27/02/11

Il cielo della Memoria - di Marcel Proust.




Qualcuno l'ha definita la poesia più bella che sia mai stata scritta. E certamente non è così difficile convenirne, nella magnifica traduzione qui sotto. 


Tutto cancella il tempo come l’onda cancella
i giochi dei fanciulli sulla sabbia spianata.
Dimenticheremo le vaghe, le precise parole
che schermavano, tutte, un poco d’infinito.

Tutto il tempo cancella, ma non offusca gli occhi,
sia chiari come l’acqua o d’opale o di stella.
Belli come nel cielo o dentro un lapidario,
brilleranno per noi d’un fuoco triste e gaio.

Gli uni, a un vivente scrigno trafugati gioielli,
duri raggi di pietra mi getteranno in cuore,
come quando nella palpebra conflitti, sigillati,
lucevano d’un raro, illusorio splendore.

Ad altri dolci fuochi da Prometeo rapiti
la scintilla d’amore che in esso palpitava
per soave tormento abbiam portato via,
gioie troppo preziose o luci troppo pure.

Il cielo della mia memoria costellate in eterno,
inestinguibili occhi delle donne che ho amate !
Sognate come morti, brillate come glorie,
scintillerà il mio cuore come a maggio la notte.

Simile a una nebbia d’oblio cancella i volti,
i gesti che altra volta adorammo al divino,
che ci resero folli, che ci resero saggi,
grazie di perdizione, e simboli di fede.

Tutto cancella il tempo, le sere confidenti,
le mani ch’io posavo sul suo collo di neve,
i suoi sguardi che l’arpa dei miei nervi sfioravano,
la primavera che su noi scuoteva i suoi turiboli.

Altri occhi, pur essendo d’una donna gioiosa,
al pari dei rimorsi erano vasti e neri,
spavento delle notti, mistero delle sere.
Fra le sue belle ciglia c’era l’anima intera,

e come un gaio sguardo era vano il suo cuore.
Altri, simili al mare così dolce e cangiante,
ci smarrivano all’anima che in essi è prigioniera
come incalza l’ignoto nelle sere marine.

Solcammo, mar degli occhi, i tuoi limpidi flutti.
Gonfiava il desiderio le rattoppate vele;
delle antiche tempeste dimentichi, andavamo
sull’onda degli sguardi a scoprire altri cuori.

Tanti sguardi diversi, così simili i cuori !
Vecchi, delusi ostaggi degli occhi,
dovevamo restarcene a dormire sotto le fronde… Ma anche
sapendo tutto voi vi sareste imbarcati

per avere quegli occhi gravidi di promesse
come un mare che a sera fantastica del sole.
In inutili imprese vi siete prodigati
per giungere al paese del sogno che, vermiglio,

si lamentava d’estasi oltre le acque vere,
sotto la santa arca d’una nube, profeta
crudele. Ma è pur dolce avere per un sogno
queste piaghe, e festoso brilla il vostro ricordo.


Traduzione di Giovanni Raboni - Gallimard, 1982.

26/02/11

Il senso apocalittico di Heidegger e l'oggi - Jeanne Hersch.


Una delle più lucide critiche al pensiero di Martin Heidegger che ha potentemente illuminato e condizionato il pensiero filosofico occidentale del Novecento - da destra e da sinistra, come è stato ed è evidente anche in Italia - è quella formulata da Jeanne Hersch, filosofa svizzera nata nel 1900, e morta novantenne nel 2000, allieva di Husserl, che come è noto fu il maestro di Heidegger. E' davvero molto interessante rileggere oggi questa citazione tratta da Il dibattito su Heidegger: la posta in gioco testo pubblicato dall'editore Carocci nel 2004.


“Nel cuore della filosofia di Heidegger troviamo questa forza, la più viva del suo pensiero, che non è, come è stato detto, la meraviglia di fronte all’essere, ma il disprezzo per tutto quello che non è questa meraviglia, nella sua nudità e sterilità.

Un disprezzo ardente, appassionato, ossessivo per tutto ciò che è comune, medio e generalmente ammesso; per il senso comune, per la razionalità; per le istituzioni, le regole, il diritto; per tutto quello che gli uomini hanno inventato, nello spazio in cui debbono convivere, per confontare i loro pensieri e le loro volontà, dominare la loro natura selvaggia, attenuare l’impero della forza.

Disprezzo globale, dunque, per la civiltà occidentale, cristallizzata in tre direzioni: la democrazia, la scienza e la tecnica - per tutto ciò che, generato dallo spirito dell’Illuminismo, fa assegnamento su ciò che può esserci di universale nel senso di Cartesio, in tutti gli esseri umani.

Tutto questo è vuoto. … Tutta l’epoca è vissuta come superficiale, vana, senza spessore né profondità. Tutto shallow” .


24/02/11

La "divina bellezza" di C.G.Jung, sulle note di Kjetil Bjornstad.



E' una sorta di testamento spirituale, quello scritto da Carl Gustav Jung nell'ultima pagina di 'Ricordi, sogni, riflessioni', pubblicata nel 1961 E' sempre meraviglioso rileggere queste parole.

Sono stupito, deluso, compiaciuto di me; sono afflitto, depresso, entusiasta. Sono tutte queste cose insieme, e non so tirare le somme. Sono incapace di stabilire un valore o un non-valore definitivo; non ho un giudizio da dare su me stesso e la mia vita. Non vi è nulla di cui mi senta veramente sicuro. Non ho convinzioni definitive, proprio di nulla. So solo che sono venuto al mondo e che esisto, e mi sembra di esservi stato trasportato. Esisto sul fondamento di qualche cosa che non conosco. Ma, nonostante tutte le incertezze, sento una solidità alla base dell'esistenza e una continuità nel mio modo di essere.

Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. Se la mancanza di significato fosse assolutamente prevalente, a uno stadio superiore di sviluppo la vita dovrebbe perdere sempre di più il suo significato; ma non è questo - almeno così mi sembra - il caso. Probabilmente, come in tutti i problemi metafisici, tutte e due le cose sono vere: la vita è - o ha - significato, e assenza di significato. Io nutro l'ardente speranza che il significato possa prevalere e vincere la battaglia.

Quando Lao Tse dice: "Tutti sono chiari, io solo sono offuscato", esprime ciò che io provo ora, nella mia vecchiaia avanzata. Lao Tse è l'esempio di un uomo di una superiore intelligenza, che ha visto e provato il valore e la mancanza di valore, e che alla fine della sua vita desidera tornare nel suo proprio essere, nell'eterno inconoscibile significato. L'archetipo dell'uomo vecchio che ha visto abbastanza è sempre vero. Questo tipo appare a qualsiasi livello di intelligenza, e i suoi tratti sono sempre gli stessi, sia egli un vecchio contadino o un grande filosofo come Lao Tse. Così è la vecchiaia, dunque limitazione. Eppure vi sono tante cose che riempiono la mia vita: le piante, gli animali, le nuvole, il giorno e la notte, e l'eterno nell'uomo. Quanto più mi sono sentito incerto su di me stesso, tanto più si è sviluppato in me un senso di affinità con tutte le cose. Mi sembra, infatti, che quell'alienazione che per tanto tempo mi ha diviso dal mondo si sia trasferita nel mio mondo interiore, e mi abbia rivelato una insospettata estraneità con me stesso.»


22/02/11

Cosa è il Buono.



Entrare in casa di una povera vecchia, cieca, e derubarla di una macchina fotografica è una azione moralmente buona ? Certamente no, si direbbe.
Invece, nel "Racconto di natale" di Paul Auster, mirabilmente reso da un grande attore come Harvey Keitel, e poi sceneggiato in bianco e nero, sulle note di Tom Waits - "Innocent when you dream" - si scoprono molte cose.
Si può scoprire che una azione apparentemente malvagia - un furto, di nascosto ad una anziana cieca - può essere inserita in un contesto e quindi in un significato totalmente positivo, totalmente buono.
Buono è la parola giusta oggi. Buono. In un momento nel quale, in questo paese, sembriamo aver smarrito anche la via più semplice al buon senso (lo scetticismo etico che sembra aver ottenebrato le menti), a ciò che è bene e ciò che è male, a ciò che anche un bambino sa, e noi facciamo finta di aver dimenticato, nelle nostre vite alienate, prive di senso.

21/02/11

Ricostruzione morale ? Paul Ricoeur.


Quello che stiamo vivendo, in gran parte dell'Occidente oggi, mentre il sud del Mediterraneo islamico si infuoca giorno dopo giorno sulle parole d'ordine di 'grano' e di 'libertà' (due pretese che dalle nostre parti sembrano non costituire più un problema), è un ri-pensamento generale, di dove ci sta portando il nostro progresso. E se davvero, la caduta verticale di valori e riferimenti, lo scetticismo pratico e il relativismo etico (con conseguente immoralità o amoralità dilagante) siano l'unico scenario che ci aspetta.

Forse la nostra empasse, però, parte da lontano. E parte proprio da quel che noi crediamo di aver 'archiviato'. Questa frase del grande Paul Ricoeur, mi sembra molto indicativa, e degna di essere davvero meditata.

«Non abbiamo finito di estirpare in gran parte del mondo l'eredità del totalitarismo. Noi abbiamo compiuto l'opera di ricostruzione post-bellica, ma non abbiamo affrontato la ricostruzione morale dopo l'esperienza inaudita della violenza e della tortura che è ancora praticata nel mondo.»


19/02/11

La caccia ai moralisti stravolge perfino il Vangelo. Roberta de Monticelli.


Mi capita in questo periodo - ma non credo di essere il solo - di provare sgomento.

Di fronte alla evidenza e alla rilevanza di quella che viene chiamata 'questione morale' nel nostro paese, resto sbigottito dalla mancanza di serietà delle argomentazioni, dalla malafede, e dal puro stravolgimento strumentale che viene fatto di quei valori condivisi - se non altro 'teoricamente' - che dovrebbero far parte di una tradizione millenaria del nostro paese.

Sembra che abbiamo smarrito, tutti, anche le più semplici coordinate. Così, il pensiero comune sembra ora aver trovato una nuova bandiera sotto la quale riunirsi, che è quella della "caccia al moralista", laddove 'moralista' è ormai usato come un insulto per definire una persona 'morale'.

Ma non è tanto l'equiparazione - interessata e subdola - tra moralista e morale ad indignarmi. Mi indigna, come detto, la lettura distorta, meschina, proterva, che si fa perfino dei fondamenti della vita cristiana, di quei 'valori' discendenti direttamente dai detti di Gesù Cristo nei Vangeli.

Così, con un certo sollievo, ho trovato nell'ultimo libro di Roberta De Monticelli - 'La Questione Morale', edito da Raffaello Cortina Editore, ed uscito da pochi giorni - un passo che riassume perfettamente questo mio sconcerto (e quello di molti altri, credo) e i termini del problema, riguardo a peccato e peccatore, a giudizio e morale, al celebre episodio dell'adultera, e all'uso davvero sconfortante, vorrei dire abietto, che per fini autogiustificativi (cioè giustificativi dei propri comportamenti e delle proprie scelte e opzioni politiche) si fa perfino di un detto evangelico. Ecco il passo, che riporto nella sua interezza.

"Da noi il 'precetto evangelico "chi è senza peccato scagli la prima pietra" è inteso come chiamata di correo, e la chiamata di correo come giustificazione del reo. Insomma vuol dire: "Così fan tutti." Ma vuol dire anche - conclusione assurda - "e perciò va bene così".

Interpretare a questo modo il detto evangelico, vuol dir, né più né meno, richiamare il contraddittore alla legge dell'omertà. Se faccio schifo io, fai schifo anche tu, e dunque ti conviene stare zitto.

L'omertà sta al servilismo come la viltà sta alla prepotenza, e queste quattro belle virtù qualificano precisamente l'esistenza gregaria, che si potenzia nel 'noi' e rifugge certamente da ogni presa di posizione personale, da ogni assunzione di responsabilità, delle proprie opinioni o delle proprie azioni."


01/02/11

Specchio della materia - di Fabrizio Falconi.



Specchio della materia



A forza di spiegare

diventa più confuso

il mormorio delle vele.


Che fantasmi muovono

le cose, che pallidi specchi

siamo noi, a credere ancora


alla destinazione concreta

dei giorni della vecchiaia,

altro non sono che materia


viva, disinteresse per la morte,

istinto, giravolta sui canapi

lasciàti cadere nel vuoto della tenda.


Non appaiono più all'orizzonte

fenici sulla punta dell'obelisco

triste il nostro passare


su una distesa di strati morti,

vivi più di quel che si immagina

e il respiro è nel tuo volto


arrossato di novembre,

nell'aria che si condensa

nella tristezza che è già oro.



Fabrizio Falconi - da 'Le finestre Verdi' - in 'Il respiro di oggi', Terre Sommerse, 2009.

30/01/11

Sperare contro ogni speranza.


“La resurrezione dei morti per la vita del mondo che verrà” è il fondamento dell’essere cristiani. Eppure ognuno, nella vita, sperimenta come questa semplice affermazione – espressa nel Credo dei cristiani e nel Symbolum Apostolorum - carnis resurrectionem et vitam aeternam – sia quanto di più lontano dall’esperienza comune, quanto di più distante dalle ragionevoli aspettative umane, da apparire, probabilmente oggi ancor più che nel passato, bizzarria o superstizione.

Eppure i racconti evangelici parlano chiaro. E anche se non siamo obbligati a pensare alla Resurrezione nei termini in cui la descrive il Nuovo Testamento – Gesù mangia, parla, cammina insieme ai suoi discepoli, dopo essere morto – è perfino ovvio che quel che si chiede a un cristiano è di “avere fede sperando contro ogni speranza” (Rm, 4,18).

Come scrive Sergio Quinzio, “il cristiano è tale perché fa della propria fede il criterio per giudicare il mondo, mentre non v’è dubbio che se volesse giudicare la fede secondo i criteri del mondo, non potrebbe far altro che respingerla.”

Ma per l’appunto: cosa è il mondo ? Cosa è quello che chiamiamo mondo ? Potremmo davvero dire che la nostra concezione di mondo è assai limitata. E’ celebre e folgorante l’aforisma di Lao-tse: Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla.

E’ un modo illuminante per comprendere come quello che noi chiamiamo ‘mondo’ dipende soltanto ed esclusivamente da quello che siamo noi. E la domanda allora si sposta: chi siamo noi ?

Noi, potremmo rispondere, siamo nella posizione più scomoda: come ha detto un celebre astrofisico recentemente, noi siamo esseri sospesi esattamente a metà strada tra il nulla e il mondo.

I cristiani, però, credono – perché lo hanno ascoltato – che proprio in questa sospensione esista un Senso, che è precisamente il Senso divino: siamo sospesi, e cioè a metà strada tra il nulla (la possibilità di essere nulla) e il mondo, cioè il tutto. Siamo creati, e quindi esistenti e siamo in un mondo creato ed esistente. Ma la nostra vera Vita – è quello che ci è stato detto – NON è di questo mondo.

Non si tratta qui, di rifiutare il mondo. Ma di ribaltarlo sulla base di quell’unica asse in sospeso che è Cristo, uomo – e quindi anche lui ‘a metà tra nulla e mondo, tra nulla e tutto’ – e Dio. La differenza tra Lui e noi, è che, come scrive Giovanni, Gesù Cristo “ha detto di essere la verità” (e lo ha manifestato con la sua resurrezione) - "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Gv.14,6) - mentre ai credenti è richiesto di “fare la verità” - Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio (Gv.3,21) - esercitare cioè la conformità a Cristo e alla sua promessa, vissuta nella manifestazione della sua giustizia. Qui sta l’evangelica contrapposizione tra Dio e il mondo. Che forse, mai come in questi tempi dissolutivi, è così evidente.

Fabrizio Falconi

28/01/11

E' così che si finisce sempre più nel fondo.



E' così dunque che si finisce nel fondo: scivolando ogni giorno, concedendo ogni giorno, assolvendosi ogni giorno, ogni giorno un po' di più, ogni giorno dicendosi: 'vada anche questo, lo passo, lo tollero', dicendo sì ogni giorno, mentendo ogni giorno sull'altare del 'tutto vale, tutto è lo stesso'.

Ci sono due tipologie di questa accettazione passiva che portano ad un totale svuotamento delle proprie vite: il primo è quello di Eduardo, quello di questo video, quello degli umili che diventano ignavi e non hanno mai - per viltà o rassegnazione o quieto vivere, o tanti altri 'buoni motivi' - la forza di ribellarsi alle ingiustizie, ai soprusi, alle sconcerie, agli abusi.

Il secondo è quello di chi si vende alla vita, sulla base di un rapporto di totale dipendenza dalle emozioni esteriori e di un'ebrezza che stordisce e distrae dalle questioni fondamentali, dal senso ultimo. "L'irrequietezza - scrive Robert P. Harrison - in quanto condizione spirituale caratterizzante la nostra tarda se non terminale modernità, può essere rappresentata come un vortice che travolge quelli che vi finiscono dentro, i quali vengono trascinati dal suo turbinio senza sapere dove andranno a finire."

Se si sceglie questa seconda via, si incontrerà molto facilmente qualche 'Mefistofele' disposto a farci da guida, da generoso anfitrione nel nostro viaggio di scivolamento, di caduta, di progressivo allontanamento dal nostro centro interiore, in definitiva di perdizione.

E' soave e invogliante quel canto con il quale nel Faust Goethiano, Mefistofele seduce Faust: "Innanzi tutto ti porto in compagnia di gente allegra,perchè tu veda come è che si può vivere alla leggera./ C'è gente, qui, che è come per loro tutti i giorni fosse festa. /Di poco spirito e di bocca buona ognuno gira intondo nel suo piccolo come fa un micio con la coda./ Se non gli duole il capo,finchè gli fa credito l'oste,allegria e niente pensieri..."

.

20/01/11

Dostoevskij: il tempo che viviamo.




Il nostro è un tempo che ha un bisogno disperato di profeti. La limitazione degli orizzonti, sempre più stretti, sempre più personali, sempre più irrilevanti, ha fatto sì che ormai sfugga del tutto il quadro di insieme e con esso il senso di quello che viviamo. Eppure, anche di fronte all'incredibile e disperante dissoluzione dei costumi e delle istituzioni al quale stiamo assistendo in questi giorni in Italia, sembriamo come incapaci di riferire quel che accade a un processo, a un passato, a una storia che passa e che sembra - specie a noi italiani - non aver mai insegnato nulla.

E' così utile rileggere il pensiero dei profeti dimenticati. Uno di questi è Fedor Dostoevskij, che nei Demoni, preconizzò e profetizzò l'onda nichilista impadronitasi del mondo nel Novecento, e ancora oggi ci sommerge. Proviamo a rileggere queste parole - è il momento del romanzo il cui Piotr Verchovjenski illustra a Nikolaj Stavroghin il programma dell'Uguaglianza:

"noi faremo morire il desiderio: spargeremo sbornie, pettegolezzi, denunzie; spargeremo una corruzione inaudita; spegneremo ogni genio già in fasce...
Per prima cosa si abbassa il livello dell'istruzione, delle scienze, degli ingegni. L'alto livello delle scienze é accessibile solo alle doti superiori. A Cicerone si taglia la lingua, a Copernico si cavano gli occhi, Shakespeare viene lapidato."

A leggere queste parole, sembrerebbe davvero che il programma è attuato pienamente, e che non ci sarà scampo, ormai.

Ma forse è il caso di aggiungere che Dostoevskij - così lucidamente "sul presente" - fu quello stesso profeta capace di elaborare quel celebre 'credo' personale, nella famosa lettera inviata nel 1854 a N.D.Fonvizina, quando era appena uscito dal lungo confino in Siberia:

Di me Le dirò che io sono figlio del mio secolo, figlio della miscredenza e del dubbio (ditja veka, ditja neverija i somnenia) , e non solo fino ad oggi, ma tale resterò (lo so con certezza) fino alla tomba.

Quali terribili sofferenze mi è costata – e mi costa tuttora – questa sete di credere, che tanto più fortemente si fa sentire nella mia anima quanto più forti mi appaiono gli argomenti ad essa contrari! 

Cionostante Iddio mi manda talora degl'istanti in cui mi sento perfettamente sereno; in quegl'istanti io scopro di amare e di essere amato dagli altri, e appunto in quegl'istanti io ho concepito un simbolo della fede, un Credo, in cui tutto per me è chiaro e santo. 

Questo Credo è molto semplice, e suona così: credete che non c'è nulla di più bello, di più profondo, più simpatico, più ragionevole, più virile e più perfetto di Cristo; anzi non soltanto non c'è, ma addirittura, con geloso amore, mi dico che non ci può essere. 

Non solo, ma arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità. 

16/01/11

La poesia della Domenica - "Non ho rimpianti, né parole, né lacrime" di Sergej Esenin.


Non ho rimpianti, né parole, né lacrime


Non ho rimpianti, né parole, né lacrime.

Tutto passerà, come la nebbia dai rami bianchi del melo.

Appassito in una decadenza dorata

mai più io sarò giovane.

Anche il mio cuore toccato dal gelo

ha smesso di battere come una volta.

E questo paese di betulle, di indiana,

più non mi attira, cammina a piedi scalzi.

Spirito vagabondo, di raro ormai

cerchi il fuoco delle mie labbra.

Dove siete, freschezza degli anni passati,

ardore degli occhi, piena impetuosa dei sensi!

Adesso, quasi, non ho desideri. Eppure vita,

che ho fatto io se non sognarti di continuo?

Era come se a primavera, in un mattino sonoro,

me ne andassi in giro sopra un cavallo rosa.

Tutti in questo mondo sono votati alla fine.

Dolcemente intristisce il rame degli aceri…

Ma chiamiamoci dunque felici, benedetti per sempre,

d’essere nati per fiorire e morire.


Sergej Aleksandrovič Esenin, (Konstantinovo, 3 ottobre 1895 – San Pietroburgo, 28 dicembre 1925) - tratta da 'Poemi rivoluzionari', a cura di Serena Vitale, Guanda, Quaderni della Fenice, 1988.

12/01/11

Hereafter - Un capolavoro spirituale.



Sono piuttosto esterrefatto dalla lettura che sui giornali italiani alcuni osservatori hanno dato di ‘Hereafter’, il nuovo film di Clint Eastwood appena uscito in sala.


In verità, me lo aspettavo. Il fatto che il rude Clint, il prosaico Clint, il Cavaliere Solitario, abbia deciso di affrontare un tema scivoloso come l’aldilà e la vita dopo la morte, lo poneva a serio rischio di vedersi piovere addosso critiche liquidatorie.


In realtà va così da sempre, almeno già da un paio di millenni, da quando – per dire – quel Paolo di Tarso sull’Aeropago, ricevuto dai dotti ateniesi fu ascoltato e considerato finché non pensò di tirar fuori la storia della Resurrezione. “Sì, sì, di questo parleremo un’altra volta”… gli dissero, compatendolo. Arrivederci e grazie.


La stessa cosa succede oggi a chi si mette a tavolino a discutere con qualcuno che abbia tanto buon senso e sale in zucca, pretendendolo di convincerlo che sì, che forse una vita dopo la morte esiste, che forse anche l’eterno esiste, e che forse non è nemmeno tanto difficile averne contezza.


Viviamo infatti in un mondo – almeno in quello che oggi è l’Occidente (e che comprende anche molte parti di Oriente)– dove esercita la sua dittatura e il suo dominio l’hic et nunc. Il qui ed ora.


La prospettiva è asfittica, limitata, anzi quasi cieca. E risponde, semplicemente, a questo imperativo:

pensa a quello che hai ora, vivi il tuo presente, comprati la cintura firmata ai saldi, guardati la partita, fatti la tua vacanza in crociera, e vivi tranquillo. Per morire, c’è sempre tempo.


Chiunque osi ribellarsi a questa dittatura, viene guardato come un sabotatore, e anche come un tipo stravagante, tutt’al più da compatire per la sua ingenuità.


E’ questo forse il lato più bello del bellissimo film di Eastwood: la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando la bella anchorman che è rimasta sospesa tra la vita e la morte durante lo tsunami in Indonesia e ha visto l’aldilà, pretende di mettere questa cosa al centro dei suoi interessi; la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando il povero Marcus, il ragazzino sopravvissuto alla tragica morte del suo gemello, pretende di mettersi in contatto con lui, con il fratello morto, pretende di proseguire a dialogare con lui, a farlo parte della sua vita; la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando il sensitivo George Lonegan (Matt Damon) deve addirittura rinnegare le sue qualità di tramite con i morti, per poter vivere tranquillo e avere una vita normale.


E’ questo, credo, che dovrebbe farci riflettere tutti.


E come si fa a liquidare tutto questo con ‘melassa newage’ come fa Luca Doninelli sulle pagine de ‘Il Giornale’ ? Come si fa a scrivere che “Sapere o non sapere se esiste qualcosa dopo la morte non cambia quasi niente della vita di un uomo” ? (sic!).


Ma davvero ?


Eastwood non scollega affatto l’hic et nunc, la vita che viviamo ora e adesso su questa terra con quello che succede dopo. Fa anzi esattamente l'opposto. E la sua prospettiva non è né eretica, né pagana, né new age. E’ la più vicina al buon senso. Il fatto che non sia corrispondente a una logica ‘confessionale’ cioè religiosa, non toglie nulla al rigore di un’opera che va letta semplicemente per quello che è.


Gli esperimenti di Near Death Experience non sono new age. Le migliaia di persone che sperimentano nel mondo un legame – in qualsiasi modo questo avvenga - con coloro che non ci sono più, non sono new age. Sono parte – e che parte ! – della nostra vita. La parte che ogni lutto, qualsiasi lutto che affrontiamo nella vita, ci costringe, volenti o nolenti, ad affrontare.


Non è poco. E’ moltissimo, anzi. E non finiremo mai di ringraziare Clint Eastwood, il rude, prosaico, cinico Eastwood, per averci regalato, a 80 anni suonati, il film più spirituale degli ultimi dieci anni.


Fabrizio Falconi

11/01/11

L'umorismo è il maggior nemico del diavolo - J.Hillman.


In questi giorni natalizi, rivedendo alcuni dei vecchi film dell'epoca del muto, del grande Chaplin, o di Laurel & Hardy, ho molto riflettuto su cosa è l'umorismo, su quanto sia difficile da praticare, e su come si tratti di una attitudine umana precipua e alta. 

La paura è la grande sovrana del mondo. E la paura è l'antitesi del sorriso.
Nel suo libro, 'Il Codice dell'Anima', James Hillman, nel capitolo dedicato ad Adolf Hitler, distingue tra l'umorismo (e quindi l'umorista) e "la figura del Briccone," di colui cioè che è specialista nel "dire arguzie, fare il buffone, danzare la giga, giocare burle", tutte tipiche contro-figurazioni che possono avere molto a che vedere con il male.

La linea di demarcazione è sottile, ma molto importante.

Hillman sottolinea l'origine della parola 'umorismo', cioè la sua etimologia, che deriva, ancora una volta dalla radice 'humus', da cui a loro volta derivano:
-homo, humanus,
e - humilis

E' forse per questo motivo che l'umorismo - non il comico, non il grottesco, non il ridere insensato - è quanto di più umano esista. Ecco il brano nella sua interezza.

Il diavolo può impersonare la figura del Briccone, dire arguzie, fare il buffone, danzare la giga, giocare burle, ma l'umiltà terragna dell'umorismo gli è totalmente estranea.


L'umorismo, come indica la parola stessa, inumidisce e ammorbidisce, conferendo alla vita un tocco ordinario; poiché incoraggia l'autoriflessione e prende le distanze dal senso di importanza personale, l'umorismo è fumo negli occhi per il delirio di grandezza. In quanto ci pone su un gradino più basso, è essenziale per crescere cioè discernere.

La risata che dà riconoscimento alla nostra assurdità di comparse nella commedia umana è altrettanto efficace per scacciare il diavolo, dell'aglio e della croce per scacciare i vampiri.

Lo aveva capito Chaplin, che nel suo film Il grande Dittatore non si limita a ridicolizzare Hitler, ma rivela l'assurdità, la trivialità e la tragicità dell'inflazione demonica.


James Hillman, Il codice dell'Anima, pag.276.

31/12/10

La fine e l'inizio.




la fine e l’inizio


nel limite di oggi ti vendo
una luce di passaggio, appena
apparsa nel grigio di mille stormi
migranti di nuvole

coglila

io e te non le apparteniamo
meno di quanto le appartenga
il mondo intero
e tutti i silenzi che ci sono dentro,
rinasce e muore
ogni giorno e oggi
più di ogni altro giorno

ti vendo una luce di passaggio
te la regalo, anzi
con le mani giunte
di uno che si è perso
e si ritrova nel dubbio
del mare e della promessa
ogni giorno, e anche questo.


Fabrizio Falconi - 31 dicembre 2010.


in testa: illustrazione di Carl Gustav Jung tratta da The Red Book, Il Libro Rosso, appena pubblicato in Italia da Bollati editore.

22/12/10

Il giorno più corto.


"Una lingua nuova di solito apre la strada a un cuore nuovo. Quello che accade è che un rinnovamento di pensieri e desideri provoca un rinnovamento della lingua.

Il rinnovamento è una necessità costante, poiché questa particolare novità, che non può mancare di piacere a Dio quanto l'uomo vecchio non poteva mancare di dispiacergli, differisce da quanto è nuovo nel mondo.

Le cose terrene, vedete, per nuove che siano, invecchiano man mano che durano, mentre questo spirito nuovo si rinnova tanto più quanto più dura. L'uomo vecchio muore gradatamente in noi, dice Paolo di Tarso, e si rinnova ogni giorno, e sarà perfettamente nuovo solo nell'eternità, in cui canteremo incessantemente il canto nuovo di cui Davide parla nei salmi: il canto, cioè, che scaturisce dal nuovo spirito."

Così scriveva Blaise Pascal in una lettera indirizzata a Mademoiselle de Roannez il 5 novembre 1656.

Mi sembrano parole estremamente evocative, nel giorno dell'anno che segna la nostra rinascita astronomica, cioè solare. Il buio è alle spalle. Il giorno più corto dell'anno lascia il posto ad un nuovo inizio. La luce ritorna. Il sole non è sconfitto, è anzi, come dicevano i nostri padri, in-victus. Cioè, non-vinto.

In questo re-inizio, ogni inizio è possibile. E' un invito a noi, che viviamo così frettolosamente e così sbadatamente, con così poca attenzione. Pensiamo e coltiviamo quello spirito dell'inizio, sempre. Esso, potrà generare in noi frutti insospettabili.


20/12/10

La poesia della Domenica - "Come onde davanti alla tempesta" di Paul Klee


I.
Come onde davanti alla tempesta
fuggono gli uomini. Cosa
li incalza, quale vento. Il vento
dei loro desideri. I vani
desideri del vento.

Io sono il timoniere e la mia nave
forte mi porta alla meta.
Rema la luminosa speranza
verso bellissime isole.

Con violenza si infrangono
marosi, quasi
crolla il coraggio. Se
qui naufragasse il meglio,
oh luminosa speranza ?

No, io sono giovane e il mio braccio
è forte. Io devo
raggiungere l'isola, ci fossero
grandissime montagne
e alta fosse la loro solitudine.

Libero vento di lassù.
Schiuma dei marosi.

II.
So guardare più lontano.
Io ho raggiunto l'isola.
Io ho vinto la risacca
senza spegnerla.
Vive e divora.

Il mio monte più alto tremerà.

Il canto di guerra delle onde
è ammutolito. Il mondo
è una fossa fradicia,
un grande deserto.

La luce si spegne, il mondo
deve essere buio. Il giorno
rinnova la vita.

Avremo la notte !
Lottare da uomini
prima che scenda la notte.
Prima la vita !


(1901)

Paul Klee - da 'Poesie' - ediz. Guanda - poeti della fenice, a cura di Giorgio Manacorda, 1978

13/12/10

Leonessa, 7 aprile 1944






Leonessa, 7 aprile 1944

Lo scuro tempo del presagio giunse,
senza rinvio e senza scelta
si fermò un istante la fila dei coscritti
la morte li attendeva
nel trascolore delle camice brune
come i fianchi dei monti amati
ancora occupati dall’inverno.
Piansero i derelitti,
pianse mio padre
per i suoi spersi diciannove anni
pianse un passaggio di nuvole
scure oltre il crinale del lungo valle
piansero le madri e le sorelle,
in un soffio si dipinse
nel silenzio smorzato dell’altopiano
la bellezza crocefissa
di vite scialate.
Oggi, che queste nuvole
sembrano
di carta, che ogni parola
appare suono falso
di conchiglia
ripenso e credo
allo sguardo intransigente
di chi è morto. Nel temporale
ascolto la voce
dei trapassati:
è forte e non si schioda
dal punto che è questo
e sempre rimane
come un sasso nel lago
per noi mortali
che non sappiamo
fare i conti con gli sbagli
di una tradita umanità.

Fabrizio Falconi

Poeti contro l'Oblio.


Vi riporto qui di seguito il comunicato della nuova edizione di Poeti contro l'oblio.

Poeti, scrittori, editori, lettori, attivisti, giornalisti e cittadini sono invitati alla seconda grande assemblea pubblica dei "Poeti contro l'oblio" che si terrà, proprio come l'anno scorso, sabato 8 Gennaio 2011, a Roma, presso l'Ass.Cult. Beba do Samba (via dè messapi, 8 - San Lorenzo).

Nonostante Adriano Sofri (e l'articolo apparso su Repubblica il 27 Novembre scorso, nel quale si "racconta" come la risposta culturale e linguistica al potere attuale in Italia sia delegata a dei ragazzi sui tetti e che da molto, troppo tempo, non coinvolga più nessun poeta, ma soprattutto la risposta di Luigi Alberto Sanchi apparsa su La Gru, in attesa della nostra risposta collettiva CLO da inviare a Repubblica) crediamo, seguendo anche l'intuizione di Franco Buffoni, di aver contribuito, insieme con tutta la società civile più critica e attenta e alla cittadinanza attiva, all'odierna, seppur difficile e controversa, situazione politica e sociale, certamente diversa da quella di totale afasia e asservimento del 2009, quando la nostra agitazione culturale ha avuto inizio.

Proprio alla luce del nuovo scenario politico, civile e culturale, ci sembra necessario tornare ad incontrarci per riflettere, fare il punto della situazione, scambiare pareri, idee, progetti, cercare di comprendere insieme il cambiamento in atto, al fine di elaborare un documento collettivo, da far circolare in rete e presso tutti i media, contenente le nostre istanze e le nostre richieste da presentare al "futuro governo".

Vi chiediamo pertanto di segnalarci tutti gli esempi di "moderna resistenza organizzata", di "democrazia partecipata", di "controcultura" e giornalismo critico e militante, da coinvolgere durante l'incontro come testimoni diretti della possibilità di un necessario e definitivo cambiamento del nostro vivere insieme.

Inoltre, dopo un grande lavoro editoriale, come già saprete, abbiamo finalmente pubblicato la versione integrale dell'antologia per i tipi di Cattedrale, nella collana Argo diretta da Valerio Cuccaroni, completa delle opere grafiche degli artisti Valeria Colonnella e Nicola Alessandrini, presentata in anteprima alla Casa delle Culture di Ancona il 14 Novembre scorso con un grande successo di pubblico e partecipazione; sarà questa dell'8 Gennaio, quindi, l'occasione per presentarla ufficialmente a Roma.