22/03/11

L'enigma millenario del Quadrato Magico.




Quando nel 1960, durante gli scavi nei sotterranei della Basilica di Santa Maria Maggiore, durante i quali fu rinvenuta una piccola necropoli, gli archeologi si imbatterono in uno strano graffito, inciso sul bordo di un muro di sostegno, rimasero in un primo momento interdetti.

In breve, però, si resero conto di aver scoperto un esemplare di quella che gli studiosi considerano una ‘vecchia conoscenza’ dell’archeologia conosciuto sotto diversi nomi: Quadrato Magico, o Quadrato Rotas, o Latercolo pompeiano.

Un enigma risalente agli albori della civiltà occidentale, che ha avuto una notevole diffusione in tutta Europa. Ma certo il fatto di averne finalmente rinvenuto un esemplare nella città santa, Roma, costituiva – e capiremo tra breve perché – un importante tassello per la risoluzione di un così ostico rompicapo.

Ma cos’è, innanzitutto il Quadrato Magico ?

Si tratta di cinque parole leggibili sia da sinistra a destra, che da destra a sinistra, ovvero cinque palindromi, che però - è questa la particolarità - possono essere lette anche verticalmente, cioè dall’alto in basso e dal basso in alto:

S A T O R
A R E P O
T E N E T
O P E R A
R O T A S

Le parole centrali, i due TENET incrociantesi, e palindromi, formano fra l’altro una perfetta croce.

Su questo Quadrato dal significato misteriosole cinque parole latine formano una frase apparentemente priva di senso – sono fiorite le teorie più bizzarre nel corso dei secoli: per alcuni è solo un gioco enigmistico, per altri una formula alchemica, per altri ancora nientemeno che il lasciapassare, la parola d’ordine che usavano, per riconoscersi tra di loro, gli appartenenti all’Ordine dei Templari.

Fra l’altro il Quadrato è stato rinvenuto in diverse versioni. Con, ad esempio la prima parola RATOS, anziché SATOR.

La difficoltà nella traduzione dipende dal termine AREPO che non esiste in latino. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che si tratti di un nome proprio. In questo caso la frase suonerebbe più o meno: “ il contadino Arepo conduce l’aratro nei campi.“

Questo secondo alcuni studiosi, come Margherita Guarducci, proverebbe l’origine pagana del quadrato: un semplice gioco enigmistico.

Qualcun altro ha sottolineato che leggendo invece il Quadrato in modo bustrofedico, cioè a serpentina, cambiando direzione ad ogni riga, si otterrebbe:
Sator opera tenet – tenet opera Sator. Cioè: “ Il Seminatore possiede le Opere," ovvero “ Dio è il signore del Creato." Significato religioso, ispirato.

Sono questi i due grandi partiti che si sono accapigliati per molto tempo intorno al Quadrato Magico.

E il gioco delle interpretazioni potrebbe continuare all’infinito.

Quel che ci interessa qui accennare è la svolta avvenuta nel 1936 a Pompei, quando, durante gli scavi, un esemplare del Quadrato fu rinvenuto su una delle colonne della Palestra Grande.

La scoperta, vero e proprio evento per gli archeologi, ha retrodatato l’invenzione del Quadrato Magico almeno al 79 dopo Cristo, e ha rinforzato una serie di teorie riguardante la controversa presenza dei cristiani a Pompei, nell’anno dell’eruzione.

Questo perché a rinforzare l’ipotesi di una rilevanza del Quadrato come simbolo cristiano, legato al culto dei morti e alla Risurrezione, c’è un ulteriore particolare.

Incredibile a credersi infatti, il Quadrato misterioso contiene al suo interno, come una fantastica scatola cinese, un ulteriore piccolo prodigio.

Tutte le parole del Quadrato, messe insieme – anagrammate - formano due Paternoster incrociati con due lettere alle estremità della croce, due A e due O, che rappresenterebbero due Alfa e Omega, secondo la tradizione contenuta nell’Apocalisse di Giovanni. (VEDI SECONDA FOTO IN TESTA ALL'ARTICOLO).

Esemplari del Quadrato Magico sono stati ritrovati :

- a Verona, nell’Oratorio di Santa Maria Maddalena di Campomarzio.
- In Gran Bretagna su in intonaco di rovine romane risalenti al III sec. a Cirencester ( l’antica Corinium ), dove fu rinvenuta anche una gran quantità di tombe.
- A Pescarolo, in provincia di Cremona, sul pavimento della bellissima chiesa di S. Giovanni Decollato.
- A Siena, nel Duomo di S. Maria Assunta.
- A Fabriano, nella chiesa di S. Maria in plebis flexiae.
- A Santiago de Compostela, in Spagna.
- In Austria, nell’attuale Altofen, l’antica Buda.
- In Ungheria, graffito su una tegola, negli scavi dell’antica Aquincum, graffito databile al 107, 108 d.c.

Sono solo alcuni esempi. Dall’XI secolo in poi il quadrato ha cominciato ad invadere l’Europa, ma almeno i tre ritrovamenti, quello di Pompei, quello di Cirencester, e quello di Aquincum smentiscono in modo categorico la teoria che vorrebbe il quadrato come una invenzione medievale.

In realtà il Quadrato è molto più antico. E oggi quasi tutti gli studiosi sono concordi nel ritenerlo un’espressione ingegnosa della prima comunità cristiana stabilitasi in Italia alla fine del I secolo dopo Cristo.

Il simbolo della croce è inserito due volte nel Quadrato: con i due Paternoster incrociati come abbiamo visto, e con le due parole TENET che si intersecano formando una croce, nella lettera N che starebbe per NAZARENUS.

Importante, come consolidamento di questa tesi, la scoperta del Quadrato a Santa Maria Maggiore, uno dei simboli della cristianità, la quarta delle basiliche patriarcali, una volta chiamata Liberiana, perché costruita da Papa Liberio nel punto indicatogli da una visione e da una miracolosa nevicata estiva.

Oggi quasi tutti gli storici concordano nel ritenere che la vecchia basilica Liberiana si trovasse in un altro posto, ma la tradizione legata alla nevicata resiste ed è giunta fino ai giorni nostri, sotto le sembianze delle spettacolari macchine realizzate dall’architetto Cesare Esposito per l’Estate Romana.

La Basilica attuale fu invece eretta da Sisto III nel 432, subito dopo il Concilio di Efeso, svoltosi l’anno precedente che aveva rivendicato alla Madonna il titolo di Madre di Dio. Il ritrovamento del Quadrato Magico in questo suolo, in una delle strutture più antiche della basilica, confermava dunque l’attendibilità del Quadrato come simbolo cristiano.

D’altronde qualcuno si è cimentato anche in un calcolo statistico per stabilire le probabilità che esistono di formare un quadrato con cinque parole palindrome. Bassissime. Se a questo si aggiunge la possibilità di formare con le stesse lettere del quadrato, due frasi di senso compiuto incrociate, il calcolo fornisce un risultato praticamente uguale allo zero.

Di qui l’ipotesi, sostenuta da alcuni, dell’ispirazione divina del Quadrato. Il quadrato non sarebbe cioè stato inventato da un uomo, ma ispirato da Dio, esattamente come una profezia.

Il significato esatto di questa profezia rimane – peraltro – assolutamente misterioso, e contribuisce a rinnovare il fascino di questo che è ben più, molto di più, di un semplice, sublime gioco di parole, ma un segno invece che ha accompagnato il cammino dell’uomo moderno, dai primi anni dopo la morte del Cristo.

Fabrizio Falconi

18/03/11

Tempo di Quaresima: distacco e unione, Jean Guitton.


C’è nel Vangelo una parola molto profonda, quando Gesù dice: “Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà donato in sovrappiù.”

E’ quel che realizzano migliaia di religiosi e religiose in giro per il mondo appresso agli umili, agli ultimi, dei quali mai nessuno parla.

Ma è una cosa che riguarda anche noi, specie in questo tempo propizio di Quaresima. Un distacco dai bisogni e dall’egocentrismo, dalla pervicace, maniacale ossessione che rivolgiamo a noi stessi, che difficilmente può portarci lontano, difficilmente può portarci a percepire un Senso dentro il mistero nel quale siamo calati.

Ma come realizzare questo distacco, come arrivarci concretamente ?
Questa era la formula – ammesso che ne esista una, perché si tratta di un lavoro iniziatico, continuo, che dura tutta la vita – suggerita da Jean Guitton, il grande filosofo e scrittore francese, morto nel 1999 a quasi cento anni d’età:

Il primo gesto è purificare il proprio essere – scriveva Guitton – renderlo più distaccato, più leggero, e rompere gli ormeggi. Essere già in abbandono e in desiderio, quello che si sarà domani, quello che si è sempre stati !

“In modo tale che in noi stessi finalmente l’eternità ci cambi”, dice Mallarmé. Una cosa è sicura: si possiede solo ciò a cui si è rinunciato.

Siccome mi lamentavo di non poter dormire, un asceta mi diede questo consiglio: “Rinuncia a dormire !” E in realtà, avendo rinunciato a dormire, subito mi addormentai. A chi vuole andare più lontano, io direi: per essere veramente libero, dobbiamo sempre, nel corso delle nostre vite quotidiane, interessarci alle cose e distaccarcene. Fare del proprio meglio ma non essere ansiosi dei risultati.

Dobbiamo distaccarci da tutto e contemporaneamente unirci a tutto. Non è un paradosso. Il mistero indicibile dell’esistenza sta nell’intreccio di questi due movimenti dello spirito, di questi due fili che compongono il nostro tessuto quotidiano: familiare e sublime. Prima di tutto il distacco è semplicità.

E’ quella semplicità della quale la storia della spiritualità cristiana offre molti esempi, da San Francesco d’Assisi a San Bernardo a Charles de Foucald.

Senza arrivare a questi vertici di perfezione, ciascuno di noi, può provare a spogliare, giorno dopo giorno la propria vita e ad unirla ogni giorno a qualcosa di nuovo, che ci parla, e che è più grande di noi, e ognuno di noi contiene.

Scrisse Jiddu Krishamurti nel suo Taccuino, contemplando e descrivendo un fiore: una cosa chiara, luminosa, aperta al cielo: il sole, la pioggia, il buio della notte, i venti, il tuono, la terra hanno preso parte alla creazione di quel fiore. Ma il fiore non è nessuna di queste cose. E’ l’essenza di tutti i fiori.

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13/03/11

La poesia della Domenica - Arsenij Tarkovskij, poesie da 'Lo Specchio''


3.

Nei presentimenti non credo,
e i presagi non temo.
Non fuggo la calunnia né il veleno,
non esiste la morte:
immortali siamo tutti, e tutto è immortale.
Non si deve temere la morte,
né a diciassette né a settant'anni.
Esistono solo realtà e luce:
le tenebre e la morte non esistono.
Siamo tutti ormai del mare su la riva,
e io sono tra quelli che traggono le reti,
mentre l'immortalità passa di sghembo.
Se nella casa vivrete,
la casa non crollerà.
Un secolo qualsiasi richiamerò,
e una casa vi costruirò.
Ecco perché, con me, i vostri figli
e le vostre donne siederanno
alla stessa tavola
la stessa per l'avo ed il nipote.
Si compie ora, il futuro.
E se io una mano levo
i suoi cinque raggi rimarranno a voi.
Del passato ogni giorno,
come una fortezza,
io con le spalle ho retto.
Da agrimensore ho misurato il tempo,
e attraversato io l'ho
come gli Urali.
Il mio secolo l'ho scelto a mia misura.
Andavamo a Sud,
sostenendo la polvere della steppa,
il fumo delle erbacce.
Scherzavano i grilli
sfiorando i ferri dei cavalli con le loro antenne,
come monaci profeti di sventura.
Ma il mio destino fissato avevo alla mia sella,
e ancora adesso,
nei tempi futuri,
come un fanciullo sulle staffe
io mi sollevo.
La mia immortalità mi basta,
ché da secolo in secolo scorre
il mio sangue...
Per un angolo sicuro di tepore
darei la vita di mia volontà
qualora la sua cruna alata
non mi svolgesse più,
come un filo,
per le strade del mondo.


Arsenij Tarkovskij (Elisavetgrad,25 giugno 1907 – Mosca, 27 maggio 1989) 'Poesie da 'Lo Specchio'.

02/03/11

Umberto Galimberti e Marco Guzzi - Il più inquietante degli ospiti: il Nichilismo - parte 2.



ecco dunque il secondo capitolo del Dialogo tra Marco Guzzi e Umberto Galimberti.

A partire da QUI potete poi ricostruire tutti gli altri capitoli del confronto, dall'uno - che abbiamo pubblicato ieri - fino al capitolo n.12, conclusivo.

Buon ascolto.

01/03/11

Umberto Galimberti e Marco Guzzi - Il più inquietante degli ospiti: il Nichilismo - parte 1.



Vi propongo - e vi proporrò nei prossimi giorni - i video di questo incontro, Il più inquietante di tutti gli ospiti: il nichilismo. E' un dialogo tra Umberto Galimberti e Marco Guzzi, andato in scena nell'ambito della rassegna curata da Gustavo Cecchini per la Biblioteca Comunale di Misano Adriatico lo scorso 25 novembre. Credo sia giusto proporlo perché è un moderno, attualissimo dialogo filosofico - ad alto livello (a me ha ricordato l'eterna diatriba tra Settembrini e Nephta ne La Montagna Incantata di Thomas Mann) sul tema centrale della nostra questione umana. Del nostro essere qui, su questa terra.

27/02/11

Il cielo della Memoria - di Marcel Proust.




Qualcuno l'ha definita la poesia più bella che sia mai stata scritta. E certamente non è così difficile convenirne, nella magnifica traduzione qui sotto. 


Tutto cancella il tempo come l’onda cancella
i giochi dei fanciulli sulla sabbia spianata.
Dimenticheremo le vaghe, le precise parole
che schermavano, tutte, un poco d’infinito.

Tutto il tempo cancella, ma non offusca gli occhi,
sia chiari come l’acqua o d’opale o di stella.
Belli come nel cielo o dentro un lapidario,
brilleranno per noi d’un fuoco triste e gaio.

Gli uni, a un vivente scrigno trafugati gioielli,
duri raggi di pietra mi getteranno in cuore,
come quando nella palpebra conflitti, sigillati,
lucevano d’un raro, illusorio splendore.

Ad altri dolci fuochi da Prometeo rapiti
la scintilla d’amore che in esso palpitava
per soave tormento abbiam portato via,
gioie troppo preziose o luci troppo pure.

Il cielo della mia memoria costellate in eterno,
inestinguibili occhi delle donne che ho amate !
Sognate come morti, brillate come glorie,
scintillerà il mio cuore come a maggio la notte.

Simile a una nebbia d’oblio cancella i volti,
i gesti che altra volta adorammo al divino,
che ci resero folli, che ci resero saggi,
grazie di perdizione, e simboli di fede.

Tutto cancella il tempo, le sere confidenti,
le mani ch’io posavo sul suo collo di neve,
i suoi sguardi che l’arpa dei miei nervi sfioravano,
la primavera che su noi scuoteva i suoi turiboli.

Altri occhi, pur essendo d’una donna gioiosa,
al pari dei rimorsi erano vasti e neri,
spavento delle notti, mistero delle sere.
Fra le sue belle ciglia c’era l’anima intera,

e come un gaio sguardo era vano il suo cuore.
Altri, simili al mare così dolce e cangiante,
ci smarrivano all’anima che in essi è prigioniera
come incalza l’ignoto nelle sere marine.

Solcammo, mar degli occhi, i tuoi limpidi flutti.
Gonfiava il desiderio le rattoppate vele;
delle antiche tempeste dimentichi, andavamo
sull’onda degli sguardi a scoprire altri cuori.

Tanti sguardi diversi, così simili i cuori !
Vecchi, delusi ostaggi degli occhi,
dovevamo restarcene a dormire sotto le fronde… Ma anche
sapendo tutto voi vi sareste imbarcati

per avere quegli occhi gravidi di promesse
come un mare che a sera fantastica del sole.
In inutili imprese vi siete prodigati
per giungere al paese del sogno che, vermiglio,

si lamentava d’estasi oltre le acque vere,
sotto la santa arca d’una nube, profeta
crudele. Ma è pur dolce avere per un sogno
queste piaghe, e festoso brilla il vostro ricordo.


Traduzione di Giovanni Raboni - Gallimard, 1982.

26/02/11

Il senso apocalittico di Heidegger e l'oggi - Jeanne Hersch.


Una delle più lucide critiche al pensiero di Martin Heidegger che ha potentemente illuminato e condizionato il pensiero filosofico occidentale del Novecento - da destra e da sinistra, come è stato ed è evidente anche in Italia - è quella formulata da Jeanne Hersch, filosofa svizzera nata nel 1900, e morta novantenne nel 2000, allieva di Husserl, che come è noto fu il maestro di Heidegger. E' davvero molto interessante rileggere oggi questa citazione tratta da Il dibattito su Heidegger: la posta in gioco testo pubblicato dall'editore Carocci nel 2004.


“Nel cuore della filosofia di Heidegger troviamo questa forza, la più viva del suo pensiero, che non è, come è stato detto, la meraviglia di fronte all’essere, ma il disprezzo per tutto quello che non è questa meraviglia, nella sua nudità e sterilità.

Un disprezzo ardente, appassionato, ossessivo per tutto ciò che è comune, medio e generalmente ammesso; per il senso comune, per la razionalità; per le istituzioni, le regole, il diritto; per tutto quello che gli uomini hanno inventato, nello spazio in cui debbono convivere, per confontare i loro pensieri e le loro volontà, dominare la loro natura selvaggia, attenuare l’impero della forza.

Disprezzo globale, dunque, per la civiltà occidentale, cristallizzata in tre direzioni: la democrazia, la scienza e la tecnica - per tutto ciò che, generato dallo spirito dell’Illuminismo, fa assegnamento su ciò che può esserci di universale nel senso di Cartesio, in tutti gli esseri umani.

Tutto questo è vuoto. … Tutta l’epoca è vissuta come superficiale, vana, senza spessore né profondità. Tutto shallow” .


24/02/11

La "divina bellezza" di C.G.Jung, sulle note di Kjetil Bjornstad.



E' una sorta di testamento spirituale, quello scritto da Carl Gustav Jung nell'ultima pagina di 'Ricordi, sogni, riflessioni', pubblicata nel 1961 E' sempre meraviglioso rileggere queste parole.

Sono stupito, deluso, compiaciuto di me; sono afflitto, depresso, entusiasta. Sono tutte queste cose insieme, e non so tirare le somme. Sono incapace di stabilire un valore o un non-valore definitivo; non ho un giudizio da dare su me stesso e la mia vita. Non vi è nulla di cui mi senta veramente sicuro. Non ho convinzioni definitive, proprio di nulla. So solo che sono venuto al mondo e che esisto, e mi sembra di esservi stato trasportato. Esisto sul fondamento di qualche cosa che non conosco. Ma, nonostante tutte le incertezze, sento una solidità alla base dell'esistenza e una continuità nel mio modo di essere.

Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l'assenza di significato. Se la mancanza di significato fosse assolutamente prevalente, a uno stadio superiore di sviluppo la vita dovrebbe perdere sempre di più il suo significato; ma non è questo - almeno così mi sembra - il caso. Probabilmente, come in tutti i problemi metafisici, tutte e due le cose sono vere: la vita è - o ha - significato, e assenza di significato. Io nutro l'ardente speranza che il significato possa prevalere e vincere la battaglia.

Quando Lao Tse dice: "Tutti sono chiari, io solo sono offuscato", esprime ciò che io provo ora, nella mia vecchiaia avanzata. Lao Tse è l'esempio di un uomo di una superiore intelligenza, che ha visto e provato il valore e la mancanza di valore, e che alla fine della sua vita desidera tornare nel suo proprio essere, nell'eterno inconoscibile significato. L'archetipo dell'uomo vecchio che ha visto abbastanza è sempre vero. Questo tipo appare a qualsiasi livello di intelligenza, e i suoi tratti sono sempre gli stessi, sia egli un vecchio contadino o un grande filosofo come Lao Tse. Così è la vecchiaia, dunque limitazione. Eppure vi sono tante cose che riempiono la mia vita: le piante, gli animali, le nuvole, il giorno e la notte, e l'eterno nell'uomo. Quanto più mi sono sentito incerto su di me stesso, tanto più si è sviluppato in me un senso di affinità con tutte le cose. Mi sembra, infatti, che quell'alienazione che per tanto tempo mi ha diviso dal mondo si sia trasferita nel mio mondo interiore, e mi abbia rivelato una insospettata estraneità con me stesso.»


22/02/11

Cosa è il Buono.



Entrare in casa di una povera vecchia, cieca, e derubarla di una macchina fotografica è una azione moralmente buona ? Certamente no, si direbbe.
Invece, nel "Racconto di natale" di Paul Auster, mirabilmente reso da un grande attore come Harvey Keitel, e poi sceneggiato in bianco e nero, sulle note di Tom Waits - "Innocent when you dream" - si scoprono molte cose.
Si può scoprire che una azione apparentemente malvagia - un furto, di nascosto ad una anziana cieca - può essere inserita in un contesto e quindi in un significato totalmente positivo, totalmente buono.
Buono è la parola giusta oggi. Buono. In un momento nel quale, in questo paese, sembriamo aver smarrito anche la via più semplice al buon senso (lo scetticismo etico che sembra aver ottenebrato le menti), a ciò che è bene e ciò che è male, a ciò che anche un bambino sa, e noi facciamo finta di aver dimenticato, nelle nostre vite alienate, prive di senso.

21/02/11

Ricostruzione morale ? Paul Ricoeur.


Quello che stiamo vivendo, in gran parte dell'Occidente oggi, mentre il sud del Mediterraneo islamico si infuoca giorno dopo giorno sulle parole d'ordine di 'grano' e di 'libertà' (due pretese che dalle nostre parti sembrano non costituire più un problema), è un ri-pensamento generale, di dove ci sta portando il nostro progresso. E se davvero, la caduta verticale di valori e riferimenti, lo scetticismo pratico e il relativismo etico (con conseguente immoralità o amoralità dilagante) siano l'unico scenario che ci aspetta.

Forse la nostra empasse, però, parte da lontano. E parte proprio da quel che noi crediamo di aver 'archiviato'. Questa frase del grande Paul Ricoeur, mi sembra molto indicativa, e degna di essere davvero meditata.

«Non abbiamo finito di estirpare in gran parte del mondo l'eredità del totalitarismo. Noi abbiamo compiuto l'opera di ricostruzione post-bellica, ma non abbiamo affrontato la ricostruzione morale dopo l'esperienza inaudita della violenza e della tortura che è ancora praticata nel mondo.»


19/02/11

La caccia ai moralisti stravolge perfino il Vangelo. Roberta de Monticelli.


Mi capita in questo periodo - ma non credo di essere il solo - di provare sgomento.

Di fronte alla evidenza e alla rilevanza di quella che viene chiamata 'questione morale' nel nostro paese, resto sbigottito dalla mancanza di serietà delle argomentazioni, dalla malafede, e dal puro stravolgimento strumentale che viene fatto di quei valori condivisi - se non altro 'teoricamente' - che dovrebbero far parte di una tradizione millenaria del nostro paese.

Sembra che abbiamo smarrito, tutti, anche le più semplici coordinate. Così, il pensiero comune sembra ora aver trovato una nuova bandiera sotto la quale riunirsi, che è quella della "caccia al moralista", laddove 'moralista' è ormai usato come un insulto per definire una persona 'morale'.

Ma non è tanto l'equiparazione - interessata e subdola - tra moralista e morale ad indignarmi. Mi indigna, come detto, la lettura distorta, meschina, proterva, che si fa perfino dei fondamenti della vita cristiana, di quei 'valori' discendenti direttamente dai detti di Gesù Cristo nei Vangeli.

Così, con un certo sollievo, ho trovato nell'ultimo libro di Roberta De Monticelli - 'La Questione Morale', edito da Raffaello Cortina Editore, ed uscito da pochi giorni - un passo che riassume perfettamente questo mio sconcerto (e quello di molti altri, credo) e i termini del problema, riguardo a peccato e peccatore, a giudizio e morale, al celebre episodio dell'adultera, e all'uso davvero sconfortante, vorrei dire abietto, che per fini autogiustificativi (cioè giustificativi dei propri comportamenti e delle proprie scelte e opzioni politiche) si fa perfino di un detto evangelico. Ecco il passo, che riporto nella sua interezza.

"Da noi il 'precetto evangelico "chi è senza peccato scagli la prima pietra" è inteso come chiamata di correo, e la chiamata di correo come giustificazione del reo. Insomma vuol dire: "Così fan tutti." Ma vuol dire anche - conclusione assurda - "e perciò va bene così".

Interpretare a questo modo il detto evangelico, vuol dir, né più né meno, richiamare il contraddittore alla legge dell'omertà. Se faccio schifo io, fai schifo anche tu, e dunque ti conviene stare zitto.

L'omertà sta al servilismo come la viltà sta alla prepotenza, e queste quattro belle virtù qualificano precisamente l'esistenza gregaria, che si potenzia nel 'noi' e rifugge certamente da ogni presa di posizione personale, da ogni assunzione di responsabilità, delle proprie opinioni o delle proprie azioni."


01/02/11

Specchio della materia - di Fabrizio Falconi.



Specchio della materia



A forza di spiegare

diventa più confuso

il mormorio delle vele.


Che fantasmi muovono

le cose, che pallidi specchi

siamo noi, a credere ancora


alla destinazione concreta

dei giorni della vecchiaia,

altro non sono che materia


viva, disinteresse per la morte,

istinto, giravolta sui canapi

lasciàti cadere nel vuoto della tenda.


Non appaiono più all'orizzonte

fenici sulla punta dell'obelisco

triste il nostro passare


su una distesa di strati morti,

vivi più di quel che si immagina

e il respiro è nel tuo volto


arrossato di novembre,

nell'aria che si condensa

nella tristezza che è già oro.



Fabrizio Falconi - da 'Le finestre Verdi' - in 'Il respiro di oggi', Terre Sommerse, 2009.

30/01/11

Sperare contro ogni speranza.


“La resurrezione dei morti per la vita del mondo che verrà” è il fondamento dell’essere cristiani. Eppure ognuno, nella vita, sperimenta come questa semplice affermazione – espressa nel Credo dei cristiani e nel Symbolum Apostolorum - carnis resurrectionem et vitam aeternam – sia quanto di più lontano dall’esperienza comune, quanto di più distante dalle ragionevoli aspettative umane, da apparire, probabilmente oggi ancor più che nel passato, bizzarria o superstizione.

Eppure i racconti evangelici parlano chiaro. E anche se non siamo obbligati a pensare alla Resurrezione nei termini in cui la descrive il Nuovo Testamento – Gesù mangia, parla, cammina insieme ai suoi discepoli, dopo essere morto – è perfino ovvio che quel che si chiede a un cristiano è di “avere fede sperando contro ogni speranza” (Rm, 4,18).

Come scrive Sergio Quinzio, “il cristiano è tale perché fa della propria fede il criterio per giudicare il mondo, mentre non v’è dubbio che se volesse giudicare la fede secondo i criteri del mondo, non potrebbe far altro che respingerla.”

Ma per l’appunto: cosa è il mondo ? Cosa è quello che chiamiamo mondo ? Potremmo davvero dire che la nostra concezione di mondo è assai limitata. E’ celebre e folgorante l’aforisma di Lao-tse: Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla.

E’ un modo illuminante per comprendere come quello che noi chiamiamo ‘mondo’ dipende soltanto ed esclusivamente da quello che siamo noi. E la domanda allora si sposta: chi siamo noi ?

Noi, potremmo rispondere, siamo nella posizione più scomoda: come ha detto un celebre astrofisico recentemente, noi siamo esseri sospesi esattamente a metà strada tra il nulla e il mondo.

I cristiani, però, credono – perché lo hanno ascoltato – che proprio in questa sospensione esista un Senso, che è precisamente il Senso divino: siamo sospesi, e cioè a metà strada tra il nulla (la possibilità di essere nulla) e il mondo, cioè il tutto. Siamo creati, e quindi esistenti e siamo in un mondo creato ed esistente. Ma la nostra vera Vita – è quello che ci è stato detto – NON è di questo mondo.

Non si tratta qui, di rifiutare il mondo. Ma di ribaltarlo sulla base di quell’unica asse in sospeso che è Cristo, uomo – e quindi anche lui ‘a metà tra nulla e mondo, tra nulla e tutto’ – e Dio. La differenza tra Lui e noi, è che, come scrive Giovanni, Gesù Cristo “ha detto di essere la verità” (e lo ha manifestato con la sua resurrezione) - "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Gv.14,6) - mentre ai credenti è richiesto di “fare la verità” - Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio (Gv.3,21) - esercitare cioè la conformità a Cristo e alla sua promessa, vissuta nella manifestazione della sua giustizia. Qui sta l’evangelica contrapposizione tra Dio e il mondo. Che forse, mai come in questi tempi dissolutivi, è così evidente.

Fabrizio Falconi

28/01/11

E' così che si finisce sempre più nel fondo.



E' così dunque che si finisce nel fondo: scivolando ogni giorno, concedendo ogni giorno, assolvendosi ogni giorno, ogni giorno un po' di più, ogni giorno dicendosi: 'vada anche questo, lo passo, lo tollero', dicendo sì ogni giorno, mentendo ogni giorno sull'altare del 'tutto vale, tutto è lo stesso'.

Ci sono due tipologie di questa accettazione passiva che portano ad un totale svuotamento delle proprie vite: il primo è quello di Eduardo, quello di questo video, quello degli umili che diventano ignavi e non hanno mai - per viltà o rassegnazione o quieto vivere, o tanti altri 'buoni motivi' - la forza di ribellarsi alle ingiustizie, ai soprusi, alle sconcerie, agli abusi.

Il secondo è quello di chi si vende alla vita, sulla base di un rapporto di totale dipendenza dalle emozioni esteriori e di un'ebrezza che stordisce e distrae dalle questioni fondamentali, dal senso ultimo. "L'irrequietezza - scrive Robert P. Harrison - in quanto condizione spirituale caratterizzante la nostra tarda se non terminale modernità, può essere rappresentata come un vortice che travolge quelli che vi finiscono dentro, i quali vengono trascinati dal suo turbinio senza sapere dove andranno a finire."

Se si sceglie questa seconda via, si incontrerà molto facilmente qualche 'Mefistofele' disposto a farci da guida, da generoso anfitrione nel nostro viaggio di scivolamento, di caduta, di progressivo allontanamento dal nostro centro interiore, in definitiva di perdizione.

E' soave e invogliante quel canto con il quale nel Faust Goethiano, Mefistofele seduce Faust: "Innanzi tutto ti porto in compagnia di gente allegra,perchè tu veda come è che si può vivere alla leggera./ C'è gente, qui, che è come per loro tutti i giorni fosse festa. /Di poco spirito e di bocca buona ognuno gira intondo nel suo piccolo come fa un micio con la coda./ Se non gli duole il capo,finchè gli fa credito l'oste,allegria e niente pensieri..."

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20/01/11

Dostoevskij: il tempo che viviamo.




Il nostro è un tempo che ha un bisogno disperato di profeti. La limitazione degli orizzonti, sempre più stretti, sempre più personali, sempre più irrilevanti, ha fatto sì che ormai sfugga del tutto il quadro di insieme e con esso il senso di quello che viviamo. Eppure, anche di fronte all'incredibile e disperante dissoluzione dei costumi e delle istituzioni al quale stiamo assistendo in questi giorni in Italia, sembriamo come incapaci di riferire quel che accade a un processo, a un passato, a una storia che passa e che sembra - specie a noi italiani - non aver mai insegnato nulla.

E' così utile rileggere il pensiero dei profeti dimenticati. Uno di questi è Fedor Dostoevskij, che nei Demoni, preconizzò e profetizzò l'onda nichilista impadronitasi del mondo nel Novecento, e ancora oggi ci sommerge. Proviamo a rileggere queste parole - è il momento del romanzo il cui Piotr Verchovjenski illustra a Nikolaj Stavroghin il programma dell'Uguaglianza:

"noi faremo morire il desiderio: spargeremo sbornie, pettegolezzi, denunzie; spargeremo una corruzione inaudita; spegneremo ogni genio già in fasce...
Per prima cosa si abbassa il livello dell'istruzione, delle scienze, degli ingegni. L'alto livello delle scienze é accessibile solo alle doti superiori. A Cicerone si taglia la lingua, a Copernico si cavano gli occhi, Shakespeare viene lapidato."

A leggere queste parole, sembrerebbe davvero che il programma è attuato pienamente, e che non ci sarà scampo, ormai.

Ma forse è il caso di aggiungere che Dostoevskij - così lucidamente "sul presente" - fu quello stesso profeta capace di elaborare quel celebre 'credo' personale, nella famosa lettera inviata nel 1854 a N.D.Fonvizina, quando era appena uscito dal lungo confino in Siberia:

Di me Le dirò che io sono figlio del mio secolo, figlio della miscredenza e del dubbio (ditja veka, ditja neverija i somnenia) , e non solo fino ad oggi, ma tale resterò (lo so con certezza) fino alla tomba.

Quali terribili sofferenze mi è costata – e mi costa tuttora – questa sete di credere, che tanto più fortemente si fa sentire nella mia anima quanto più forti mi appaiono gli argomenti ad essa contrari! 

Cionostante Iddio mi manda talora degl'istanti in cui mi sento perfettamente sereno; in quegl'istanti io scopro di amare e di essere amato dagli altri, e appunto in quegl'istanti io ho concepito un simbolo della fede, un Credo, in cui tutto per me è chiaro e santo. 

Questo Credo è molto semplice, e suona così: credete che non c'è nulla di più bello, di più profondo, più simpatico, più ragionevole, più virile e più perfetto di Cristo; anzi non soltanto non c'è, ma addirittura, con geloso amore, mi dico che non ci può essere. 

Non solo, ma arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità. 

16/01/11

La poesia della Domenica - "Non ho rimpianti, né parole, né lacrime" di Sergej Esenin.


Non ho rimpianti, né parole, né lacrime


Non ho rimpianti, né parole, né lacrime.

Tutto passerà, come la nebbia dai rami bianchi del melo.

Appassito in una decadenza dorata

mai più io sarò giovane.

Anche il mio cuore toccato dal gelo

ha smesso di battere come una volta.

E questo paese di betulle, di indiana,

più non mi attira, cammina a piedi scalzi.

Spirito vagabondo, di raro ormai

cerchi il fuoco delle mie labbra.

Dove siete, freschezza degli anni passati,

ardore degli occhi, piena impetuosa dei sensi!

Adesso, quasi, non ho desideri. Eppure vita,

che ho fatto io se non sognarti di continuo?

Era come se a primavera, in un mattino sonoro,

me ne andassi in giro sopra un cavallo rosa.

Tutti in questo mondo sono votati alla fine.

Dolcemente intristisce il rame degli aceri…

Ma chiamiamoci dunque felici, benedetti per sempre,

d’essere nati per fiorire e morire.


Sergej Aleksandrovič Esenin, (Konstantinovo, 3 ottobre 1895 – San Pietroburgo, 28 dicembre 1925) - tratta da 'Poemi rivoluzionari', a cura di Serena Vitale, Guanda, Quaderni della Fenice, 1988.

12/01/11

Hereafter - Un capolavoro spirituale.



Sono piuttosto esterrefatto dalla lettura che sui giornali italiani alcuni osservatori hanno dato di ‘Hereafter’, il nuovo film di Clint Eastwood appena uscito in sala.


In verità, me lo aspettavo. Il fatto che il rude Clint, il prosaico Clint, il Cavaliere Solitario, abbia deciso di affrontare un tema scivoloso come l’aldilà e la vita dopo la morte, lo poneva a serio rischio di vedersi piovere addosso critiche liquidatorie.


In realtà va così da sempre, almeno già da un paio di millenni, da quando – per dire – quel Paolo di Tarso sull’Aeropago, ricevuto dai dotti ateniesi fu ascoltato e considerato finché non pensò di tirar fuori la storia della Resurrezione. “Sì, sì, di questo parleremo un’altra volta”… gli dissero, compatendolo. Arrivederci e grazie.


La stessa cosa succede oggi a chi si mette a tavolino a discutere con qualcuno che abbia tanto buon senso e sale in zucca, pretendendolo di convincerlo che sì, che forse una vita dopo la morte esiste, che forse anche l’eterno esiste, e che forse non è nemmeno tanto difficile averne contezza.


Viviamo infatti in un mondo – almeno in quello che oggi è l’Occidente (e che comprende anche molte parti di Oriente)– dove esercita la sua dittatura e il suo dominio l’hic et nunc. Il qui ed ora.


La prospettiva è asfittica, limitata, anzi quasi cieca. E risponde, semplicemente, a questo imperativo:

pensa a quello che hai ora, vivi il tuo presente, comprati la cintura firmata ai saldi, guardati la partita, fatti la tua vacanza in crociera, e vivi tranquillo. Per morire, c’è sempre tempo.


Chiunque osi ribellarsi a questa dittatura, viene guardato come un sabotatore, e anche come un tipo stravagante, tutt’al più da compatire per la sua ingenuità.


E’ questo forse il lato più bello del bellissimo film di Eastwood: la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando la bella anchorman che è rimasta sospesa tra la vita e la morte durante lo tsunami in Indonesia e ha visto l’aldilà, pretende di mettere questa cosa al centro dei suoi interessi; la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando il povero Marcus, il ragazzino sopravvissuto alla tragica morte del suo gemello, pretende di mettersi in contatto con lui, con il fratello morto, pretende di proseguire a dialogare con lui, a farlo parte della sua vita; la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando il sensitivo George Lonegan (Matt Damon) deve addirittura rinnegare le sue qualità di tramite con i morti, per poter vivere tranquillo e avere una vita normale.


E’ questo, credo, che dovrebbe farci riflettere tutti.


E come si fa a liquidare tutto questo con ‘melassa newage’ come fa Luca Doninelli sulle pagine de ‘Il Giornale’ ? Come si fa a scrivere che “Sapere o non sapere se esiste qualcosa dopo la morte non cambia quasi niente della vita di un uomo” ? (sic!).


Ma davvero ?


Eastwood non scollega affatto l’hic et nunc, la vita che viviamo ora e adesso su questa terra con quello che succede dopo. Fa anzi esattamente l'opposto. E la sua prospettiva non è né eretica, né pagana, né new age. E’ la più vicina al buon senso. Il fatto che non sia corrispondente a una logica ‘confessionale’ cioè religiosa, non toglie nulla al rigore di un’opera che va letta semplicemente per quello che è.


Gli esperimenti di Near Death Experience non sono new age. Le migliaia di persone che sperimentano nel mondo un legame – in qualsiasi modo questo avvenga - con coloro che non ci sono più, non sono new age. Sono parte – e che parte ! – della nostra vita. La parte che ogni lutto, qualsiasi lutto che affrontiamo nella vita, ci costringe, volenti o nolenti, ad affrontare.


Non è poco. E’ moltissimo, anzi. E non finiremo mai di ringraziare Clint Eastwood, il rude, prosaico, cinico Eastwood, per averci regalato, a 80 anni suonati, il film più spirituale degli ultimi dieci anni.


Fabrizio Falconi

11/01/11

L'umorismo è il maggior nemico del diavolo - J.Hillman.


In questi giorni natalizi, rivedendo alcuni dei vecchi film dell'epoca del muto, del grande Chaplin, o di Laurel & Hardy, ho molto riflettuto su cosa è l'umorismo, su quanto sia difficile da praticare, e su come si tratti di una attitudine umana precipua e alta. 

La paura è la grande sovrana del mondo. E la paura è l'antitesi del sorriso.
Nel suo libro, 'Il Codice dell'Anima', James Hillman, nel capitolo dedicato ad Adolf Hitler, distingue tra l'umorismo (e quindi l'umorista) e "la figura del Briccone," di colui cioè che è specialista nel "dire arguzie, fare il buffone, danzare la giga, giocare burle", tutte tipiche contro-figurazioni che possono avere molto a che vedere con il male.

La linea di demarcazione è sottile, ma molto importante.

Hillman sottolinea l'origine della parola 'umorismo', cioè la sua etimologia, che deriva, ancora una volta dalla radice 'humus', da cui a loro volta derivano:
-homo, humanus,
e - humilis

E' forse per questo motivo che l'umorismo - non il comico, non il grottesco, non il ridere insensato - è quanto di più umano esista. Ecco il brano nella sua interezza.

Il diavolo può impersonare la figura del Briccone, dire arguzie, fare il buffone, danzare la giga, giocare burle, ma l'umiltà terragna dell'umorismo gli è totalmente estranea.


L'umorismo, come indica la parola stessa, inumidisce e ammorbidisce, conferendo alla vita un tocco ordinario; poiché incoraggia l'autoriflessione e prende le distanze dal senso di importanza personale, l'umorismo è fumo negli occhi per il delirio di grandezza. In quanto ci pone su un gradino più basso, è essenziale per crescere cioè discernere.

La risata che dà riconoscimento alla nostra assurdità di comparse nella commedia umana è altrettanto efficace per scacciare il diavolo, dell'aglio e della croce per scacciare i vampiri.

Lo aveva capito Chaplin, che nel suo film Il grande Dittatore non si limita a ridicolizzare Hitler, ma rivela l'assurdità, la trivialità e la tragicità dell'inflazione demonica.


James Hillman, Il codice dell'Anima, pag.276.