cristianesimo ha, tra le molte, è proprio quella di essere la religione che ha una persona al suo centro: la persona di Gesù Cristo, di Nazareth. Senza Gesù Cristo, il Cristianesimo cosa diventa, cosa diventerebbe ? Sicuramente un'altra cosa.

Non la religione nella cui fede abbiamo professato nel Battesimo, e nei Sacramenti. Assisto insomma al diffondersi di un cristianesimo a-personificato, e anche un po' pagano, mi sembra, che mescola piani diversi, e che cerca probabilmente di adattarsi allo spirito dei tempi. Il che, non sarebbe neanche un male assoluto, perchè il cristianesimo deve anche incarnare i tempi che vive.

Ma elidere Gesù Cristo non è mai un buon segno, non può esserlo. Ogni nostra considerazione cristiana non può che partire da Gesù Cristo.

Dovremmo ricordarcene in particolar modo oggi, quando si ricorda l'entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme. Gesù sembrava 'aver conquistato tutti'. Tutti sembravano essere ai suoi piedi, pronti a fare tutto per lui, a portarlo per sempre nei loro cuori, a tenerlo per sempre al centro dei loro pensieri. Eppure, come sappiamo bene, quegli stessi osannatori, appena quattro giorni dopo, si trasformeranno in un baleno nei condannatori e persecutori. Cercheranno di eliminare quel problema per sempre. Di cancellarlo. Non ci riuscirono. Riuscirono soltanto a rendere glorioso il suo nome, nei secoli. Oggi, forse, la musica è cambiata nuovamente. E' in corso una nuova cancellazione, più silenziosa, meno eclatante. Vedremo, sapremo, se da questo nuovo tentativo, inizierà una nuova, seconda, rinascita.

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04/04/09

Florenskij: cosa vuol dire autentico portatore dello Spirito di Dio.


In questi tempi difficili, quando si parla di fede, e la si cerca, è sempre bello tornare alle parole dei grandi illuminati che hanno percorso, prima di noi, e con molto più frutto, queste strade.


Torno spesso a Pavel A. Florenskij, maestro spirituale tra i più grandi del Novecento. Florenskij scrisse tra le altre cose una biografia del suo padre spirituale, apparsa anche in Italia con il titolo “Il sale della terra. Vita dello starec Isidoro” ( Qiqajon).


Questa è una delle pagine conclusive, che riassume il segno e il senso della sua vicenda umana e spirituale. E che rappresenta per noi, uomini del 2009, una grande suggestione e un valido, profondo insegnamento:


L’abba Isidoro era un autentico portatore dello Spirito di Dio. Ecco perché quanto di eccezionale è in lui era e continua a restare inefferrabile per il nostro linguaggio, impercettibile per il nostro intelletto. Di per sé tutto d’un pezzo, unitario, l’abba diventa interamente contraddittorio nel momento in cui si tenta di caratterizzarlo a parole, dicendo: “Ecco, era questo e quest’altro”. È vero, sottostava ai digiuni, ma al contempo li violava. È vero, era dotato dello spirito di sottomissione, ma anche di indipendenza. È vero, viveva relegato dal mondo, ma amava tutta la crazione come nessuno mai. È vero, viveva tutto assorto in Dio, ma non trascurava di leggere i giornali e di dilettarsi di poesia. È vero, era di carattere mite, ma sapeva essere anche severo. In una parola, al nostro intelletto egli si presenta come un’insanabile contraddizione. Ma alla ragione purificata egli appare come un tutto coerente come nessuno mai. Anche la sua unità spirituale sembra costituire una contraddizione sul piano razionale. Viveva nel mondo, e al contempo non era di questo mondo. Non disdegnava nulla, eppure si manteneva sempre al di sopra, in una dimensione celeste. Era spirituale, pneumatoforo, e nella sua persona era possibile comprendere che cosa significhi la spiritualità cristiana, che cosa significhi essere cristiani “non di questo mondo”.

(Pavel A. Florenskij, Il sale della terra. Vita dello starec Isidoro)
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03/04/09

Ultime dal pianeta cronaca - L'innocenza e il vuoto.


Devo dire che certe volte la cronaca, i casi di cronaca, ci dicono del nostro mondo, molto di più di quanto potrebbero decine e decine di trattati di sociologia. La cronaca ci parla con una immediatezza, con una risolutezza brutale, di quello che è diventato il nostro mondo, la nostra società, ci apre gli occhi su quello che non vogliamo vedere e ci illudiamo sia molto diverso.

Quanti discorsi sentiamo sulla gioventù, sull'isolamento, sulla disperazione, sulla mancanza di ideali, o di speranza, sulla pochezza di vite che dovrebbero avere quella genuinità, quella forza potenziale di scardinare il mondo. Eppure per riassumerli tutti in un secondo, basta poco. Sono rimasto come molti - immagino - basito leggendo oggi le rivelazioni della stampa a proposito del 'Delitto di Garlasco'.

C'è sempre una feroce banalizzazione nel modo in cui media propongono alla curiosità morbosa dei lettori o dei telespettatori vicende come questa. E nella banalizzazione di turno, questa volta, ad Alberto, il fidanzato imputato spettava il ruolo del perverso e probabilmente del cinico corruttore che porta la sua 'innocente' fidanzata di fronte all'evidenza dei propri fantasmi, e una volta scoperto, si scopre perfino omicida. Mentre alla fidanzata uccisa spettava il ruolo di vittima innocente, sacrificale.

Ora apprendiamo dai verbali de-secretati (ad arte dalla difesa di Alberto, nel tentativo di ottenere una assoluzione dal rito abbreviato ) , che la realtà è - come sempre - ben più complessa, e si scopre un lato d'ombra della vittima, Chiara, davvero ingombrante, al punto tale che dietro la maschera della 'brava ragazza', studiosa e innocente, ella appare fatta di una pasta non molto diversa di quella del suo fidanzato (ma di quanti altri giovani in circolazione oggi nel nostro paese ??).


Come sempre questa rivelazione può essere scioccante, ma anche salutare.


Che immagine abbiamo noi dei ventenni ? Cos'è che li spinge a cercare, anche dentro vite apparentemente normali, borghesi, tranquille, perfino torpide, emozioni sempre più forti, estreme come tanto si usa dire oggi ? Qual è il vuoto che hanno dentro ? Dove è andata la loro anima ? Che cosa è successo alla loro anima ? All'anima di chi li ha educati, a quella dei loro genitori ? Davvero il compiacimento sessuale, il vouayerismo, la perversione, la ferocia del sangue sembrano essere i nuovi idoli di queste vite ?
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31/03/09

Jabès - L'Ospitalità che crea il nostro essere Persone.


Quando morì Edmund Jabès, il 2 gennaio del 1991, si disse subito: uno dei massimi poeti contemporanei. Ma non solo, perché Jabès, l’esule egiziano trapiantato a Parigi, lasciando un corpus di riflessioni e testi filosofici, ha anche esplorato – sempre in modo poetico – alcuni temi capitali della contemporaneità. Uno di questi è il tema dell’accoglienza, dell’essere straniero, dell’ospitalità che sembra, mai come in questi tempi, cruciale per le sorti del mondo.

Cruciale anche per noi cristiani, che dovremmo fare dell'ospitalità all'altro, al clandestino, al rifugiato, all'esiliato, al derelitto, al sofferente, al fuggitivo, al povero, all'emarginato, la nostra bandiera di vita. Purtroppo invece nella nostra bella Italia cristiana succede esattamente il contrario, come illustrato, assai amaramente dal pezzo pubblicato oggi in prima pagina sul Corriere della Sera da Gian Antonio Stella e che potete leggere cliccando qui.

All’ospitalità Jabès dedicò un libro ( in Italia: Il libro dell’Ospitalità – Edmund Jabès, Raffaello Cortina Editore, 1991 ).

E l’ospitalità di cui parla Jabès, la ricchezza maggiore per un individuo, per una persona: è quella che permette a due estranei di incontrarsi e di (ri)conoscersi. Con l’incontro, lo svelamento reciproco:

Posso rivelare il mio nome soltanto a colui che non mi conosce.
Colui che conosce il mio nome, lo rivela a me.

E’ dunque solo l’altro, colui attraverso il quale io posso imparare il mio nome. E’ grazie alla sua accoglienza/ospitalità che io posso identificarmi. Ed è l’attesa di/per qualcuno che genera la sua presenza, le concede significato:

Tu esisti perché io ti attendo.

Anche attendere non è quindi un’operazione passiva, ma creativa. La parola ospite, infatti ha in lingua italiana, una doppia valenza, attiva e passiva: colui che ospita, e colui che è ospitato

L’ospitalità, dice Jabès, è crocevia di cammini. Ma noi sappiamo aspettare l'atteso ? Sappiamo riconoscerlo ? Sappiamo ospitarlo ?
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27/03/09

Signore dei Tempi e degli Attimi - Una preghiera.


Cari amici, capita, di tanto in tanto, di imbattersi in un testo antico, ricoperto di polvere, che parla al nostro cuore e alla nostra fede, con una freschezza, una attualità e una potenza che ci sorprende e crea come un lago di pace nei nostri giorni affannati. Mi è successo con questo testo di un anonimo siriaco, che non conoscevo, e che voglio condividere con voi.


Signore dei Tempi e degli Attimi.

Quando viene la sera,
dov’è dunque la luce di questo giorno?
La sera spoglia ogni uomo,
lo distende per il sonno,
mostrandogli che tutti i suoi beni
restano quaggiù.

Gli leva le vesti,
lo mette a nudo.
Così la morte spoglia l’uomo
dei suoi beni.

Appare il mattino
e rende le vesti
a coloro che se ne rivestono:
figura della Risurrezione,
grandioso stupore.

Dì a te stesso questo:
quel che la sera ti toglie,
il mattino te lo rende
perché tu te ne copra le membra.

Svegliaci Signore,
dalla sonnolenza di questo mondo.
Allora in colui che viene
noi erediteremo la vita con i tuoi santi.

Donaci di rivestire
le vesti appropriate
per la sala del banchetto
e di prepararci
dei sontuosi mantelli di virtù.

Lode a te, mio Signore,
che hai separato la notte dal giorno,
e li fai immagini, parabole del mistero.
Noi ti confessiamo, Signore dei tempi e degli attimi.
Tutto se ne va, ma tu, tu resti te stesso
senza fine. Amen.



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24/03/09

Il cielo.

Al cielo, Dio mio, sembriamo proprio non riuscire più a guardare, se non quando ci informiamo sulle previsioni del Tempo. Eppure è lì nel cielo, il mistero che ci sovrasta, e del quale fatichiamo così tanto ad occupare la nostra mente.

Ecco allora questo semplice invito a ri-osservare il miracolo costante del cielo, con un video accompagnato dal Violin Concerto di Philip Glass, per i lettori de Il Mantello di Bartimeo ( va visto fino alla fine !)

23/03/09

Ma esiste un Piano Divino?





Ma esistono i piani divini ? Per tutta la vita ci dibattiamo in questa domanda: quello che mi succede dipende da quello che io faccio o decido, o dipende da quello che Qualcuno mi manda ?

Io, essendo cristiano, sono convinto che siano vere entrambe le cose (ma non so quanti cristiani oggi, quanti si definiscono tali, ne siano altrettanto convinti). Credo cioè che la nostra vita sia in perenne equilibrio tra le cose che noi decidiamo ogni momento della nostra giornata, e quello che non possiamo decidere, ma che 'ci capita', e che noi siamo chiamati costantemente a recepire, leggere, interpretare.
Sono cioè convinto che la volontà divina al nostro riguardo, non sia data una volta per tutte. Ma che la volontà divina nei nostri confronti sia come un padre nei confronti di un figlio. Noi possiamo decidere molto riguardo alla vita di nostro figlio: possiamo decidere come 'educarlo', e se sia giusto o no che esca di casa la sera, se ci piace o no la fidanzata che ci porterà a casa. Ma non possiamo decidere assolutamente TUTTO. Nostro figlio ci sfuggerà sempre, manterrà sempre una autonomia decisionale, ci sorprenderà sempre con i suoi atteggiamenti, le sue scelte, ecc... Un quid di incontrollabile, di imponderabile, di totalmente libero esisterà sempre in lui, come esisterà sempre la nostra libertà, autonomia, arbitrio, rispetto alla volontà divina. La volontà divina non è una tirannia. La volontà divina è come una 'cura' che si manifesta nei confronti di noi, figli. Ma noi possiamo curare quanto vogliamo un figlio, alla fine dovrà essere lui a dire 'sì' ai principi, all'educazione, alla cura che noi abbiamo riversato in lui. Ciò comporta una serie di importanti conseguenze:

1. Non possiamo lamentarci contro Dio perchè non manifesta la volontà che noi vogliamo da lui. Dio ci ha lasciati liberi di crescere. E nessuno potrà fare il cammino al posto nostro.

2. I segnali della 'cura' che Dio ci manda ci sono sempre, anche quando non li sentiamo, esattamente come quando un ragazzo non si accorge di quanto suo padre sia vicino a lui, di quanto voglia il suo bene, anche se non vuole o non può, o non riesce a sentirlo (e magari anche se suo padre non riesce a farglielo capire).

3. E' inutile affannarsi per capire cosa abbiano in mente i piani divini su di noi: i piani divini dipendono (anche) da noi, e senza di noi, cioè senza il nostro 'sì' alla cura, non può che prevalere l'istanza contraria a Dio (e cioè il male).

4. Esiste, però, nel piano della creazione, nell'imponderabile volontà divina, un quid (possiamo dire, banalizzando, il 20% ?) che noi non potremo mai comprendere, a proposito della vita: perchè un bimbo di 9 anni contrae la leucemia ? Perchè quella sera un mio amico è uscito di casa e un TIR l'ha investito ? Questo rimane un mistero, e in questa vita, nessuno potrà scioglierlo, e se questo appartiene o no alla volontà divina, lo scopriremo solo nell'aldilà. Ma per il resto, per quelli che sono gli avvenimenti consuetudinari della nostra vita - per le gioie, le speranze, le felicità, le ferite, le cadute, le mancanze, le rinascite - non dovremmo mai, credo, tirare in ballo troppo facilmente la 'volontà divina'.

18/03/09

Il perdono che non sappiamo dare.


Mentre la fede cattolica sembra ormai interessarsi soltanto alle esternazioni, alle polemiche, alle questioni legate all'etica, alla biologia, alla politica, ecc.. Il Vangelo sempre ci sorprende e - per fortuna - ci riporta al nucleo essenziale della nostra fede, a quel nucleo che è veramente importante, e senza il quale - si direbbe parafrasando San Paolo - assai vano sarebbe il nostro credere.

Uno degli aspetti principali della fede cristiana, la virtù che Cristo ha, in modo veramente rivoluzionario, calato nel mondo, è il perdono.

La liturgia di ieri ci ha riproposto questo semplice, straordinario brano del Vangelo: "In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?". E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. " La cosa che tutti dovremmo notare, credo, è che la domanda di Pietro non dice: "al mio fratello, se pecca contro di me e poi si pente ?" ma soltanto " se pecca contro di me".

Quindi, questo perdono iperbolico che il Signore ci richiede (70 volte 7, simbolo di pienezza) va - andrebbe - concesso non soltanto a chi pecca contro di me, ma anche a chi pecca contro di me, senza pentirsene.

Beh, se noi riflettiamo sulle nostre vite, su quanto ci è difficile anche solo perdonare una persona che ci ha fatto del male, e che si è pentita e che ci chiede perdono - il nostro orgoglio si oppone, sdegnosamente - figuriamoci quanto può essere difficile valutare e praticare il perdono per colui che ci ha offeso gratuitamente, e nemmeno se ne è pentito, ma anzi magari si vanta anche di quell'offesa.

Ma ogni volta io torno alla domanda iniziale: perchè il Signore ci chiede queste cose che umanamente ci appaiono im-praticabili, quasi utopistiche ? Io credo che ce lo chieda, perchè sa che nel cuore di un uomo questo perdono è possibile. Che l'uomo, nella sua grandezza (che contiene anche tanta bassezza) è capace della cosa più umana del mondo, e cioè di perdonare chi ti ha fatto del male.

Quanto bisogno abbiamo di perdono. Ma ancor di più quanto bisogno abbiamo di perdonare, di imparare a perdonare sul serio. Non basta una vita. Ma ogni giorno è buono (e santo) per provare ad iniziare.

13/03/09

La lettera del Papa ai vescovi sulla vicenda Lefebvriani: una amarezza senza precedenti.


Non so se da parte dei fedeli cattolici si sia percepita realmente la portata davvero umanamente sconvolgente della lettera che il Papa ha scritto ai vescovi sulla vicenda della revoca della scomunica ai Lefebvriani. Una lettera che non è esagerato definire 'drammatica', perchè Papa Benedetto XVI esce allo scoperto, e con toni davvero inediti, rende conto della sua personale, profonda amarezza, per come tutto l'affare della revoca della scomunica è stato vissuto 'mediaticamente', diventando giorno dopo giorno, una vera e propria colata di fango che ha finito per investire ogni buon proposito iniziale, la Curia Vaticana, l'autorità vaticana nel mondo, e la figura del Papa stesso.



Per chi non ha letto la lettera integralmente, consiglio di recuperarne la lettura, cliccando qui:




Ma insomma, anche dai resoconti di agenzia, credo si percepisca l'entità di questa situazione. Non capita spesso - anzi non è capitato quasi mai, credo, nella storia recente, che un Papa arrivi a dire che nella Chiesa (nella Chiesa cattolica) "ci si mangia e ci si divora. "

Una immagine fortissima, quasi 'dantesca'.


Insomma, dopo questa lettera, nessuno potrà più sostenere, che Oltretevere, tutto va bene, tutto fila via liscio. Se perfino il cauto Osservatore Romano parla di un Papa "coraggioso per una bufera senza precedenti. "

La situazione è piuttosto seria. Forse non sarà tutto come viene descritto da Marco Politi in questo pezzo su Repubblica on line, però davvero forse sarebbe il caso di realizzare cosa sta succedendo dentro le gerarchie della Curia Romana, se oggi anche il Segretario di Stato Card. Bertone ha sentito il bisogno di convocare le agenzie per ribadire che "Il Papa non è solo".


Un Papa solo ?


Davvero la Chiesa Cattolica, la Chiesa di Roma - almeno nei suoi vertici gerarchici - sarebbe ridotta a questo ?


11/03/09

Cristiani perchè tanta paura ?


Cari amici, anche riallacciandomi all'ultimo commento di Alessandro, e alla mia risposta, nel post precedente a questo, mi piace proporvi questo denso articolo comparso domenica sul Sole 24 ore a firma di Roberta de Monticelli.


Cristiani, perché tanta paura?
di Roberta De Monticelli
in "Il Sole-24 Ore" dell'8 marzo 2009


Ma esiste una «scuola medica-teologica-filosofica» del San Raffaele, come da più parti si dice?
Certamente c'è un nuovo personalismo, da molti di noi condiviso (sul Sole 24 Ore lo ribadisce Giorgio Cosmacini, che chiama giustamente «testamento biografico» il testamento biologico).

Come non rallegrarsi profondamente dell'eco che oggi trova la voce di un teologo come Vito Mancuso? Anche le reazioni di sconcerto o scandalo che essa provoca sono segno certo che con lei «lo spirito è al lavoro». Lo sentiamo, il suo soffio che ravviva, in un'idea grandiosamente semplice, che Mancuso esprime dal punto di vista teologico ed ecclesiologico, quando invita i cattolici a rinnovare «la svolta positiva che il Vaticano II ha introdotto fra cattolici e storia», estendendola «al rapporto con la natura».

Vista dal versante neuroscientifico, etico e filosofico questa è l'idea stessa che ha portato a fondare una facoltà filosofica di concezione tutta nuova. L'evento cosmico cui noi umani assistiamo da che esistiamo - lo stupefacente emergere della personalità e dei suoi mondi dalla materia e dall'energia di cui siamo fatti - dopo aver finalmente penetrato, con la modernità, la nostra consapevolezza e la nostra scienza, chiede oggi alla nostra ragione pratica-morale, giuridica, politica oltre che religiosa - di farsene carico. La nostra ragione matura con noi. Forse quello che veramente caratterizza l'intero «tempo moderno», sempre più incisivamente e rapidamente, è la crescita relativa della vita personale rispetto a quella sub-personale, che la nutre e sostiene. Cresce la parte di «natura umana» che ciascuno di noi «impersona», che ingloba nella propria personalità morale e spirituale, e di cui è chiamato a farsi responsabilmente carico. Cresce la parte di vocazione e decresce quella di destino.

Si allargano i confini della giurisdizione della coscienza morale di ciascuno: e questo vuol dire che molto più spirito si incarna e molta più natura si spiritualizza. Cioè si incorpora nella personalità degli individui: molti più fatti biologici, molti più legami sociali si fanno oggetto delle sensibilità personali. Per la responsabilità che ne portiamo ormai, nel bene e nel male. Oggi le posizioni del Magistero in materia di etica pubblica si riconducono in gran parte a una volontà
di limitare l'interpretazione personale della vita biologica: in nome della sua «indisponibilità», in nome della «natura».

Eppure le differenze personali nel modo di vivere la sessualità, la riproduzione della specie, la fine della vita attestano una «spiritualizzazione» della natura, un suo venire incorporata entro le vocazioni personali. Dove la biologia, il sesso, l'amore, la morte sono «impersonate », come si può rispettare la natura senza rispettare le differenze fra le persone? Là dove la natura si impersona e la personalità si incarna, lo spirito vive e soffia potenzialmente di più, e non di
meno, la sensibilità ai valori si allarga e non si restringe.

Il cristianesimo, la «religione dello spirito», è la radice di un personalismo che oggi più che mai è seme di intelligenza nuova. E lo spirito è fatto per rinnovare la mente di ciascuno, non dei soli credenti. Non porta un semplice rinnovamento del sentire e del pensare, ma la concezione stessa del divino come perenne nascita del nuovo in noi, anche attraverso l'immensa libertà che la quotidiana «morte» dell'«uomo vecchio» ci conquista rispetto al passato e alla cieca ripetizione di ciò che eravamo.

E allora perché tanta paura, tante difese? Perché così poca speranza?