26/10/09

Il Vangello di ieri - Bartimeo.


Proprio ieri la Liturgia domenicale ci ha sottoposto come lettura il brano del Vangelo dal quale il titolo stesso di questo blog è ispirato.

E giunsero a Gerico. E mentre partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».

Allora Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!» E chiamarono il cieco dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!» Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che vuoi che io ti faccia?» E il cieco a lui: «Rabbunì, che io riabbia la vista!» E Gesù gli disse: «Và, la tua fede ti ha salvato». E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.

Non è stato un caso che io abbia scelto questo brano evangelico, e la figura di Bartimèo, per questo blog.
Mi sembra che Bartimèo rappresenti, come meglio non si potrebbe, la situazione dell'uomo oggi, specie in Occidente. Bartimèo è cieco, innanzitutto. E' un uomo che non può più vedere, che non sa più vedere. E', oltretutto, un mendicante. Quale - da un punto di vista simbolico - siamo un po' tutti, oggi. Mendicanti di una qualsiasi verità, che ci sembra inesistente, e di cui abbiamo smarrito il senso e la via.

Ma Gesù, il Cristo, con il suo passaggio, sembra riportare luce nell'oscurità. E' singolare che Bartimèo vada da lui abbandonando perfino il mantello, che è tutto ciò che ha: casa, letto, coperta, rifugio. Si presenta da Lui nudo. Gesù non lo guarisce semplicemente: vuole che sia lui ad esprimersi. Gesù non prevarica mai, non agisce mai imponendo se stesso. Lascia sempre l'arbitrio. Chiede espressamente al cieco: " che vuoi che io ti faccia ", anche se sembra evidente che il desiderio di Bartimèo possa essere uno ed uno soltanto.
Solo quando il cieco si esprime e rimette la sua fede nelle mani del Cristo, chiamandolo 'Rabbunì', Cristo lo guarisce. Lo guarisce quasi con naturalezza, con spontaneità.

Ricordiamoci che Gesù è sulla strada di Gerusalemme, dove lo aspetta il supplizio. Ricordiamoci che Gesù, il Salvatore non è venuto per guarire tutti indistintamente.
Non guarisce TUTTI i malati di Gerusalemme. Ha bisogno di qualcosa per farlo. Ha bisogno di disponibilità, ha bisogno di un affidarsi, ha bisogno di fede.
La fede è una relazione, sempre.
Il cieco Bartimèo lo sapeva, ed è stato salvato in virtù di questa relazione.

Nessuno si salva da solo, verrebbe da dire. E forse un giorno anche noi potremo esultare insieme a Bartimèo.
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23/10/09

Riprendiamoci il Tempo !

Visitavo le sale del neo-nato (meritevolissimo) MEI - Museo dell'Emigrazione Italiana, inaugurato oggi al Vittoriano, a Roma, e mi aggiravo pensoso tra le teche dove erano esposte le fotografie ingiallite degli emigranti italiani, poverissimi, i quali sul finire del secolo scorso, e per buona parte del seguente, partirono - in 29 milioni (una cifra spaventosa) - alla ricerca di una vita più dignitosa verso il Nuovo Continente.
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Guardavo quelle facce di poveri emigranti, leggevo le loro lettere sgrammaticate scritte ai parenti rimasti in Italia, spiavo gli sguardi di quelle carte di identità, e mi dicevo: questi uomini, queste donne hanno veramente vissuto.
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La loro vita fu impiegata per qualcosa di meritevole - la ricerca della dignità per sè ma soprattutto per la propria famiglia. Questi uomini, queste donne non avevano tempo per domandarsi: "cosa è il tempo ?" "cosa devo fare del mio tempo ?" La domanda che sembra invece essere divenuta il punto di inciampo degli italiani di oggi che non sono più emigranti e che guardano anzi ai nuovi emigranti - ancora più poveri, ancora più diseredati di come eravamo noi - con un misto di fastidio e di insofferenza, quando non con sentimenti di dichiarato razzismo.
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Il benessere ha portato con sè, nell'Italia di oggi, effetti collaterali imprevisti come una diffusa infelicità. E quel che vedo spesso è che questa infelicità latente, liquida, ambigua, sottesa deriva spesso da un rapporto insofferente, non risolto con il tempo, con il non avere tempo.
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"Non ho tempo," "mi piacerebbe, ma davvero non ho tempo," "vorrei avere più tempo", sono diventate parole d'ordine dei nostri giorni.
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Intanto, mentre noi pronunciamo queste parole, il tempo ci sfugge dalle dita.
Il "tempo libero" non è mai stato meno libero. Il tempo "liberato", a quanto pare, non è mai stato più prigioniero, con il nostro consenso, e anche con ogni valida giustificazione che le nostre vite attuali portano e pretendono (come si fa a trovare tempo, se io devo lavorare 8 ore al giorno, stare due ore nel traffico, pensare ai miei figli, ad ogni incombenza spiccia a cui la vita sottopone...).
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Eppure, nessun tempo sarà mai libero, o davvero liberato, se non troveremo il tempo (fisico, materiale, non soltanto simbolico, spirituale) di guardare il cielo.
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Dovremmo cercare di evitare di fare come il principe Andrej Bolkonskij, una delle straordinarie figure che Tolstoj mette al centro di 'Guerra e Pace'. E' soltanto durante la battaglia di Austerlitz, ferito gravemente e oramai immobile, sdraiato sul campo di battaglia, che il principe Andrej ha finalmente un'illuminazione vertiginosa guardando il cielo alto e le nubi sul suo capo. E' in quel momento che avviene la prima crisi nella coscienza di Andrej, il quale soltanto allora si rende conto della vanità dei desideri di gloria, provando una improvvisa luminosa pace, che ribalta completamente ogni punto di osservazione precedente riguardo alla vita.
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Non aspettiamo di non avere più tempo. Ricordiamocene spesso, ricordiamocene sempre. Ricordiamoci di avere tempo per guardare il cielo.
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18/10/09

La musica è preghiera. Benedetto XVI lo dice al concerto di Jin Ju.

La musica può essere preghiera. Lo dimostra, senza dubbio, questa canzone di Franco Battiato, che contiene anche alcuni versi in tedesco tratti da Wasserstatuen di Fleur Jaeggy.

Ho trovato, a proposito di questo argomento, molto interessanti le parole pronunciate ieri da Benedetto XVI ringraziando l'Accademia Pianistica Internazionale di Imola, che per iniziativa del suo fondatore, il maestro Franco Scala, ha offerto in Vaticano un singolarissimo concerto nel quale una giovane interprete cinese, Jin Ju, ha suonato uno dopo l'altro sette diversi strumenti musicali, dal clavicembalo al pianaforte moderno. Esecuzione applaudita con entusiasmo e convinzione dal Papa (notoriamente appassionato di musica classica e considerato lui stesso un ottimo pianista) come dai cardinali e prelati della Curia Romana e dai vescovi del Sinodo Africano riuniti per l'occasione nell'Aula Nervi.

"Questo concerto - ha riconosciuto il Papa tedesco - ci ha permesso, ancora una volta, di gustare la bellezza della musica, linguaggio spirituale e quindi universale, veicolo quanto mai adatto alla comprensione e all'unione tra le persone e i popoli. La musica fa parte di tutte le culture e, potremmo dire, accompagna ogni esperienza umana, dal dolore al piacere, dall'odio all'amore, dalla tristezza alla gioia, dalla morte alla vita. La musica, la grande musica, distende lo spirito, uscita sentimenti profondi ed invita quasi naturalmente ad elevare la mente e il cuore a Dio in ogni situazione, sia gioiosa che triste, dell'esistenza umana. La musica - ha concluso - puo' diventare preghiera".

Buona domenica a tutti.

fonte AGI

13/10/09

Medjugorje - Un enigma che non si chiude. Una nuova direttiva arriverà dal Vaticano.


Esco un po' fuori dal seminato degli ultimi post, per parlare oggi invece, di Medjugorie. La notizia - forse l'avrete letta da qualche parte - è che l'arcivescovo di Sarajevo Vinko Puljic ha annunciato pochi giorni fa che entro la fine dell'anno un nuovo documento - una direttiva - verrà prodotta dal Vaticano sul caso delle famose apparizioni di Medjugorie, iniziate nel lontano 24 maggio 1981 sulla collina di Crnica, a 25 km. da Mostar, nella ex Jugoslavia.

Anticipazioni non ce ne sono, ma dopo che a luglio Papa Benedetto XVI ha ridotto allo stato laicale padre Vlasic, l'ex direttore spirituale dei veggenti, e dopo che il vescovo di Mostar, Mons. Peric, un mese fa ha proibito ritiri, conferenze e celebrazioni nel santuario, che non abbiano la sua espressa autorizzazione, è probabile che la nuova direttiva consisterà in un ulteriore 'giro di vite' su queste apparizioni che vanno avanti da 38 anni.

Come è noto, la Chiesa non ha finora preso posizione ufficiale sulle apparizioni di Medjugorie - anche perchè come si sa il diritto Canonico prevede che il 'fenomeno' debba essersi chiuso per potervi essere una pronuncia ufficiale - le quali hanno suscitato in questi decenni opinioni di ogni tipo, e controversie polemiche a non finire.

Intanto i veggenti continuano a sostenere di avere visioni - in alcuni casi, come per Vicka, Ivan e Marija (tre dei sei originari) addirittura quotidiane (questa in testa è una del 2008 della veggente Mirjana).

I video con le apparizioni sono ovunque. Il santuario è diventato il secondo luogo di culto più visitato in europa (dopo Lourdes), e - nonostante manchi ogni tipo di ufficialità - la Regina della Pace evocata a Medjugorie è diventata ormai punto di riferimento di molte comunità cattoliche.

Non sono mai stato a Medjugorje, eppure ho molti amici - anche intellettuali, e anche di solito refrattari a manifestazioni esagerate di culto popolare - che mi hanno riferito impressioni molto forti, e conferme di fede inaspettate.

Insomma, Medjugorje sembra essere un po' il paradosso dei nostri tempi, anche in fatto di fede. C'è molta evidenza, ma anche molta diffidenza. C'è molto (troppo?) clamore e forse poco silenzio. C'è una difficoltà di credere, e una grande circospezione anche da parte delle più alte cariche ecclesiastiche.

I sei ragazzi - oggi adulti, sposati, con famiglie - hanno finto per 38 anni ? Hanno ingannato tutti per 38 anni ? Ricavandone che cosa ? Per quali motivi ? Sono domande che, credo, si facciano tutti. Mi piacerebbe conoscere anche il vostro pensiero.

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07/10/09

L'attenzione e la cognizione del reale - Simone Weil.

Ci sarebbe un'altra qualità - cristiana - da aggiungere a quel 'poco' e a quella 'cura' di cui parlavo nel post precedente. L'attenzione fa parte della cura, ma si riferisce più esattamente alla cura di un altro essere umano, all'ascolto di lui/lei - e quindi alla fratellanza - che in qualche caso autentico può portare all'aiuto risolutivo, cioè alla guarigione.

Di questo parla, la lettera che pubblico oggi, scritta da Simone Weil a Joe Bousquet nel 1942, un anno prima di morire. Bisogna leggerla con attenzione, appunto. Come tutte le cose scritte da Simone, contiene un tesoro che si svela mano a mano, che rivela sempre ulteriori profondità.

Inserisco la lettera in una doppia versione - video, e nella trascrizione letterale.

Mi ha profondamente commossa constatare che ha dedicato una viva attenzione alle poche pagine che le ho mostrato. Non ne traggo la conclusione che meritino attenzione. Considero tale attenzione come un dono gratuito e generoso da parte sua. L’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità. A pochissimi spiriti è dato scoprire che le cose e gli esseri esistono. Fin dalla mia infanzia non desidero altro che averne ricevuto, prima di morire, la piena rivelazione. Mi sembra che lei sia orientato verso questa scoperta. In effetti, ritengo di non aver conosciuto, da quando sono giunta in questa regione, nessuno il cui destino non sia di gran lunga inferiore al suo; tranne un’eccezione. (L’eccezione, lo dico di sfuggita, è un domenicano di Marsiglia quasi completamente cieco, di nome padre Perrin. Deve essere stato nominato da poco, credo, priore in un convento di Montpellier; se capitasse a Carcassonne, ritengo che varrebbe la pena di organizzare un incontro tra voi.)

La scoperta che le dicevo è in fondo il soggetto della storia del Graal. Solamente un essere predestinato ha la facoltà di domandare ad un altro: «Qual è dunque il tuo tormento? ». E non gli è data nascendo. Deve passare per anni di notte oscura in cui vaga nella sventura, nella lontananza da tutto quello che ama e con la consapevolezza della propria maledizione. Ma alla fine riceve la facoltà di rivolgere una simile domanda, nel medesimo istante ottiene la pietra di vita e guarisce la sofferenza altrui.

E questo, ai miei occhi, l’unico fondamento legittimo di ogni morale; le cattive azioni sono quelle che velano la realtà delle cose e degli esseri oppure quelle che assolutamente non commetteremmo mai se sapessimo veramente che le cose e gli esseri esistono. Reciprocamente, la piena cognizione che le cose e gli esseri sono reali implica la perfezione. Ma anche infinitamente lontani dalla perfezione possiamo, purché si sia orientati verso di essa, avere il presentimento di questa cognizione; ed è cosa rarissima. Non v’è altra autentica grandezza. Parlo di tutto questo non propriamente come un cieco, ma come un quasi cieco potrebbe parlare della luce. Almeno penso di vedere abbastanza per avere potuto riconoscere in voi questo orientamento.

E un regno in cui opera il semplice desiderio, purché autentico, non la volontà; in cui il semplice orientamento fa avanzare, a patto che si resti sempre rivolti verso lo stesso punto. Tre volte felice colui che è stato posto una volta nella direzione giusta. Gli altri si agitano nel sonno. Colui che procede nella giusta direzione è libero da ogni male. Benché sia, più di chiunque altro, sensibile alla sventura, benché la sventura gli procuri soprattutto un sentimento di colpa e di maledizione, tuttavia per lui la sventura non costituisce un male. A meno che non tradisca e non distolga lo sguardo, sarà sempre preservato. Anche quando si sente completamente abbandonato da Dio e dagli uomini, è comunque preservato da ogni male. Per aver parte a questo privilegio basta desiderarlo. E' proprio questo desiderio a essere cosa estremamente difficile e rara. La maggior parte di coloro che sono convinti di averlo, non l’hanno.

Tutta la parte mediocre dell’anima si rivolta e vuole soffocare il desiderio da cui si sente minacciata di morte, e riesce il più delle volte a raggiungere il suo scopo attraverso qualche menzogna. Allora si sente al sicuro. Gli sforzi, la tensione della volontà non la turbano. Si sente unicamente minacciata dalla presenza nell’anima di un punto di desiderio puro. Quanto prima le manderò la copia di alcuni versi di Eschilo e di Sofocle con il mio tentativo di traduzione. Anche un Nuovo Testamento in greco. Mi rimprovero di non averle detto una cosa a Carcassonne. Questa. Poiché lei ha bisogno di far venire un farmaco da Marsiglia, se in qualche modo posso esserle utile, disponga di me. Non tema di causarmi disturbo, se sarà necessario.
Creda alla mia amicizia.

29/09/09

La cura e il poco. Due antidoti (cristiani) alla mancanza di Senso.


Essere uomini, però non è semplice.

Tanto più oggi. Il senso dell’orientamento è smarrito. Le vecchie società patriarcali, pur nell’abisso di palesi ingiustizie, e di inferni quotidiani e familiari, fornivano sicuri appoggi: per essere uomini occorreva il rispetto di poche e semplici, lineari regole. Nascita, obbedienza, iniziazione, coraggio, destino, onorabilità, consolazione, pietà.

Parole che sembrano oggi difficili da ritrovare, nel pullulare infinito di ‘bit’ dentro il quale sembra essersi parcellizzata la nostra ricerca di senso. Essere felici è diventato più importante che essere umani. Ma, come appare chiaro, nessuno può essere veramente felice, se non è prima di tutto umano.

Quindi, bisogna ripartire dall’origine.

E, ne sono convinto, non è semplice compiere oggi un percorso di umanizzazione, o di ri-umanizzazione. Gli ostacoli sono tanti, e appaiono spesso insormontabili.

Eppure, è l’esempio di Cristo stesso che ci indica la via, come sempre. L’aiuto cristiano – il tanto decantato ( e spesso vuoto, nelle affermazioni di principio) “amore per il prossimo “ - dovrebbe essere null’altro che aiutare gli altri ad eliminare quegli ostacoli (interiori ed esteriori) che si frappongono al raggiungimento dello "stato di uomini fatti, all'altezza della statura perfetta di Cristo" (Efesini 4:13).

Sono parole su cui bisognerebbe meditare a lungo.

Se si vuole ritrovare la via di un Senso, bisogna, mai come in questi tempi, nuotare controcorrente.


La corrente porta attualmente verso: la dispersione e il troppo. Ciascuno di noi è diviso tra troppe opportunità (spesso del tutto velleitarie), che ci rendono come pazzi, invasati. Fare mille cose per non farne, di vera, nessuna. E’ la civiltà del ‘troppo’: troppi consumi, troppe informazioni, troppe possibilità (uguale: immobilità paralizzante), troppo di tutto.
Ed è anche la civiltà della dispersione: perdiamo qualità umana, come se fosse acqua nello scarico delle fogne. Perché viviamo come dentro un flusso, e non riusciamo a trovare contenitori che contengano le nostre azioni.

Il rimedio mi appare dunque in due sole parole, che sono anche un intero programma di vita: cura e poco.

Primo: rifuggire dal troppo: accontentarsi del poco. Valorizzare il poco. Selezionare, rifiutare il superfluo, esercitarsi sulla lunghezza d’onda di un risparmio, di una austerità, di una sobrietà, così in controtendenza rispetto al messaggio imperante e dilagante.

Secondo: esercitare la cura. La cura vuol dire non soltanto la cura cristiana. Più in generale dedicarsi alla cura, all’attenzione. Concentrare le forze buone su un progetto di crescita che sia, possibilmente, altro da noi.

L’uomo ha inscritto nel suo destino queste due qualità: il poco e la cura. L’uomo ha saputo costruirsi dal nulla, con poco, dalla semplice terra. Ha saputo sopravvivere ad ogni necessità, e questa è stata – anche biologicamente – la sua forza evolutiva. L’uomo ha saputo applicarsi alla cura, con risultati straordinari.

Senza la cultura del poco, senza la cura in quello che facciamo, noi non siamo fino in fondo uomini, e quindi, non siamo niente.

in testa Il Giardiniere di Vincent Van Gogh.

22/09/09

Diventare un Uomo.



Come si fa ad uscire da quello che abbiamo chiamato "stato manicomiale del mondo" ? Quale è il sistema giusto, quale è l'uscita ? Che cosa significa, in definitiva, quella parola - conversione - che abbiamo usato nell'ultimo post ?

Convertirsi potrebbe voler dire, molto semplicemente, come spiega in questo brevissimo brano di intervista del 1990, il grande Padre Turoldo, essere uomo.

"L'uomo non è un dato oggettivo, " dice Padre Turoldo. E oggi, questa semplice constatazione farebbe, fa, già di per sè discutere, se si pensa a quanto pensiero meccanico-razionalista si è impadronito di noi. Siamo trattati sempre più spesso come una massa, analizzati come tali - consumatori, elettori, ascoltatori - cioè come un insieme di dati oggettivi, che possono essere rinchiusi e studiati in una statistica, cioè appunto in un dato.

Ma l'uomo è questo ?

Nella stessa radice etimologica della parola uomo, c'è la sua essenza. Homo ha la stessa radice di humus. L'uomo viene dalla terra, già dal suo nome. L'uomo è terra. E come sappiamo anche la terra non è un dato oggettivo. Perchè la terra produce vita. E la vita non è mai oggettiva. Sappiamo - è la scienza a dirlo - che due esseri viventi NON sono mai uguali, e che ogni essere umano non è nemmeno duplicabile (a identità di patrimonio genetico corrispondono caratteri diversi, destini diversi, malattie diverse, morti diverse) . Anche nei casi di clonazione - che l'apprendista stregone umano sta mettendo in campo - non ci sono MAI due esseri perfettamente uguali. La vita è programmata per essere diversa, sempre. Per essere irripetibile. Per non essere un dato oggettivo.

Essere umani vuole dire quindi appropriarsi della propria diversità, scendere fino in fondo nel pensiero di autoconoscenza, avvicinarsi all'essenza che ci rende unici nel creato.

Ma quello che sembra che abbiamo tutti dimenticato è che quello che rende umano un uomo, è già dentro di lui.

Il problema non è quello che abbiamo dentro di noi. Il problema è quello che noi facciamo per rendere riconoscibile o no, consapevole o no quello che abbiamo. E' questo che ci rende umani. Dentro di noi esiste già tutto. E da noi, solo da noi, dipende tutto.

Gesù Cristo si sforza di farlo capire ai discepoli, che continuano a chiedergli insistentemente "cosa è che rende impuro un uomo. "

"Ascoltatemi tutti e cercate di capire ! - dice Gesù ( Marco 7,14) - Niente che entra nell'uomo dall'esterno può renderlo impuro. E' ciò che esce dall'uomo che lo rende impuro."

In ogni uomo, sembra di capire dalle parole di Gesù, il Regno di Dio - cioè potremmo dire in termini moderni la pienezza, il Senso ultimo, la salvezza per tutti - opera ' a prescindere', soltanto che noi siamo capaci di scoprire la sua opera in noi.

Nella parabola del seme Egli, ancora più chiaramente, racconta ( Mc. 4,26) :

"Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura".

Esiste immagine più chiara di questa ? Non dovremmo andare in giro molto a cercare. Nel seme c'è già TUTTO. E come dice Turoldo bisognerebbe solo avere la costanza di procedere dal nulla al TUTTO (e non viceversa) che è già in noi.

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16/09/09

La conversione del cuore, un cambiamento di prospettiva radicale.


Come è possibile invertire la tendenza ? Come è possibile sfuggire al giogo del non-senso, di questo apparente - ma schiacciante - caos del mondo, che ovunque sembra dettare il suo dominio ?

Come è possibile "sintonizzarsi" su una frequenza diversa ? Qualcosa che dia non 'un' senso, ma 'IL' senso ? Sono convinto che nessuna conversione (dal latino convertere, cioè volgere, trasformare, mutare) è possibile, nella nostra vita, se non mutando completamente la prospettiva della nostra individualità sorda, che alimenta lo stato manicomiale del mondo.

Qui non si parla di una conversione religiosa, tout court, ma di una conversione 'di pensiero'. Prtoviamo infatti a leggere queste frasi di Isaia, e di Gesù (sono tratte dalle Letture di Domenica scorsa), prescindendo da un contesto strettamente religioso.

Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro.
Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia
agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso.
È vicino chi mi rende giustizia:
chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci.
Chi mi accusa? Si avvicini a me.
Ecco, il Signore Dio mi assiste:
chi mi dichiarerà colpevole?

Sostituiamo alla parola " Dio " la frase "il mio prossimo". Che vuol dire, il mio vicino, il mio amico, il mio fratello.
La sostanza non cambia: dobbiamo concedere fiducia a qualcuno che non siamo noi. La nostra prospettiva cambia immediatamente. Invece di "farci giustizia da soli". Invece di reagire, invece di creare altro caos nel mondo, seminiamo pace, seminiamo un nuovo ordine. Invertiamo l'ordine (apparente) del mondo.

Il Vangelo di Marco recita:
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli,
rimproverò Pietro e disse: «Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».


"Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua."
Non è questa l'unica rivoluzione del mondo possibile ? Non è soltanto quando rinneghiamo noi stessi, nel senso che finalmente ci mettiamo FUORI dal centro del mondo, che riusciamo a scoprire qualcosa di nuovo, nelle nostre povere vite ?

"Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà".

E' un cambiamento di prospettive spaventoso. Per ora, fermiamoci qua. Pensiamo soltanto a questo. Pensiamo a come, volendo disperatamente salvare la propria vita, noi, noi tutti, spesso non facciamo altro che perderla. Perdere la vita, perdere noi stessi. Perdere il senso, l'orientamento, l'arrivo, la destinazione di tutto. Per il resto, per il salto della fede, c'è tempo. C'è tutto il tempo della vita, e del mondo.

11/09/09

Lo stato manicomiale del mondo.



La prerogativa dei geni è di capire le cose con anni, decenni - e qualche volta secoli - di anticipo, rispetto ai tempi che stanno vivendo. Federico Fellini, nel 1979, realizzò uno stranissimo piccolo film, prodotto dalla RAI (erano altri tempi...), che intitolò 'Prova d'Orchestra'.

In soli 70 minuti Fellini costruì un perfetto apologo sulla situazione della società italiana (e più in generale di quella occidentale), degli impulsi auto-distruttivi e distruttivi, del disordine progressivo, della teoria del caos che sembra spezzare ogni potenzialità positiva e costruttiva, del bisogno di ordine, dei pericoli dell'autoritarismo, del plebiscito e della paura come antidoto ai rischi e alle ansie del vivere comune.

Tutte cose che tristemente stiamo sperimentando in questi anni. In cui l'idea stessa di 'società' sembra come liquefarsi lentamente (non a caso Zygmut Baumann ha coniato la fortunata formula di società liquida), in cui il connotato stesso del vivere insieme, del procedere verso una idea di progresso sta cedendo il passo ad un confuso 'avanzamento a tentoni', un camminamento al buio (come è poi esplicitamente mostrato dallo stesso Fellini nel suo film) senza punti di orientamento, in cui sembra che l'unico vero progresso possibile, e l'unica vera conoscenza possibile, possano derivare da stati d'animo particolari, da vicende e punti di vista e interessi personali, a meno che... a meno che qualcuno con la voce grossa non ci dica cosa fare.

In effetti, se potessimo guardare il mondo dall'esterno, come attraverso una boccia di vetro, esso ci apparirebbe come un manicomio: una comunità di reclusi, in lotta uno contro l'altro, con stati e situazioni estreme - un quinto del pianeta ricco e nevroticamente arroccato nella sua disperata ricerca di un senso (in cui ognuno pretende di avere il suo, ma nessuno ne è certo) e i restanti quattro quinti del pianeta alle prese con situazioni di povertà, di sofferenza, di degrado, di abbandono, di bisogni primari spesso insoddisfatti.

Credo che ogni analisi di crescita personale non possa mai prescindere da questo quadro complessivo: nessuno di noi vive all'infuori del mondo, nessuno ne è indipendente, nessuno può tirarsene fuori.

E se non si capisce che ogni storia personale è anche la storia del mondo, nessuno riuscirà ad avvicinarsi ad un grammo di verità convincente.

Per questo è particolarmente importante comprendere che il senso del cristianesimo non si trova dentro un progetto di salvezza personale, ma di una salvezza complessiva, del mondo. E se il mondo non si salva, è difficile che potremo salvarci anche noi.

Scriveva il grande filosofo iniziatico bulgaro Omraam Mikhaël Aïvanhov (1900-1986): "La maggioranza delle religioni ha presentato il Signore come un essere implacabile, vendicativo, geloso, che vede tutto e punisce anche il più piccolo sbaglio. In realtà, il Signore non ci punisce, non vuole nemmeno vedere i nostri errori, non ha il tempo di occuparsi di questo. Egli è tutto amore, non vive che nello splendore, ma ha fondato il mondo su alcune leggi e se non le rispettiamo sono loro che ci puniranno. Supponiamo che abbiate fatto una sciocchezza per cui vi sentite agitati, e pregate: attraverso questa preghiera sentite che sfuggite ai vostri tormenti, vi elevate e arrivate fino al Trono di Dio. Persino se siete polverosi e laceri, Dio vi dice: ""Entrate, siete i benvenuti!"" e ordina che veniate lavati e ben vestiti, vi invita alla sua festa e voi siete felici e nella pace. Quando ridiscendete (perché certamente sarete obbligati a ridiscendere in quanto non è possibile mantenersi a lungo in alto), di nuovo i tormenti ricominciano... E continueranno finché non comprenderete come dovete correggere i vostri errori."

Fabrizio Falconi

07/09/09

Psicanalisi e felicità.


Mi è venuto in mente, guardando le puntate della seconda serie di un bellissimo prodotto per la tv dell'americana HBO, "In Treatment". Si tratta di un serial - che nasce da un'idea della tv israeliana - che vede al centro uno psicoanalista, il quale in ogni puntata - della durata di 30 minuti - riceve nel suo studio un diverso paziente, 'in terapia'.

Il povero analista - che deve fra l'altro fare i conti con i disastri della sua vita personale (ha tre figli e un matrimonio entrato in crisi proprio a causa dell'innamoramento per una giovane paziente) - deve affrontare i casi più disparati: nella prima serie erano una ragazza avvenente e provocante, in crisi; un 'eroe di guerra' dell'Iraq; una coppia in crisi matrimoniale; nella seconda una ragazza malata di cancro, una quarantenne in crisi per assenza di maternità, un anziano manager.

Guardando questa serie mi sono reso conto di come - meglio non si potrebbe - la psicoanalisi stessa sia ormai entrata in crisi, nel nostro mondo occidentale. La speranza - pretesa - di curare le ferite e i dolori dell'anima attraverso lo scioglimento dei nodi psicologici, e di raggiungere una pienezza di senso, e di felicità, in gran voga fino a un trentennio fa - si è oggi alquanto ridimensionata.

Intendiamoci: l'analisi è una cosa seria - specie quando gli analisti sono seri e preparati - e moltissime persone sono state letteralmente 'salvate' da una terapia psico-analitica.

Ma i dolori, le ferite, le mancanze, soprattutto le RISPOSTE alla mancanza di senso che sentiamo spesso nelle nostre vite, non possono quasi mai essere risolte solo da un trattamento psico-analitico.

In "in treatment" non a caso, regna l'infelicità diffusa: quella dei pazienti, che ricavano soltanto frustrazione dalle loro speranze di 'guarigione', e soprattutto quella dell'analista, che sperimenta la sua inadeguatezza, inutilità, perlopiù aggravata dalla sofferenza altrui.

Qualcuno mi disse un giorno che la psico-analisi non è altro che una 'confessione' laica, cioè l'equivalente del sacramento della Confessione, naturalmente de-sacralizzata, e divenuta anzi un rito laico, di assoluzione o auto-assoluzione (o se preferite di riconciliazione o auto-riconciliazione).

Non so se questo sia vero o no. Vero è, indubitabilmente, che le scienze psico-analitiche hanno avuto un incredibile ed esponenziale boom concomitante con l'entrata in crisi verticale - in occidente - del sacramento della confessione, ma più in generale della pratica religiosa.

Fatto sta che mi sembra un buon segno quello che anche la scienza e la pratica psico-analitica comincino ad interrogarsi sulla validità del metodo, e sulla efficacia delle cure, nella riconsiderazione del fatto che "curare" i problemi di una persona, della sua vita, delle sue relazioni, del suo carattere, delle sue vicissitudini, non può mai risolversi semplicemente in una operazione di tipo 'meccanico'.

Esiste qualcosa, dentro di noi, che non si può spiegare (e quindi curare) soltanto sulla base di procedimenti psichici. Siamo fatti (anche) di un 'quid' che sfugge ad ogni analisi, ad ogni studio, esame, approfondimento, giustificazione, evidenza. Anzi, spesso è proprio quel 'quid' che ci fa stare così male.

E' il centro del nostro 'Sè', come lo chiamava Carl Gustav Jung. Quella voce che parla anche quando non vogliamo sentirla. La psicoanalisi va benissimo per cercare di stare meglio. Ma la guarigione, la vera guarigione, siamo soltanto noi - raggiungendo quella parte di Sè così profonda (eterna?), che sa così tanto di noi e della nostra storia - che possiamo darcela.


30/08/09

"O Dio, se tu esisti, fa che io ti conosca !"


Credo che una delle grandi prerogative della preghiera è quella di - potenzialmente - essere accessibile anche da parte di chi 'non crede'. O anzi, sarebbe meglio dire, parafrasando Gianni Vattimo, di chi "crede di non credere".

Credere o non credere sono infatti stati di coscienza 'cristallizzati' per così dire, sulla base di un convincimento personale, basato sull'esperienza (volatile) della nostra vita, sui ricordi (volatili) della nostra vita, sulle idee (volatili) della nostra vita.

Ed è per questo che è profondamente vero che - come insegna l'esperienza - dentro un qualsiasi credente esiste un 'non credente' (potenziale o parziale o reale), e dentro ogni 'credente' esiste un 'non credente (potenziale o parziale o reale).

"Credente" e "non credente" sono niente più che formule che ci diamo - anche quando ci ritroviamo sinceramente e profondamente in esse - che ci aiutano ad avere una riconoscibilità esterna ed una riconoscibilità interiore.

Ma proprio perchè nella natura umana non sembrano esistere nè certezze, nè verità assolute, si possono concepire - e possono esistere - 'scenari di confine' molto delicati, nei quali il 'credente' lascia aperta e coltiva gli spazi del dubbio, e non finisce mai di interrogarsi sul senso e sulla verità della sua fede; e nei quali il "non credente" può interrogarsi, e anche 'chiedere' la voce e la risposta di un Dio al quale non crede (o non crede fino in fondo).

Viviamo un tempo estremamente propizio per questo. Le ultime scoperte dell'astrofisica ci indicano che la nostra conoscenza del tutto - microcosmo/uomo/macrocosmo - è estremamente labile, e che gli scenari (da dove veniamo ? esistono altri, infiniti universi oltre il nostro ? Cosa esisteva prima del Big Bang ? Esistono una decina di dimensioni almeno oltre alle nostre umane, come afferma la 'teoria delle stringhe' ? Ecc...) possibili sono molto estesi, ed è molto difficile escludere anche razionalmente una eventualità, piuttosto che un altra.

In questa larghezza di vedute, che toglie il fiato, si può - lo possono anche coloro che si sentono 'non credenti' - dire: " O Dio, se tu esisti, fa che io ti conosca. "

Non è una bestemmia. E' forse, anzi, la più umana delle preghiere.

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25/08/09

La Morte viene sempre prima della Resurrezione.



Mi è capitato, proprio ieri, di partecipare ad una funzione funebre, per una persona amica, che ci aveva lasciato pochi giorni prima. E, come mi capita spesso, ho assistito - come gli altri convenuti - ad una omelia, da parte dell'officiante, un anziano sacerdote, che mi ha messo a disagio.

Mi capita abbastanza spesso, infatti, da praticante cristiano, di assistere a cerimonie funebri, durante le quali il sacerdote, preoccupato evidentemente dall'urgenza di dover consolare i parenti più stretti, gli amici, i conoscenti, ecc.. sfodera una omelia "tutta in positivo", puntando esclusivamente sul mondo dorato - il paradiso - che attende il defunto, le braccia del Signore che lo accoglieranno, la beatitudine che finalmente troverà dopo tante angosce terrene; e, quel che è più fastidioso - almeno per la mia sensibilità - accompagnando questo racconto, tutto volto al futuro della resurrezione, con sorrisetti compiaciuti.

Credo che - scontate le buone intenzioni che muovono di volta in volta questi sacerdoti - vi sia però, di fondo, una mancanza di sensibilità, e anche di opportunità.

Chi celebra dovrebbe ricordarsi sempre, soprattutto in momenti come questi, che il Cristianesimo è proprio quella religione che - molto e più delle altre - racconta, ben prima della gloria della Resurrezione, la Morte. E non la morte qualsiasi, ma una morte orribile, una delle più orribili e infamanti, quella per mezzo di Croce, destinata a Colui che si è proclamato Figlio di Dio.

Il Cristianesimo, fra l'altro, racconta questa Morte, nei Vangeli, senza risparmiare nulla del dolore, dello strazio, della disperazione di coloro che sono intorno a questa Morte, e che questa Morte vivono - prima di sapere qualcosa su quel che verrà dopo - come una perdita definitiva e terribile. Il pianto di Maria ai piedi della Croce (ricordate la scena del Gesù di Zeffirelli ?) è un urlo contro l'ingiustizia terrena, l'ingiustizia del mondo, un urlo che esprime il dolore dell'intero universo.

Quando si celebra la funzione funebre, dunque, si dovrebbe secondo me ricordare sempre, anche e soprattutto in ottica cristiana, che prima viene sempre il dolore.

Chi ha appena perduto una madre, o un padre, o un figlio, seppure armato di una fede ferrea nella resurrezione, non sa che farsene in quel momento dei sorrisetti compiaciuti, e dei voli pindarici per descrivere le meraviglie della vita ultraterrena: in quel momento, l'unica urgenza è quel vuoto che resta. Quell'affetto che non c'è più, quello strappo che brucia, quel dolore che niente e nessuno può lenire.

Ci vorrà il tempo, ci vorranno le preghiere silenziose, ci vorranno le notti insonni, ci vorrà la vicinanza di chi saprà esserci veramente. Di chi aiuterà a portare il dolore. Ci vorrà la fede, che lentamente verrà a rischiarare il fondo del tunnel.

Ma, di fronte alla lacerazione della Morte non servono sorrisetti, servirebbe soprattutto il silenzio, il rispetto, l'esempio di quelle poche e forti parole, che risuonano, dalle notte dei tempi, per darci una ultima e buona speranza.


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21/08/09

Il tempo della Vacanza.


L'etimologia della parola 'vacanza' ci riporta al latino vacans, participio passato di vacare, cioè esser sgombro, vacuo, libero, senza occupazioni.

Siccome la vita umana è colma, solitamente, di occupazioni (che noi stesso, spesso, sempre più spesso accumuliamo in una specie di foga forsennata), la vacanza è un tempo quindi eccezionale, di sospensione. Una specie di vuoto.

Ma 'vacanza' e 'vacare' ha la stessa radice etimologica, molto prossima di 'vagare', che deriva a sua volta dal latino vagus, che vuol dire errante, ramingo.

E in vacanza, spesso si fa questo: errare, andare ramenghi.

Che cosa ci dice, in questo nostro tempo, questo 'vagare', questo 'vacare' ??

Questa vacanza, è oggi intesa soprattutto come svago e come di-vertimento. O come rilassamento, riposo. Ma la vacanza, la nostra vacanza, ha, avrebbe anche un senso molto più profondo. Che io mi auguro sia sfruttato da molti in questi giorni ancora torridi di agosto.

La città è svuotata, i rumori sono spariti quasi del tutto, i ritmi sono lenti, rilassati. C'è spazio, oltre che per il riposo e il divertimento, per avvicinarci, sensibilmente a quel nostro 'centro', che molto spesso dimentichiamo, nell'affannosa vita di tutti i giorni. Il centro del centro del nostro essere, che molto spesso mettiamo da parte, ignoriamo, teniamo al guinzaglio.

Ascoltiamolo.

Ascoltiamo questo centro, ascoltiamo cosa ci dice. Ripensiamo all'episodio evangelico di Marta e Maria. Ripensiamo alle parole di Gesù: Marta, Marta, tu ti affanni e ti preoccupi di troppe cose. Una sola cosa è necessaria. Maria ha scelto la parte migliore e nessuno gliela porterà via.

La 'vacanza' di Maria è la vacanza operosa. E' la vacanza non solo contemplativa di chi decide di fare silenzio, di fermarsi. E di ascoltare quello che nel centro del proprio essere sta parlando. E parla ogni giorno, se soltanto siamo capaci di ascoltarlo.

27/07/09

La difficoltà della Fede.


Davvero è una bella iniziativa quella del Corriere della Sera di concedere una pagina del giornale, ogni ultima domenica del mese, al Cardinale Carlo Maria Martini.


Spero che i lettori divengano sempre più numerosi, perchè davvero è difficile trovare in giro pensieri così lucidi, come quelli che espone, pacatamente e fermamente, nelle sue risposte, il card. Martini, che - del resto - è davvero una 'grande anima' (come dicono gli orientali), e speriamo che ci sia conservata ancora a lungo.

Della pagina di ieri mi ha molto colpito una frase che Martini utilizza per rispondere alle molte lettere che gli giungono sul tema della fede perduta - come si fa a ritrovarla, come si fa rinforzarla, come si fa a credere, sostanzialmente.

Martini, nel suo stile sobrio ed essenziale, dà alcuni pratici consigli, seguiti a illuminanti e brevi considerazioni. Alla fine, però scrive: " ho sperimentato in me stesso che le difficoltà contro la fede crescono a misura che si rimpicciolisce il quadro di riferimento. "

Ci ho riflettuto a lungo, e mi sono detto, alla fine: " come è vero. " E' proprio vero che l'agonia della fede, di questi tempi, della fede cristiana, ma anche delle altre fedi, è dovuta, principalmente proprio a questa 'ristrettezza di orizzonti.'

Ci ho pensato, ancor di più sulla scorta delle celebrazioni per il quarantennale dell'Uomo sulla Luna, in corso in tutto il mondo. Sono passati appena 40 anni, eppure quelli che hanno vissuto quell'epoca, ricordano che le prospettive umane, in quel periodo, si erano davvero ampliate: a l'uomo, forse anche sulla base di queste incredibili missioni spaziali, veniva naturale pensare, riflettere all'immensità del cosmo, all'immane mistero che circonda il nostro piccolissimo pianeta, della vita che su questo pianeta si è sviluppato, sul futuro insondabile che ci aspetta. Sembra passata un'eternità da allora.

In questi ultimi decenni sembra ci sia stato un ripiegamento sempre più feroce verso il minimo, il basso, a volte l'infimo. Archiviata la parentesi delle grandi conquiste spaziali, si è ri-cominciato a pensare in piccolo, sempre più piccolo. E sembra che a qualcuno che sta in alto questo faccia molto molto comodo.

Eppure soltanto se si sfoglia un libro di fisica divulgativa, oggi - ce ne sono tanti e di ottimi in commercio - si scopre che la nostra conoscenza di quel mistero prosegue, e ci svela panorami sempre più stupefacenti: il multiverso, la singolarità che ha generato il nostro universo, i buchi neri, l'antimateria, gli universi paralleli, i mattoni della materia, i quark, i bosoni, i barioni, la fisica delle particelle, la meccanica quantistica, la teoria delle stringhe: stiamo scoprendo una complessità in-immaginabile fino a qualche decennio fa.

Stiamo scoprendo un 'oltre', un 'tutto' che è ben oltre qualsiasi nostro canone pensabile.

Eppure... guardando le notizie sui giornali, guardando la tv - specie in questo paese - sembra che la realtà finisca alle miserabili beghe politiche, agli affanni della soubrette in vista per ottenere una copertina in più, al tornaconto dei pil e degli scudi fiscali.

Ma possibile ?

Un uomo ripiegato solo sui suoi bisogni, sul suo metro quadrato di pseudo-vita (spesso poi frenetica e in-sensata), come potrà mai e dove potrà mai trovare un posto NON per Dio, ma per la domanda che precede il trovare Dio ?
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25/07/09

Ultime dalla Sindone - la clamorosa scoperta di Thierry Castex.


Vi riporto, per chi lo avesse perso, l'interessantissimo articolo a firma Mario Baudino, pubblicato su La Stampa di Torino lo scorso 21 luglio, con le ultime novità riguardanti il Sacro Lino. Buona lettura.


"LA SINDONE E' VERA, VI SPIEGO PERCHE' "

Una studiosa tra i segreti degli Archivi Vaticani: "E' del primo secolo, esporrò le prove in un nuovo libro."



Sulla Sindone c’è una scritta in caratteri ebraici che rinvia all’aramaico, la lingua dei primissimi cristiani. L’ha scoperta uno scienziato francese, Thierry Castex, e ne dà notizia per la prima volta una studiosa italiana, Barbara Frale, nel suo saggio da poco uscito per il Mulino col titolo I templari e la Sindone di Cristo. E’ invisibile a occhio nudo, ma è stata evidenziata grazie a procedimenti fotografici; una presenza del genere sul lenzuolo conservato a Torino, che secondo la tradizione avrebbe avvolto il corpo di Gesù, non è certo un episodio che possa restare confinato nel mondo degli studiosi.

La storica italiana, ufficiale dell’Archivio segreto Vaticano, ha ricevuto la documentazione per un consulto, e d’accordo con lo scopritore l’ha resa pubblica nel libro sui Templari, che è il prologo a un nuovo lavoro, tutto sul «Sacro lino», di imminente pubblicazione. I due argomenti sono collegati. Barbara Frale è nota per aver trovato fra le carte vaticane nuovi documenti sull’atteggiamento del papa Clemente V nei confronti dei monaci-guerrieri accusati di eresia, quando all’inizio del Trecento il re di Francia Filippo il Bello scatenò contro di essi una repressione feroce. Ha smontato le leggende esoteriche e dimostrato la riluttanza del Papato rispetto alla persecuzione, che per ragioni politiche non poté essere comunque impedita.

Nel libro appena uscito segue il filo che lega la Sindone all’austero esercito nato dopo la prima crociata per proteggere i pellegrini in Terrasanta, diventato una grande potenza «multinazionale» e finito sui roghi. Arriva a conclusioni appassionanti, perché conferma l’intuizione di uno studioso inglese secondo cui dopo il saccheggio di Costantinopoli ad opere di veneziani e francesi (nel corso della quarta crociata), il lenzuolo passò effettivamente in mano templare: ma per essere conservato e adorato in gran segreto.Le misteriose testimonianze sul culto di un idolo o di un volto demoniaco andrebbero così riferite ai pochi eletti che ebbero modo di vedere la Sindone, ripiegata allo stesso modo in cui la conservava l’imperatore di Bisanzio.

Ma di qui in poi, l’obiettivo cambia. Barbara Frale è sulle tracce più antiche della Sindone. Al centro di questa ricerca si staglia l’imprevedibile scritta in aramaico, pochi caratteri che tuttavia possono essere ricondotti a un significato del tipo: «Noi abbiamo trovato». Ma vengono proposti anche nuovi documenti, per esempio sull’arrivo nella capitale dell’Impero d’Oriente della preziosa reliquia. E contro la tesi che venisse adorato in realtà un «fazzoletto» con un ritratto dipinto (il mandylion), la studiosa esibisce un testo scoperto nel ’97 sempre alla Biblioteca Vaticana (dallo storico Gino Zaninotto). E’ un’omelia del X secolo in cui viene descritta la reliquia, che l’imperatore Romano I aveva mandato a prelevare nella città di Edessa.

L’autore è Gregorio il Referendario, arcidiacono della Basilica di Santa Sofia, incaricato della delicatissima operazione nell’anno 943. Non parla di un fazzoletto dipinto, ma di una grande immagine: pare proprio di leggere la descrizione della Sindone di Torino, che pure anni fa venne sottoposta all’esame del carbonio 14, usato per datare i reperti antichi, e dichiarata un manufatto medioevale. Come spiega la Frale questa contraddizione? «L’esperimento aveva, date le tecnologie a disposizione in passato, ampi margini di ambiguità. E poi non è stato condotto in modo verificabile», sostiene la studiosa. Ormai, aggiunge, non fa più testo. «I documenti mi portano molto più all’indietro nel tempo. Anche nel quarto secolo ci sono testi che parlano della Sindone». Ma torniamo alle scritte, che in realtà sono più d’una: in greco, e anche in latino, scoperte a partire dal 1978. Lei spiega che non sembrano vergate sul lino, ma impresse per contatto, forse casuale, con cartigli e reliquiari.

Che cosa dimostrano? «Quella in caratteri ebraici poteva essere un motivo importante per spiegare la segretezza di cui i templari circondarono la Sindone, in anni di fortissimo antisemitismo». Però c’è dell’altro: «Sì, c’è il fatto che dopo il 70 non si parlò più aramaico nelle comunità cristiane. E già San Paolo scriveva in greco». A cosa sta pensando, allora? «Ci sono molti indizi, direi un’infinità, che sembrano collegare la Sindone ai primi trent’anni dell’era cristiana. Per ora è una traccia di ricerca». Pensa che il testo si sia impresso prima del 70? «Quel che sappiamo del mondo antico ci costringe a formulare questa ipotesi». E qui la studiosa si ferma, rinviando al nuovo libro, La Sindone di Gesù Nazareno, che uscirà sempre per il Mulino prima di Natale. Ma non si sottrae alle domande. La prima è ovvia: come escludere che si tratti semplicemente di un «falso», nel senso di una reliquia costruita e modificata nel tempo?Magari realizzata proprio sulla scorta dei Vangeli? «Innanzi tutto il mondo antico non ha mai avuto interesse a confermare i Vangeli.

Non conosce il nostro concetto di riscontro o di prova. In secondo luogo le scritte possono essere datate, in base alla loro forma, alla grammatica, al contesto. Gli studiosi che le hanno esaminate le fanno risalire a un periodo fra il primo e il terzo secolo». Si ritiene però che l’archeologia del terzo secolo fosse molto diversa dalla nostra. La madre di Costantino trovò a Gerusalemme tutto ciò che desiderava, dalla croce alla casa di Pietro. «Non è così semplice. Quest’idea rischia di diventare un luogo comune. La questione dell’imperatrice Elena è un capitolo a parte».Ultima osservazione: la Sindone riporta un’immagine tridimensionale. Per ottenerla non posso avvolgere semplicemente un corpo in un lenzuolo, come farei al momento della sepoltura. «No, deve fare molte altre cose, questo è vero. Però ricordiamoci che, data la sua sacralità, è difficile accostare e studiare l’oggetto stesso».

Infatti queste scritte non sono mai state viste da nessuno, in tanti anni, anche quando la Sindone era, come lei spiega, molto meno sbiadita di adesso. «Tenga conto che veniva avvicinata raramente, e con una forma quasi di terrore sacrale. Io comunque non mi sono interrogata sulla sua formazione, perché sarebbe un tentativo di razionalizzare una materia dove lo storico, qualora lo faccia, si espone a troppi rischi, anche di figuracce. Come chi aveva spiegato la trasfigurazione di Cristo ricorrendo ai fenomeni ottici che si verificano sui ghiacciai. Preoccupiamoci piuttosto di studiare seriamente. L’unica cosa certa è che dobbiamo toglierci dalla testa di avere in mano, al proposito, le carte definitive».A TORINOOstensione con il Papa nella primavera 2010 Ci sarà anche Benedetto XVI nel milione di pellegrini attesi a Torino la prossima primavera per venerare la Sindone. «Sarà l’occasione per contemplare quel misterioso volto, che silenziosamente parla al cuore degli uomini, invitandoli a riconoscervi il volto di Dio», spiega il Papa che celebrerà messa sul sagrato del Duomo. Le ultime ostensioni erano state quella del 1978 e quella per il Giubileo del 2000.

18/07/09

Religione, valori etici & mercato.

Davvero fornisce numerosi spunti di riflessione, credo, questo articolo pubblicato da Studi Cattolici, nel numero di maggio scorso. Credo davvero valga la pena di meditare su questa crisi economica Occidentale, in cui sentiamo da più parti fare riferimento sempre invariabilmente a 'non meglio identificati' valori etici. Buona lettura.
Finanza & Islam

L’attuale crisi finanziaria che attanaglia l’Occidente ha un colpevole unanimemente additato: la mancanza di etica. Ma l’etica attiene più al campo della filosofia che dell’economia, e la filosofia ha molto a che vedere con la religione. Morale: se l’idea di bene comune e non l’avidità egoistica avesse guidato gli speculatori, oggi non saremmo a questo punto. Ebbene, le cosiddette banche islamiche, gli affari delle quali sono ispirati non dal “mercato” ma dal Corano, avrebbero qualcosa da insegnare all’Occidente in ginocchio.




A sostenerlo, e con cognizione di causa, sono Loretta Napoleoni e Claudia Segre sul numero del gennaio 2009 di «Vita e Pensiero», la rivista dell’Università Cattolica. La Napoleoni è tra i massimi esperti di terrorismo ed economia internazionale, la Segre è una banchiera di alto livello. Il titolo del loro articolo è: «L’islam può aiutare la finanza dell’Occidente?». La risposta che danno alla domanda è sì; anzi, la finanza occidentale deve prendere esempio da quella islamica, dalla quale ha tutto da imparare. L’articolo, prima di addentrarsi nell’attualità e nelle prospettive future, premette una breve storia della finanza islamica.




Ne facciamo un piccolo riassunto. Innanzitutto l’islam proibisce la riba, il prestito a interesse, divieto che ha complicato non poco l’economia dei musulmani e, di fatto, ha impedito anche l’idea stessa di «banca». Insomma, l’intero capitalismo, che appunto sul prestito a interesse si basa, è stato reiteratamente colpito da fatwa, e quegli sceicchi che hanno voluto fare affari con l’Occidente hanno dovuto, diciamo così, tenere in due tasche distinte i soldi e il Corano. Ma per gli altri è sempre valsa la sha’ria, per la quale qualunque attività economica non può prescindere dalla zakat (l’elemosina obbligatoria, uno dei cinque pilastri dell’islam) e il prestito istituzionalizzato può, al massimo, riguardare un finanziamento per il pellegrinaggio alla Mecca (altro pilastro). Ma nel 1963 un egiziano che aveva studiato economia in Germania avviò un timido esperimento.




L’uomo si chiamava al-Najjar e, in Germania, era stato affascinato da quell’economia «sociale» dettata dai principi cristiani (a sua volta influenzata dall’enciclica Rerum novarum di Leone XIII e dalle soluzioni originali escogitate dai cattolici, tipo casse rurali e casse di risparmio). Infatti, al-Najjar fondò proprio una Cassa Rurale di Risparmio, la cui attività, però, era supervisionata da un comitato di ‘ulama, che vegliavano affinché tutto fosse halal, cioè in regola con le norme coraniche. Niente investimenti in armi, gioco d’azzardo, alcool, tabacco, pornografia (nel senso, larghissimo, del termine, che riguarda anche gli abiti succinti) e aggiramento dell’«usura» (prestito a interesse) tramite contratti partecipativi e diversificate forme di affitto. Questa banca, pur così sorvegliata, fu sempre guardata con sospetto nel mondo islamico e dopo soli cinque anni Nasser la chiuse.




Ma il successore, Sadat, ne riprese il modello (contabili e ‘ulama a contatto di gomito), nazionalizzandolo. La grande crisi petrolifera del 1973-74, quadruplicando il prezzo del greggio, inondò di denaro i Paesi arabi, i quali furono costretti a dotarsi di istituzioni finanziarie di maggior respiro. Ma sempre halal. Anzi, agli ‘ulama vennero affiancati i fuqahà, gli esperti di diritto islamico. Sorsero come funghi le banche islamiche, tanto che nel 1977 si dovette creare una International Association of Islamic Banks, il cui segretario fino al 1991 fu proprio il pioniere al-Najjar. La catastrofe delle Twin Towers cagionò un rientro precipitoso di petrodollari che, ancora una volta, fece schizzare al cielo le disponibilità finanziarie dei Paesi petroliferi. Nacquero allora le prime emissioni obbligazionarie halal (dette sukuk), rilanciate in terre non islamiche dalla Sassonia (nel 2004), cui seguì la nascita della Islamic Bank of Britain. Ormai l’Occidente aveva fiutato l’affare e l’offerta di «prodotti» commestibili per un miliardo e mezzo di musulmani dilagò.




Oggi la cosiddetta finanza islamica coinvolge sui quattrocento operatori in oltre settanta Paesi, per un giro d’affari di due trilioni di dollari e un tasso di crescita annuo del 15%. Si stima che il vero e proprio boom avverrà nei prossimi cinque anni, arrivando a coprire l’8% dell’intera economia mondiale. Torniamo allora alla domanda iniziale: perché l’Occidente dovrebbe imparare la lezione islamica? In effetti, agli istituti di credito halal è vietata la speculazione, l’insider trading e la creazione artificiale di moneta, i cancri che hanno portato l’Occidente ai problemi attuali. Il denaro halal è un mezzo, non un fine; l’emissione di sukuk è legata a un investimento reale, come una costruzione o una strada, e non può finire, pur con giri contorti, in attività immorali. Poiché è assente nel mondo musulmano la mentalità individualista e tutti si sentono parti della umma, l’egoismo, radice dei mali occidentali, è atavicamente impensabile e il «sistema», strettamente controllato dal punto di vista morale, gode della piena fiducia. Ciò che oggi manca a quello occidentale.




La crisi di fiducia fa sì che nell’Occidente ci sia una liquidità stagnante che abbisogna di essere rimessa in movimento. Fin qui Napoleoni e Segre. Da qui, però, un’amara riflessione: è paradossale che l’Occidente debba imparare dall’islam parte di ciò che esso stesso ha inventato e di cui si è disfatto con l’avere estromesso la sua religione dall’ambito pubblico e sociale. Sono stati i teologi francescani del XII e XIII secolo a sciogliere il nodo teologico dell’«usura» e a permettere la nascita del capitalismo nell’Italia cattolica. Erano cattolici quei banchieri e mercanti medievali che, sviluppandosi nelle libertà politiche dei Comuni, inventarono tutti gli strumenti dell’economia, permettendosi di essere creditori di interi regni. Erano cattolici quegli operatori che mettevano la voce «messer Dio» a bilancio e finanziavano cattedrali e ospedali e scuole. E ciò senza che i preti sedessero nei consigli d’amministrazione a dettare le regole dell’etica. L’idillio finì con la spaccatura protestante e la predestinazione calvinista che vedeva negli economicamente svantaggiati dei reprobi. Un altro tipo di etica economica, spietata, si impose. Oggi, l’Occidente che ha rinnegato le proprie radici religiose deve mendicare «etica» da chi non ha conosciuto né Riforma protestante, né Illuminismo, né secolarizzazione. Chissà, forse c’è davvero la mano di Dio in tutto questo. Forse, davvero, chi rigetta il giogo «leggero e soave» di Cristo finisce fatalmente per accollarsene un altro ben diverso.

Fonte: Studi Cattolici n. 579, maggio 2009.
Su studi cattolici:

17/07/09

Renè Laurentin - "Cristo e Maria non sono che una cosa sola".


Molte volte mi sono interrogato sulla mia resistenza - prima e dopo il riconoscere in me un credente cristiano - a soffermarmi sulla figura di Maria. Sulla essenza di quella che per il Cristianesimo è la Madre di Dio. Donna e Madre di Dio. Così mi è ricapitata tra le mani questa intervista a Renè Laurentin, forse il più grande mariologo vivente, e mi ha molto colpito rileggerla, e ritrovarvi il senso di quello che si avverte, forse anche inconsciamente, che non si è capaci di descrivere, e che Laurentin riesce a rendere con il suo semplice linguaggio, comprensibile da tutti.

Padre René Laurentin rappresenta, senza ombra di dubbio, una delle massime autorità in materia di mariologia, il ramo della teologia che studia la figura della Madonna e il suo ruolo nella storia della salvezza degli uomini e del mondo. Negli ultimi 40 anni, dopo essere stato perito al Concilio Vaticano II, il religioso francese si è occupato delle principali apparizioni mariane della storia. Un vero esperto, insomma, la cui intervista, concessa in esclusiva a ‘Petrus’, non mancherà di far discutere, a partire dal ruolo di co-redentrice della Vergine alle presunte apparizioni di Medjugorje, da cui Padre Laurentin prende sulle nostre colonne improvvisamente le distanze. Ma andiamo per gradi.

Padre Laurentin, nella Apocalisse di Giovanni, Maria prevale sul Dragone. Possiamo dire, dunque, che insieme alla Santissima Trinità, la Madonna è l’avvesaria più temuta da Satana?
“Il capitolo 12 dell’Apocalisse è effettivamente il punto teologico principale che oppone la Vergine e il Drago, ma la stessa Genesi (3,15) dice che la Donna, cioè Maria, insidierà con il proprio calcagno la testa del demonio. Poi che la Madonna sia l’avversaria più temuta da Satana insieme alla Trinità, è tutto confermato dagli esorcisti e dall’esperienza cristiana”.

A proposito, i più grandi esorcisti hanno potuto appurare come gli spiriti infernali vengano assaliti dal terrore quando sentono pronunciare il nome della Vergine e molti di essi sembrano addirittura portarLe rispetto chiamandola 'la Signora': possiamo sostenere che Ella abbia ricevuto una sorta di 'mandato' specifico da parte di Dio contro il male?
“Molto semplicemente, come accennavo prima, la Vergine è il nemico del diavolo. E lo è non per aver ricevuto un mandato specifico, ma già per la sua Immacolata Concezione. Come dire, la Madonna terrorizzava il Maligno prima ancora della sua venuta al mondo”.

Praticamente in tutte le apparizioni mariane, la Vergine esorta alla recita costante, quotidiana, del Santo Rosario, definendo questa pia pratica la arma più potente contro Satana. Da mariologo, Lei ritiene il Santo Rosario più una preghiera mariana o cristologica?
“Cristo e Maria non sono che una cosa sola: nessun dilemma! Non mi piace la parola ‘mariana’, che ha un sapore particolarista e avrebbe fatto ridere la Vergine Maria quando andava alla fontana”.

Maria è stata co-redentrice del mondo con il Figlio Gesù? Nella Chiesa se ne parla da tempo, ma non sembra ancora giunta l'ora della proclamazione di un dogma, malgrado ciò sia stato chiesto a più riprese e con insistenza da molti Vescovi e Cardinali (in particolare) dell’America Latina. Lei che ne pensa?
“Studio da 50 anni il ruolo di Maria nella Redenzione del mondo. È sin dall’inizio ho pensato quanto questa participazione sia stata unica. Tuttavia, il titolo di co-redentrice è ambiguo, spesso mal capito, e per giunta contraddittorio dal punto di vista teologico ed ecumenico. E’ per questo che personalmente sono contro la definizione di Maria co-redentrice e penso che coloro che firmano, senza capire cosa fanno, le petizioni per la definizione di un dogma ad hoc, farebbero meglio ad approfondire con serietà il ruolo di Maria nella Redenzione. Un ruolo importante, importantissimo, ma non pari a quello unico di Gesù”.

Nel 'Salve Regina', definiamo la Madonna 'Avvocata Nostra': che ruolo avrà la Vergine quando ci troveremo davanti al Tribunale di Dio? Il suo giudizio conterà per la salvezza delle nostre anime? Cioè, potrà intercedere presso Gesù per alleggerire il nostro Purgatorio?
“Maria è nostra madre: ama, sostiene e difende i suoi figli. Ciò si chiama intercessione, ma sarebbe sbagliato rappresentare la Madonna in maniera così ingenua, impegnata in un dialogo durante il quale prende la nostra difesa contro Dio o contro il Cristo, come immaginava la cattiva letteratura del XV e del XVII secolo. L’azione di Maria presso Dio è un cuore a cuore nell’identificazione d’amore alla quale è arrivata e ci attira. Dunque, non c’è bisogno che la Madonna ci difenda presso Dio perché Egli non è un giudice cattivo e, come dice lo stesso Gesù nel Vangelo (Giovanni 5,22), ‘il Padre non giudica nessuno". Non dimentichiamo, poi, che la funzione Trinitaria di Dio è ancora più materna che paterna. Leggiamo Giovanni 1,18: il Figlio è nel seno del Padre".

Ricorre il 150° anniversario delle apparizioni di Lourdes, ma ve ne sono altre riconosciute ufficialmente dalla Chiesa (vedi Fatima). Cosa ci vuole comunicare la Vergine?
“Intanto ricordiamo che solo 13 apparizioni di Maria sono state riconosciute ufficialmente, mentre una quattordicesima è stata ammessa in forma pastorale, anche se non canonica, dal vescovo di Saint Nicolas, in Argentina. Ciò premesso, per quel che riguarda i messaggi, sono differenti ma, al tempo stesso, univoci, in quanto rappresentano la semplice eco del Vangelo ed invitano alla preghiera, alla conversione, alla penitenza, al digiuno, alla lettura della Bibbia, con dele modalità diverse a seconda dei tempi e dell’attualità profetica di ogni singolo messaggio ma senza travalicare mai quella che è la Dottrina della Chiesa”.

Lei è un sostenitore delle apparizioni di Medjugorje, invece molti altri illustri mariologi sono scettici. A Suo avviso, la Chiesa quando si pronuncerà su queste manifestazioni? Anche perchè in Vaticano non sembrano convintissimi dell'autenticità delle apparizioni di Medjugorje...
“A Medjugorje, il vescovo è contro le apparizioni e il suo predecessore l’ha scelto proprio per questa ragione. Naturalmente, come è noto a tutti, la Santa Sede, in questi casi, fa sempre sua la posizione del vescovo locale. Tuttavia, il Cardinale Ratzinger aveva rifiutato il giudizio negativo di Monsignor Zanic (nel 1986), il primo vescovo trovatosi ad affrontare la questione delle apparizioni. Io non sono che un esperto e non ho nessun Magistero. E non mi permetto mai di dare un giudizio sulle apparizioni che studio. Esamino solo i fatti, le ragioni a favore e quelle contro. Le discerno, le spiego il più chiaramente possibile, ma non dò alcun giudizio. Se lo avessi fatto, ciò avrebbe aumentato ancora di più le mie difficoltà, che sono già grandi, dal momento che mi occupo piuttosto assiduamente di questo fenomeno controverso”.

Padre Laurentin, la Sua, ci consenta, sembra una marcia indietro: Lei ha scritto anche dei libri sostenendo la tesi dell’autenticità delle apparizioni di Medjugorje…
“Ribadisco il concetto di prima: non ho mai espresso giudizi sull’autenticità o meno delle apparizioni; i miei studi sono soltanto un piccolo contributo alla Chiesa e ai fedeli…”.
Restando a Medjugorje: in particolar modo in quel luogo, ma anche in altre parti del mondo, molti cattolici antepogono Maria a Cristo. Lo stesso fanno numerosi ecclesiastici, nelle cui Chiese fanno prevalere la presenza di immagini della Vergine a quelle del Crocifisso addirittura alle spalle del presbiterio. Non crede che la Madonna stessa non sia contenta di tutto ciò?
“Penso che il problema sia opposto a quello che pone lei: Maria viene più sottovalutata che apprezzata. Proviamo a pensare a tutti quei cattolici che non la apprezzano e riconoscono come Madre”.

Padre Laurentin, in conclusione: chi dev'essere Maria per noi e chi siamo noi per lei?
“Non vorrei ripetermi, ma Maria è nostra Madre e nostra Regina: ‘Più madre che regina’, diceva, per la verità, Santa Teresa di Lisieux. E di conseguenza, noi siamo ‘semplicemente’ i figli della migliore, la più Santa e più meravigliosa delle Madri”.



FONTE: Petrus - http://www.papanews.it/dettaglio_interviste.asp?IdNews=9399



Il Papa è stato operato dopo la caduta - ora sta meglio.


Papa Benedetto XVI è stato dimesso nel pomeriggio dall'ospedale di Aosta, dopo un piccolo intervento chirurgico seguito alla frattura accidentale di un polso nella sua casa di vacanze. Lo riferiscono testimoni.

Il Pontefice era scivolato nella vasca da bagno.

"Il Santo Padre, cadendo accidentalmente nella sua residenza, ha riportato una frattura scomposta del polso destro", ha detto in una nota il professor Patrizio Polisca, medico personale del Pontefice.

"E' stato pertanto sottoposto ad un intervento di riduzione ed osteosintesi in anestesia locale con applicazione di tutore gessato", ha spiegato Polisca, precisando che le condizioni generali di Papa Ratzinger sono buone e che non è caduto a seguito di un malore.

Il Pontefice 82enne di origine tedesca, è entrato sulle sue gambe nella clinica della città di Aosta, dove si trovava in vacanza in uno chalet di Les Combes, per sottoporsi all'intervento durato 20 minuti, al termine del quale gli è stato applicato un gesso che -- come ha spiegato Polisca -- dovrà tenere per un mese.

Il Papa proseguirà comunque la sua vacanza, ha detto il medico. "L'intervento è finito, è andato bene. Stiamo predisponendo il suo ritorno a Les Combes", ha detto Augusto Rollandin, presidente della regione Valle D'Aosta. Turisti e fedeli in Vaticano hanno espresso preoccupazione per la salute del Pontefice, e il canadese Joey Shreider ha detto a Reuters Television: "Grazie a Dio non è niente di serio".

"Mi dispiace molto sapere che il Santo Padre si è fatto male, pregheremo per una sua rapida guarigione", ha detto l'arcivescovo irlandese Dermot Clifford, in visita alla Santa Sede.

fonte Reuters -


Altre notizie qui:


http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/italia/news/2009-07-17_117385973.html


http://www.agi.it/news/notizie/200907171530-cro-rt11138-papa_il_chirurgo_nessun_problema_funzionale


http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200907articoli/45607girata.asp


http://www.apcom.net/newspolitica/20090717_153401_2708841_66456.html


http://www.asca.it/news-PAPA__BOLLETTINO_MEDICO__DOPO_INTERVENTO_CONDIZIONI_GENERALI_BUONE-846754-ORA-.html