20/12/13

(Dieci grandi anime) - Antonia Pozzi (4.)




(Dieci grandi anime) - Antonia Pozzi (4.)  

Allo stesso modo di queste cose sorelle, anche Antonia diventa un cero sui fiori d’autunno. La sua vita, brevemente consumata, si rende eterna in un sacrificio di luce.
     Fa parte di questa disperazione mortale anche la crudele oppressione che si esercita sulle nostre giovinezze sfiorite, scrive Antonia nel suo biglietto di addio. (8)
     E’ probabile che l’essere vissuta in un periodo così estremo, nel pieno di rivolgimenti drammatici, abbia giocato un ruolo nella sua decisione finale.  Ma, nel mistero di una fine violenta e prematura – che la accomuna a molte poetesse e poeti del novecento, Ingeborg Bachmann, Sylvia Plath, Virginia Woolf, Marina Cvetaeva, e poi Paul Celan, Cesare Pavese, Carlo Michelstaedter – c’è, in Antonia, nella sua intera opera poetica e ancora di più nella sua sofferta esistenza, un soffio di consapevolezza sacra.
     Un sacro – anche qui – che è difficile restringere nei rigidi recinti della liturgia e della confessione ortodossa. La Pozzi infatti non fu mai religiosa praticante, anche se così tante  pagine della sua poesia, delle lettere, e del Diario (9) sono percorse da un febbrile senso e da un altrettanto inquieto bisogno del divino.
      Con Antonio Maria Cervi – fervente cattolico – sarà proprio questo uno dei punti di attrito e di sofferto fraintendimento.
      Tu, tu che mi dici che io non ho niente di sacro… - scrive Antonia a Cervi il 1. marzo del 1932 – oh, è atroce, è atroce che tu mi dica così, perché vuol dire che dove io tengo le mie cose più sacre tu non sei mai, mai penetrato e non hai nemmeno veduto che per me è sacro tutto quello che è sacro per te. (10)
      Per Antonia, questo punto a quanto pare non riesce a capirlo nessuno di coloro che le sono vicini, è difficile – sperimentando le difficoltà di una vita sovrasensibile e mancante di risposte adeguate – ritrovare quel Dio semplice nel quale, “da bambina, aveva insegnato a credere ai piccoli montanari, che scendevano a Pasturo per frequentarvi la scuola, e sul quale era solita intrattenere per ore la Sandra, la sua compagna di giochi, dopo averla aiutata a fare i compiti di scuola, per dare il tempo  a lei, di condizioni non agiate, di badare ai fratellini”. (11)
     Dio può essere abitato e vissuto pienamente soltanto a prezzo di una vita vera, vissuta.  E Antonia, non riesce a viverla pienamente.  Il suicidio che mette in scena è un vuoto pieno di vita, è una vita pienamente raggiunta – per le possibilità che può offrire – e pienamente, dolorosamente abbandonata.
     Ma in una prospettiva intima, segreta, di speranza.
     Soltanto un anno prima di morire,  il 13 maggio del 1937,  e di trasmettere – del tutto inedito – il suo grande lascito poetico che oggi appare più vitale e più ispirato che mai,  scriveva una poesia intitolata Amor fati che appare,  in appena otto versi,  una specie di summa del suo sofferto percorso spirituale :
      
      Quando dal mio buio traboccherai
      di schianto
      in una cascata
      di sangue – 
      navigherò con una rossa vela
      per orridi silenzi
      ai cratèri
      della luce promessa.  (12)


    (4. - fine) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

       

8.      Il cosiddetto Testamento, ovvero il biglietto d’addio di Antonia, contenuto nella borsetta che aveva il giorno del suicidio, è pubblicato in Antonia Pozzi, L’età delle parole è finita, op. cit. pag. 112.
9.      I Diari di Antonia Pozzi sono pubblicati in Italia da Scheiwiller, Milano 1988.
10.     Antonia Pozzi, L’età delle parole è finita, op. cit. pag. 47.
11.     Così Onorina Dino in Le lettere di Antonia Pozzi, in L’età delle Parole è finita, op. cit. pag. 125.
12.      Antonia Pozzi, Parole, op. cit. pag. 293.

19/12/13

(Dieci grandi anime) - 4. Antonia Pozzi (3./)





(Dieci grandi anime) - Antonia Pozzi (3./)  



Scrive nella occasione di quel viaggio una poesia, intitolata Viaggio al Nord, che termina con queste parole :
    
    Ripudia
    questo sangue il suo sole e le stagioni
    infuriando
    così  sotterra, nella magica notte.  (5)

    Sente, il suo cuore non può non sentire, quello che si prepara. L’odore del sangue che già si sparge sotto il sole.  Anche i suoi migliori amici, come Paolo Treves – che è fuggito a Londra da dove conduce una rubrica per Radio Londra – sono in pericolo, o sono già morti, come Gianni Manzi, compagno d’università molto amato che si è tolto la vita due anni prima, nel 1935.
    Non gli sono di conforto – se non temporaneo – l’amicizia, la fraternità con altri amici poeti, come Vittorio Sereni, le lunghe discussioni sull’arte, quando si accompagnano a casa la sera.  Oppure come  altri coetanei come Luciano Anceschi, Remo Cantoni, Enzo Paci, Maria Corti.
    Divengono più frequenti, alla fine della sua breve vita, le visite alla nonna, Maria Cavagna, e quelle a Pasturo, l’unico posto dove davvero sembra ritrovare un po’ di pace.
    Probabilmente matura lentamente in lei un desiderio di sparire quietamente, e che del resto abita in lei già da tempo.   In una poesia del 1930,  scritta a diciott’anni,  descrive il raccoglimento interiore di una visita in chiesa, e scrive: 
   
    O lasciate che io sia
    una cosa di nessuno
    per queste vecchie strade
    in cui la sera affonda.

    Non domandatemi se prego
    e chi prego
    e perché prego.

    io entro soltanto
    per avere un po’ di tregua
    e una panca e il silenzio
    in cui parlino le cose sorelle –
     poi ch’io sono una cosa –
     una cosa di nessuno
     che va per le vecchie vie del suo mondo –
     gli occhi
     due coppe alzate
     verso l’ultima luce.  (6)

     Quell’ultima luce è in definitiva la luce beata delle montagne, che Antonia conosce bene, che esplora con gli occhi e con l’obiettivo della sua macchina fotografica. Il suo divenire continuo, il suo mutare, il suo non trovare appigli , è il simbolo di una ricerca che non può che incarnarsi nello spirito vitale che la abita e che non trova un abbraccio sicuro, un luogo stabile nel quale trovare pace, se non nell’immagine paziente di una luce ulteriore, irraggiungibile in questa vita.
    
     Abbandonati in braccio al buio
     monti
     m’insegnate l’attesa:
     all’alba – chiese
     diverranno i miei boschi.
     arderò – cero sui fiori d’autunno
     tramortita nel sole.   (7)

     E’ una delle ultime poesie, senza indicazioni di data precisa, nelle quali si individua il sogno di un’altra vita, che possiede lo spirito di Antonia:  l’attesa di quei monti, di quei boschi che diventano chiese.



(3./ segue) 

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18/12/13

(Dieci grandi anime) - 4. Antonia Pozzi (2./)





(Dieci grandi anime) - Antonia Pozzi (2./)  

    E’ ben strana una ragazza di diciassette anni che scrive già con questa intensità.  Una ragazza di diciassette anni capace perfino di offrirsi di dare un figlio al professore, perché lo compensi del lutto inconsolabile del fratello – Annunzio Cervi, poeta, caduto in guerra sul Monte Grappa, nel 1918 – e che ne porti lo stesso nome.
   Si direbbe una smisurata capacità di amare.  Che difatti resterà inadeguata, causa di sofferenza, di mancanze  sempre più difficili da sopportare.
   Sì, perché l’amore con il professore, Cervi, non è di quelli destinati a trovare una soddisfazione terrestre: quando il padre di Antonia scopre la tresca, dapprima ottiene il trasferimento del professore a Roma, poi rifiuta la sua proposta di matrimonio, infine fa allontanare la ragazza da Milano, nel luglio del 1932.
   In questi anni di drammatica lacerazione, vissuti con la sensibilità esasperata della giovinezza, Antonia elabora un particolare percorso di maturità, a prezzo di un sacrificio che le appare impossibile da scontare.
   E’ la poesia a salvarla, a riempirla veramente. Nella poesia trova l’unica completezza che le è possibile sperimentare.
   Il 29 gennaio del 1933 scrive a Tullio Gadenz, un giovane amico poeta a cui invia delle memorabili lettere che hanno per argomento principale la bellezza della montagna: Vivo della poesia come le vene vivono nel sangue. Io so cosa vuol dire raccogliere negli occhi tutta l’anima e bere con quelli l’anima delle cose e le povere cose, torturate nel loro gigantesco silenzio, sentire mute sorelle al nostro dolore.   Perché per me Dio è e non può essere altro che un Infinito, si concreta incessantemente entro forme determinate che ad ogni attimo si spezzano per l’urgere del fluire divino e ad ogni attimo si riplasmano per esprimere e concretare quella Vita che, inespressa, si annienterebbe.   Ora Lei vede che un Dio così non si può né chiamare né  pregare né  porre lungi da noi per adorarLo; Lo si può soltanto vivere nel profondo, poi che è Lui l’occhio che ci fa vedere, la voce che ci fa cantare,  l’amore, ed il dolore che ci fa insonni. 
     Io credo che il nostro compito, mentre attendiamo di tornare a Dio, sia proprio questo: di scoprire quanto più possibile Dio in questa vita, di crearLo, di farLo balzare lucendo dall’urto delle nostre anime con le cose (poesia e dolore), dal contatto delle nostre anime tra di loro (carità e fraternità)   (2).
     Antonia riesce a cogliere l’essenza delle cose.  Forse proprio perché non avrà mai delle cose veramente sue: una casa, una vita, un compagno. (3)
     Scrive infatti, in una delle sue poesie più conosciute:
    
     Sulle rovine della mia casa non nata
     Ho sparso
     Cenere e sale. (4) 

In questo spirito errabondo che la pervade,  questa giovane donna riesce ad incarnare meglio di molti, lo spirito del tempo. Di un tempo, difficile, estremo.   La aiutano, a comprendere e a sentire, i numerosi viaggi che intraprende in giro per l’Europa, soprattutto in Germania, paese di cui ama immensamente la lingua.
      Poi la Francia, l’Austria, Vienna, e poi Praga, Budapest.  Le foto, che diventano una specie di ossessione: quelle che Antonia realizza con la sua macchina fotografica – e che parlano quanto e come le sue poesie – e quelle di altri che colleziona nel chiuso dei suoi cassetti. Quando morirà se ne troveranno più di 5000, che andranno a formare un fondo permanente.

     In una di queste foto Antonia è ritratta, all’inizio del 1937, a Berlino, in una giornata di sole, in strada, in piedi accanto ad una grande macchina sul cui parabrezza posteriore è incollata una svastica nazista. Antonia sorride, ma qualcosa nella sua espressione, nel suo portamento tradisce l’inquietudine. Cosa deve aver provato, in quei giorni, così lontana dall’eremitaggio delle sue montagne, in mezzo alla bolgia inebriante e folle della Germania che si preparava ad incendiare il mondo ? 

(2./ segue) 

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2.     Antonia Pozzi, L’età delle parole è finita, pag.53
3.     Così Alessandra Cenni nella prefazione al volume L’età delle parole è finita, pag.12
4.     E’ la poesia Lamentazione.  Questo, come tutti gli altri testi poetici della Pozzi contenuti in questo capitolo sono tratti dal volume antologico: Antonia Pozzi, Parole, Garzanti, 1989. 

17/12/13

(Dieci grandi anime) - 4. Antonia Pozzi (1./)






Pubblico come ogni mese, il profilo di una grande anima da me riscritto.  Oggi la prima puntata e a seguire nei prossimi giorni le altre. 


(Dieci grandi anime) - Antonia Pozzi (1./)


     

Signore tu lo senti
ch’io non ho voce più
per ridire
il tuo canto segreto.
Signore, tu lo vedi
ch’io non ho occhi più
per i tuoi cieli, per le nuvole tue
consolatrici.

Signore, per tutto il mio pianto,
ridammi una stilla di Te
ch’io riviva.

Perché tu sai, Signore,
che in un tempo lontano
anch’io tenni nel cuore
tutto un lago, un gran lago,
specchio di Te.
Ma tutta l’acqua mi fu bevuta,
o Dio,
ed ora dentro il cuore
ho una caverna vuota,
cieca di Te.

Signore, per tutto il mio pianto,
ridammi una stilla di Te,
ch’io riviva.

   E’ una poesia – Preghiera -  che Antonia Pozzi scrisse il 20 Ottobre del 1932. Antonia è all’epoca una studentessa universitaria, all’Università Statale di Milano, ha appena vent’anni. La sua giovane vita sta per spezzarsi. Succederà appena sei anni dopo, alla periferia di Milano, in un prato innevato di fronte all’Abbazia di Chiaravalle.  E’ il 3 dicembre del 1938, poche settimane prima Hitler ha iniziato l’occupazione dei Sudeti e in Italia sono state promulgate le leggi razziali. Antonia ha ingerito barbiturici.  Il suo corpo viene ritrovato da un passante.  Nella borsetta, c’è un messaggio di addio indirizzato alla mamma e al papà. Si conclude con queste parole: Mi ritroverete in tutti i fossi che ho tanto amato. E non piangete perché sono in pace.
   Il suicidio viene subito archiviato come uno dei molti di quegli anni bui, in cui la guerra torna a gravare ancora più spaventosamente sul mondo: è soltanto una studentessa che ha deciso di farla finita, Antonia del resto non ha pubblicato fino a quel giorno nemmeno un rigo delle sue poesie. 
   Eppure, proprio a partire da quella morte, avvertita come una vergogna dalla famiglia – il padre, stravolto dal dolore incenerisce perfino il biglietto di addio, ricostruendolo solo più tardi, a memoria – e da un ambiente -  quello della cultura fascista - che non ha molto in simpatia chi sceglie di suicidarsi,  l’opera di Antonia, scritta in soli nove anni, diventa un classico del Novecento poetico italiano, con continue pubblicazioni e studi critici, fino ai giorni nostri. 
   Non è difficile comprendere perché.  Già il testo che abbiamo riportato qui - la Preghiera - dice molto sullo spirito di questa donna, e forse bisognerebbe leggerla più volte, per apprezzarne le sottili sfumature. 
   Che Antonia fosse dotata di una sensibilità fuori dal comune era stato chiaro sin dall’inizio, sin dai suoi anni giovanili.
   Nata in una famiglia di antico lignaggio -  il padre è un’importante avvocato milanese e la madre è la contessa Lina Cavagna Sangiuliani – trascorre l’infanzia e l’adolescenza dapprima nelle grandi ville della nonna materna, a Bereguardo e a Carate Urio, poi nella splendida casa milanese di via Mascheroni.  I periodi di vacanza l’intera famiglia si trasferisce invece a Pasturo, in Valsassina, dove i Pozzi hanno comperato una dimora del Settecento,  Villa Marchiondi, ai piedi delle Grigne, in provincia di Lecco.
   Ad Antonia viene assicurata l’educazione migliore di una famiglia benestante: pianoforte, lo sport - sci, nuoto, equitazione-  l’arte applicata - il disegno e la scultura – le scuole migliori. 
   Ma questa perfezione non si addice o non completa comunque una personalità già teneramente inquieta, già alla ricerca di qualcosa di indefinito, che preme, che vuole uscire, che non si accontenta.
   Si iscrive al Liceo classico Manzoni, di Milano, uno dei più prestigiosi, studia con profitto – imparandole alla perfezione – tre lingue straniere: tedesco, francese, inglese.  Ha la fortuna di avere un brillante professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi.  L’uomo è molto più grande di lei.  Eppure nasce un intenso, profondo e drammatico legame.   Un legame che verrà bruscamente spezzato per lo scandalo che ne consegue e che segnerà profondamente tutta la sua esistenza fino alla morte.
 E’  terribile essere una donna e avere diciassette anni, scrive Antonia in una lettera al professore, all’inizio della loro relazione, il 13 luglio del 1929, al ritorno di un viaggio, dentro non si ha che un pazzo desiderio di donarsi.  Che cosa è un ritorno ? Una cosa che per qualche ora  scioglie i duri groppi che separano l’oggi dall’ieri e fonde il passato e il presente con sicurezza fresca, dove il male non ha luogo. (1) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

1.     I brani delle lettere citati in questo capitolo sono tratti dal volume: Antonia Pozzi, L’età delle parole è finita – Lettere 1927-1938  Rosellina Archinto Editore, Milano, 1989. 

16/12/13

Non perdersi più.






Quasi nessuno riesce ad imparare la lezione da quel che vive, la lezione di quel che vive. 

Lo si capisce e lo disimpara subito, perché la vita ci chiama altrove a indossare altri panni che non sono i nostri. Li hai trovati e hai pensato che fossero buoni per proseguire. 

Invece nessun indumento ti può proteggere. 

Il freddo e il sonno, l'essere qui e il perché. La disinformazione che hai ricevuto, le istruzioni sbagliate che ti hanno dato e non portano da nessuna parte. 

Perduto, accenderai un fuoco.  Ma non basta, e sussulti come un demonio nella notte per darti respiro, per cercare una via d'uscita, ma la via d'uscita non c'è. 

La vita è legame fatto di niente, fortissimo più della morte.   Ma da solo non riesci a far nulla e l'orgoglio non aiuta e non basta. 
Torni indietro, dirimi un senso, ti svegli nella notte e ricominci all'alba come un uccello sopravvissuto all'inverno. Non trovi requie.

Arriva il giorno dell'abbandono. Come carta invecchiata si sfalda il muro che hai costruito con tanta pazienza intorno a te stesso.  In un minuto sei fuori e ti senti perduto, di nuovo.

Solo che stavolta il mondo si è rischiarato, ha smesso perfino di piovere e avverti l'odore dell'erba che non vedi. 

Hai voglia di distenderti, osservi le nubi in transito e sono bianche. 

Hai imparato: è talmente difficile trovare, che quando si è trovato non si deve perdere.  Se sei riuscito a dare amore, tieni stretto il tuo incontro.  Portalo per il resto della tua vita, non distrarti non fare come tutti, non crederti inutile, non spargere altra inutilità. Coltiva l'albero finché esso non ti sopravviva. E l'albero che hai piantato e che ti è sopravvissuto sarai tu stesso, che l'hai piantato e che gli hai concesso, con cura, di sopravviverti. 


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

15/12/13

Poesia della domenica - 'Il mantello' di Ezra Pound.





Il mantello (di Ezra Pound)

Conservi il tuo petalo di rosa
finché non sia finito il tempo delle rose,
forse credi che la Morte voglia baciarti?
Forse credi che la Casa Buia
ti troverà un amante
come me? Le nuove rose sentiranno la tua mancanza?

Preferisci il mio, al mantello di polvere
disteso sopra l'anno che è passato,
assai più devi temere
dal tempo, che dai miei occhi.


Ezra Pound (1885-1972)



The Cloak

Thou keep'st thy rose-leaf
Till the rose-time will be over,
Think'st thou that Death will kiss thee?
Think'st thou that the Dark House
Will find thee such a lover
As I? Will the new roses miss thee?

Prefer my cloak unto the cloak of dust
'Neath which the last year lies,
For thou shouldst more mistrust
Time than my eyes.


14/12/13

Un incredibile piccolo luogo sconosciuto di Roma (davanti al quale si passa tutti i giorni): l'Oratorio di Sant’Andrea a Ponte Milvio e la testa dell’Apostolo.


un estratto dal Libro Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, uscito da pochi giorni in libreria. 


Un piccolo edificio, sotto l’ombra dei cipressi passa quasi del tutto inosservato sulla sponda sinistra del Tevere, proprio alla fine del tratto della Via Flaminia prima di Ponte Milvio, compresso com’è dalle due carreggiate e dai binari della linea del tram che la cingono d’assedio. Eppure si tratta di un piccolo gioiello che custodisce una lunga e nobile storia: è il cosiddetto Oratorio di Sant’Andrea, costruito accanto ad una edicola, poggiata su quattro colonne con la statua raffigurante l’apostolo Andrea.

Sia la statua che l’edicola risalgono al 1463, quando furono commissionate dal papa di allora, Pio II Piccolomini, all’architetto toscano Francesco Del Borgo, per rendere eterna memoria di un evento storico avvenuto proprio in quel luogo, l’11 aprile dell’anno precedente, il 1462. In quel giorno di primavera, a Roma, accadde qualcosa di notevole: il Cardinale Bessarione (di lui parliamo anche in un capitolo a parte, nelle pagine sul Rione di San Saba), grande erudito e umanista, mediatore e ambasciatore tra le chiese di Bisanzio e quella di Roma, arrivò nella capitale portando con sé una reliquia preziosissima: la testa dell’apostolo di Gesù, Andrea. L’arrivo nell'Urbe di questo sacro reperto assumeva in quegli anni un significato particolarmente importante, in una città che già vantava ovviamente un gran numero di insigni reliquie della cristianità: la testa dell’Apostolo Andrea era sfuggita alla massiccia operazione di recupero seguita alla occupazione da parte dei Crociati del trono imperiale di Bisanzio, nel 1204. Grazie alla riconquista della antica Costantinopoli, infatti, un gran numero di reliquie della prima cristianità, custodite nella capitale dell’Impero Romano d’Oriente, erano state riprese e riportate in Occidente, non solo a Roma, ma nelle principali cattedrali e chiese di Francia, di Germania, di Spagna, d’Italia, compreso il corpo dell’Apostolo Andrea (che la tradizione vuole morto nell’anno 60 d.C. in Grecia, nella città di Patrasso, dopo il celebre martirio per crocefissione sulla cosiddetta croce decussata, cioè a forma di X).


A quel corpo – che era stato spostato, dopo la sepoltura, a Costantinopoli (città di cui Sant’Andrea divenne patrono), mancava però la testa, che continuò ad essere conservata a Patrasso e che lì resto, in mano ai bizantini, anche dopo l’ingresso dei Crociati a Bisanzio.

Dopo due secoli e mezzo da allora, la testa del santo fu dunque finalmente donata, insieme ad altre reliquie del martirio dell’Apostolo, dal re di Morea, Tommaso Paleologo a Papa Pio II. Tommaso, che era stato spodestato dai Turchi (ed era riuscito miracolosamente a mettere in salvo la reliquia) sperava in questo modo di ingraziarsi il papa cattolico visto che Bisanzio era stata nuovamente riconquistata dagli Ottomani e soltanto una nuova iniziativa da Roma, con l’indizione di una nuova Crociata poteva restituire Costantinopoli ai cristiani.

La reliquia della preziosa testa fu dunque affidata al Cardinale Bessarione, che fungeva da vero e proprio ambasciatore, il quale in un lungo viaggio per nave era giunta fino ad Ancona e di qui trasportata fino a Narni e poi, via fiume, attraverso le acque del Tevere fino a Roma, a Ponte Milvio, dove, appena disceso dal battello, il Cardinale aveva trovato ad accoglierlo il Papa in persona. Fino al Cinquecento la memoria del fausto avvenimento fu consegnato soltanto all’edicola e alle colonne. In seguito fu realizzata la chiesa di Sant’Andrea (a pianta quadrata con cilindro, che si trova nei pressi) e l’Oratorio che nel 1566 Papa Pio V concesse all’arciconfraternita della Trinità dei Pellegrini. Il luogo infatti, era una delle mete privilegiate, e delle soste obbligate dei pellegrini che percorrendo la Via Francigena, da Nord, giungevano nella Città Santa. 

L’edificio di culto fu dotato anche di un cimitero destinato proprio ad accogliere i pellegrini morti durante il loro viaggio di avvicinamento a Roma. Il cimitero, che doveva essere molto esteso, è ormai ridotto ad un piccolo recinto, nel quale restano soltanto alcune lapidi con iscrizioni e l’erma marmorea del cardinale Piccolomini, nipote del Papa.


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. Tratto da Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton Editore

11/12/13

Invictus - La poesia che ispirò Mandela negli anni della prigionia.




E' ormai risaputo (Clint Eastwood ne ha tratto anche l'ispirazione per il film che ha diretto nel 2009, Invictus - L'invincibile, dedicato al leader sudafricano) che Nelson Mandela, per alleviare gli anni della sua prigionia durante l'apartheid,  trovò spirito e forza da un libro di poemi e in particolare da una poesia, 'Invictus', che leggeva ad alta voce anche agli altri detenuti. 

Invictus fu scritta dal poeta inglese William Ernest Henley (1849-1903), composta nel 1875 e pubblicata per la prima volta nel 1888 nel Book of Verses di Henley, dov'era la quarta di una serie di poesie intitolate Life and Death (Echoes). 

All'età di 12 anni, Henley rimase vittima del morbo di Pott, una grave forma di tubercolosi ossea. Nonostante ciò, riuscì a continuare i suoi studi e a tentare una carriera giornalistica a Londra. Il suo lavoro, però, fu interrotto continuamente dalla grave patologia, che all'età di 25 anni lo costrinse all'amputazione di una gamba per sopravvivere. Henley non si scoraggiò e continuò a vivere per circa 30 anni con una protesi artificiale, fino all'età di 53 anni. Henley era anche legato da una profonda amicizia con Robert Louis Stevenson, che si ispirò a lui per il personaggio di Long John Silver ne L'isola del tesoro.

La poesia Invictus dunque fu scritta proprio sul letto di un ospedale. 
Ecco i versi. 


Dal profondo della notte che mi avvolge,
Nera come un pozzo da un polo all'altro,
Ringrazio qualunque dio esista
Per la mia anima invincibile.
Nella feroce morsa della circostanza
Non ho arretrato né gridato.
Sotto i colpi d'ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma non chino.
Oltre questo luogo d'ira e lacrime
Incombe il solo Orrore delle ombre,
E ancora la minaccia degli anni
Mi trova e mi troverà senza paura.
Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino;
Io sono il capitano della mia anima.

originale:
Out of the night that covers me,
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever god may be
For my unconquerable soul.
In the fell clutch of circumstance
I have not winced not cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.
Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.
It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.

10/12/13

Le strane coincidenze della morte di John Lennon, l'8 dicembre di 33 anni fa.


Questa qui sopra è una immagine della copia dell'Lp 'Double Fantasy' autografata da John Lennon a Mark Chapman, il suo assassino, 6 ore prima di essere da lui colpito con 5 colpi di pistola, l'8 dicembre del 1980, trentatre anni fa. 

La firma del disco avvenne intorno alle 17. Sulla copertina dell'LP è visibile l'autografo di John, apposto proprio sul collo di Yoko. 

Acquistato nel 1980 da un giardiniere che lo trovò nei pressi del palazzo Dakota di New York, luogo dell'omicidio, il disco fu venduto da questi nel 1999 a un anonimo privato che nel 32esimo anniversario della morte di Lennon, l'anno scorso, lo ha messo di nuovo in vendita presso la casa d'aste 'Moments in time'.

Come raccontano le cronache, alle cinque del pomeriggio di quel fatale giorno, la vittima e il suo killer si trovarono faccia a faccia: Lennon si fermò a salutare i fan che lo aspettavano davanti al Dakota Building (il lussuoso palazzo in cui risiedeva, sulla 72ª strada, nell'Upper West Side a New York). L'assassino gli bloccò la strada. 

"Gli dissi: John mi autografi il disco? Fu molto gentile. Scrisse il suo nome e la data, 1980" raccontò più tardi il venticinquenne malato di mente Mark Chapman. 
Mancavano sei ore al delitto. 

Com'è noto, John Lennon fotografato fu dunque fotografato con il suo assassino, Mark Chapman mentre firma per lui la copia del disco. 


Sei ore più tardi, esattamente alle 22,51 , John e Yoko stavano rincasando, senza sapere che Chapman era lì da tutto il giorno.

Il ragazzo esplose contro di lui cinque colpi di pistola colpendolo quattro volte (il quinto colpo non andò a segno) mentre esclamava: «Hey, Mr. Lennon». Uno dei proiettili trapassò l'aorta e Lennon fece in tempo a fare ancora qualche passo mormorando «I was shot...» (mi hanno sparato..) prima di cadere al suolo.
Soccorso da una pattuglia di polizia, Lennon perse conoscenza durante la corsa verso il Roosevelt Hospital, dove fu dichiarato morto alle 23.07.


Questa è invece un immagine del portone di accesso del Dakota Building, il palazzo in cui John Lennon risiedeva, nell'Upper West Side a New York e di fronte al quale fu ucciso.  

In questo palazzo, qualche anno prima, tra gli ultimi mesi del 1967 e i primi del 1968, Roman Polanski aveva girato alcune scene del suo film Rosemary's baby:  si notano spesso nel film le ringhiere che circondano il Dakota, decorate con teste di draghi rettiliani.

Come è noto Rosemary's è uno dei più inquietanti lavori della filmografia di Polanski, nel quale la protagonista, interpretata da Mia Farrow scopre di essere incinta e di aver partorito un bambino figlio del diavolo. 

Appena qualche mese dopo l'uscita del film, il 9 agosto del 1969, la compagna di Polanski, l'attrice Sharon Tate fu massacrata insieme ad altre quattro persone nella villa di Bel-air a Beverly Hills, dalla banda di Charles Manson.

Sharon Tate era incinta, all'ottavo mese, a sole due settimane dal  parto. Per un puro caso Polanski non si trovava con lei: era in quei giorni a Londra per la lavorazione di un nuovo film, The Day of the dolphin,

La banda di Manson, dopo il massacro, lasciò numerose scritte tracciate con il sangue sui muri della villa. due (una su di uno specchio e una sulla superficie di un frigo), con il titolo (leggermente storpiato) di una delle canzoni più misteriose dei Beatles: 'Helter Skelter', contenuta nel celebre White Album, che era divenuta una vera ossessione per Manson. E che era firmata da John Lennon.  E il cerchio si chiude.

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 



09/12/13

Esce nell'Orsa Maggiore della Treccani, l'Enciclopedia su Costantino I imperatore.



Da sempre l’Istituto della Enciclopedia Italiana svolge il compito di diffusione del sapere umanistico e scientifico, sia nella prospettiva dello studioso che del semplice lettore desideroso di conoscere. In questa prospettiva, un posto di particolare importanza spetta ad alcune opere tematiche di ampio respiro dedicate dall’Istituto ai maggiori protagonisti della storia e della cultura italiana nella collana “Orsa Maggiore”: Virgilio, Orazio, Dante, Federico II, a ciascuno dei quali è stata dedicata un’opera in più volumi. 

In “Orsa Maggiore” si inserisce, in occasione del diciassettesimo centenario dell’editto di Milano (313 d.C.), l’Enciclopedia Costantiniana in tre grandi volumi, che l’Istituto Treccani ha realizzato in collaborazione con la Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII, sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, con l’autorevole e prestigiosa direzione scientifica di Alberto Melloni, Peter Brown, Johannes Helmrath, Emanuela Prinzivalli, Silvia Ronchey e Norman Tanner, e un Comitato d’onore che comprende S.S. Bartholomeus I, Arcivescovo di Costantinopoli, Nuova Roma e Patriarca Ecumenico e S.Em. Angelo Scola, Cardinale Arcivescovo di Milano.

Alberto Melloni - Storico della Chiesa italiano. Professore di Storia del Cristianesimo all’Università di Modena-Reggio Emilia, titolare della cattedra Unesco sul Pluralismo Religioso e la Pace dell’Università di Bologna e direttore della Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII di Bologna. 

Peter Brown - Storico irlandese della cultura tardo-antica, professore di storia alle università di Londra , di Berkeley e dal 1986 di Princeton. Nel 2011 è stato insignito del Premio Balzan per il suo contributo allo studio dell'epoca tardoantica.

Johannes Helmrath – Professore di Storia medievale presso la Humboldt-Universität di Berlino e membro del Comitato pontificio di scienze storiche presso la città del vaticano. Angelo Scola - Ecclesiastico italiano. Dal 2002 patriarca di Venezia, nel 2003 è stato creato cardinale da Giovanni Paolo II; nel giugno 2011 è stato nominato arcivescovo di Milano da Benedetto XVI, succedendo nella cattedra a D. Tettamanzi.

Un imponente affresco su un’intera epoca
L’opera contiene una presentazione ad ampio spettro di ogni aspetto legato alla figura di Costantino I, che, con l’editto, unì per sempre al suo nome il concetto di libertà religiosa e la neutralità dello stato in materia religiosa.
Nei tre volumi si trovano la biografia dell’imperatore romano e la costruzione della sua immagine, la discussione critica e la riproposta, nelle epoche successive, del modello costantiniano. 150 autori studiosi di fama internazionale, scrivono i saggi che contribuiscono a delineare un quadro organico e costituiscono una tappa fondamentale nella storia degli studi e della riflessione su Costantino il Grande, con un bilancio critico ma anche con l’apertura di nuovi percorsi di ricerca. L’Enciclopedia Costantiniana è divisa in sei ambiti tematici, a partire dall’analisi della figura dell’imperatore nel contesto del suo secolo: la vita, la religiosità, le scelte politiche, le realizzazioni architettoniche e urbanistiche, le testimonianze iconografiche ed epigrafiche, la rappresentazione del potere. La prospettiva si allarga poi al contesto storico dell’operato di Costantino: un affresco di ampio respiro, nel quale un’intera epoca è ripercorsa con attenzione ai diversi ambiti della geografia, dell’amministrazione, del diritto, della filosofia e soprattutto della religiosità. Grande spazio è riservato alla storia del cristianesimo prima e dopo Costantino. Un grande dibattito storiografico
Le altre quattro grandi aree tematiche sono dedicate alla formazione dell’immagine di Costantino tra IV e VI secolo attraverso l’opera dei panegiristi e dei biografi, nella letteratura patristica e monastica, nell’iconografia, nella riflessione giuridica e storiografica. Segue la storia del mito di Costantino nell’Europa medievale e nell’Oriente bizantino, mentre nella sezione dedicata all’Europa moderna è studiata la figura dell’imperatore dall’Umanesimo alla Riforma e alla Controriforma, fino all’Illuminismo e alla storiografia dell’Ottocento. Grande rilievo ha anche l’ultima parte dedicata al Novecento, con riferimento al grande dibattito storiografico, alla riflessione teologica e ancora alla fortuna di Costantino nel pensiero giuridico e politico, fino ad arrivare alla letteratura, al cinema e alla televisione.

CARATTERISTICHE DELL'OPERA Edizione limitata e numerata in 2.999 copie 3 volumi di circa 1000 pagine oltre 150 saggi 6 sezioni tematiche 500 illustrazioni Legatura in tutta pelle trattata in fossa della Conceria 800 Ciascun volume è custodito in un cofanetto foderato in moirè

07/12/13

Dubbi - di Fabrizio Falconi





Dubbi


Nel buio avanzano i dubbi,
li vedi arrivare come cosacchi ebbri
lungo le discese innevate
sui loro cavalli assetati,

nel buio senti le grida
vedi le scintille dei fuochi
e delle spade, s’arresta il cuore,
non sa più andare avanti,

resta sospeso nella muta rotta
degli eventi, non capisce
che non è più tempo
di aspettare.

Quaesivi et non inveni,
allunghi le braccia
sul lenzuolo immacolato:


si cerca per questo, perché non si è trovato.



ottobre 2010

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 
(foto in testa:  Gideon Ansell,  Doubts)  

06/12/13

Guardare come se fosse la prima volta. Krishnamurti.




Quindi, ci addentriamo ora nell’indagare che cosa significa osservare senza osservatore.

Perché l’osservatore è il passato, è il terreno del conosciuto, perché è il risultato della conoscenza e quindi dell’esperienza e così via. 

Esiste un’osservazione senza osservatore, che è il passato? 

Posso guardarvi, guardare mia moglie, i miei amici, i miei vicini, senza le immagini che ho costruito nella relazione? 
Posso guardarti senza che tutto ciò si metta tra noi? E possibile? Mi hai ferito, hai detto delle cose molto spiacevoli sul mio conto, hai diffuso voci scandalose su di me. Posso guardarti senza trattenere tutto ciò nella memoria? 
Il che significa, posso guardarti senza che il pensiero intervenga a ricordarmi gli insulti, le ferite, oppure i complimenti? 
Posso guardare quell’albero senza la conoscenza dell’albero? 
Posso ascoltare il suono del fiume che scorre senza dargli un nome o riconoscerlo, ma semplicemente, ascoltare la bellezza del suono? 
Potete farlo? 
Forse potete ascoltare il fiume, riuscite a osservare le montagne senza alcuna premeditazione, ma riuscite a guardare voi stessi, con tutto il bagaglio conscio e inconscio, guardarvi con occhi che non sono mai stati toccati dal passato? 
Avete mai provato? 

Scusate, non avrei dovuto dire “provato”: provare è sbagliato. L’avete mai fatto? Avete mai guardato vostra moglie, la vostra fidanzata, il vostro fidanzato, o chiunque sia, senza un singolo ricordo del passato? Se lo farete, scoprirete che il pensiero è ripetitivo, meccanico, e le relazioni non lo sono, quindi scoprirete che l’amore non è il prodotto del pensiero. Per questo non esiste un amore divino o un amore umano, esiste solo l’amore.


Tratto da Sulla mente e il pensiero, di Jiddu Krishnamurti, Titolo originale dell’opera On mind and thought (Harper, San Francisco) Traduzione di Andrea Anastasio, Krishnamurti Foundation Trust Ltd. and Krishnamurti Foundation of America 2004, Astrolabio Ubaldini Editore, Roma

04/12/13

Papa Francesco - Non abbiate paura della tenerezza .




Ho curato per l'editore Newton Compton questo volume: Non abbiate paura della tenerezza, in uscita domani in tutte le librerie. 

E' una raccolta delle omelie di Papa Francesco dal giorno del suo insediamento al soglio pontificio.

Riporto qui la bandella:

Le parole del papa che sta cambiando la Chiesa di Roma A cura di Fabrizio Falconi È bastato poco perché papa Francesco diventasse popolare, e la chiave del suo successo è in buona misura legata alle sue omelie, spesso pronunciate a braccio. Omelie nelle quali il papa, con l’umiltà che lo contraddistingue, espone pensieri e concetti comprensibili a tutti: l’odio, l’invidia e la superbia sporcano la terra, la bontà e la tenerezza non devono fare paura. Se nel nostro cuore non albergano la misericordia e la gioia del perdono, non siamo in comunione con Dio. Osservare solo i precetti della Chiesa non basta: è l’amore che salva. Questo libro raccoglie le parole del papa dai giorni immediatamente successivi alla sua elezione al Soglio pontificio, fino a oggi. Una testimonianza diretta di un nuovo modo di intendere la missione che lo attende e di una diversa via per arrivare al cuore dei fedeli. Molte sono ormai, dopo neppure un anno di pontificato, le parole di papa Francesco che hanno fatto innamorare i fedeli di questo uomo semplice, profondo e vicino alle persone in modo toccante. Questo libro racconta, attraverso le sue omelie, qual è la strada che papa Francesco ci indica, quali siano gli insegnamenti da fare nostri in questo lungo e meraviglioso cammino che è la vita terrena.


03/12/13

"Una volta nella vita, l'impensabile capita a tutti" - Andrew Sean Greer presenta 'Le vite impossibili di Greta Wells'.




"In quale epoca e luogo e' stato facile essere donna?" si domanda Greta Wells che, con le sue "vite impossibili", e' protagonista del nuovo romanzo - appena uscito anche in Italia per Bompiani - di Andrew Sean Greer, l'autore di 'La storia di un matrimonio'. Un viaggio nel tempo che e' una scoperta di un se' frastagliato, quello della rossa Greta, che si ritrova trasportata nelle vite che avrebbe potuto vivere se fosse nata in epoche diverse.

L'originale e' la donna del 1985, che passa un momento di forte depressione dopo la morte per Aids del gemello gay Felix e l'abbandono del compagno di una vita, Nathan. E' lei, con la sua scelta di affrontare un 'trattamento elettroconvulsante', a dar vita a una girandola temporale che la porta a dislocarsi nel 1918, dove e' un'adultera bohemienne, in attesa del ritorno del marito medico Nathan dalla guerra, e nel 1941, dove si scopre moglie (sempre di Nathan ovviamente) e madre devota.

Motore dell'azione, il dolore della perdita: "Volevo scrivere un libro pieno di speranza e per farlo forse dovevo cominciare da un lutto perché - riflette - ciò che provoca cambiamenti di vita e' una rottura, la sensazione che non vuoi più essere te stesso e vivere nel tuo mondo". 

A fare compagnia a Greta nella ricerca di un "mondo vivibile" l'eccentrica e semialcolizzata zia Ruth, il giovane amante Leo, il gemello gay e il suo compagno Alan, i cui ruoli cambiano a seconda dell'epoca storica perche' - scrive Greer - "con grande tristezza, vedevo tante persone nate nell'epoca sbagliata per essere felici". 

"A me piacerebbe essere nato all'inizio del Novecento, il periodo della nascita artistica dell'America, ma come gay - osserva lo scrittore, camicia tie and dye griffata, occhi azzurri limpidi e sorriso coinvolgente - non avrei avuto vita facile: questo libro mi ha convinto a vivere nel presente, perché non si puo' idealizzare il passato. Forse poi tra quarant'anni nessuno si chiederà più perché sei gay, ma accetto anche questo momento, mentre penso che per le donne ci vorrà piu' tempo".

Nonostante le dislocazioni temporali, infatti, Greta nella sua ricerca d'amore si trova sempre a dover scegliere se essere "zitella, moglie o puttana", alternative che "oggi non sono diverse, solo che le donne - riflette - sembrano più disposte a essere provocanti come Miley Cirus che intelligenti e coraggiose come Hillary Clinton, ma questa e' la vostra sfida: essere il genere di donna che gli uomini odiano, che vogliono abbattere". 

La sua Greta, che ha la possibilita' di scegliere, spezza il cerchio scoprendo che il mondo perfetto e' quello "in cui sei necessario", ma la sua "non e' una scelta passiva, perché ogni alternativa era valida, ma solo la decisione - spiega Greer, pregando di non rivelare il finale del libro - di essere piu' vicina ai suoi cari". Come ha fatto lui, che vive a San Francisco insieme al marito, e ha come vicino di casa il suo gemello, cui e' legato da un rapporto simbiotico come quello che unisce Greta e Felix, "tanto che - rivela - c'e' qualcosa di me in ognuno dei due".

E una precisa profezia: "una volta nella vita, l'impensabile capita a tutti", è anche il folgorante incipit del romanzo e forse, il motto stesso della vita di A.S.Greer.  


02/12/13

Vivere insieme è un'arte (Solstizio d'estate - Arab Strap - Soaps).




À la verticale de l'été è un film girato dal regista vietnamita Tran Anh Hung (Il Profumo della Papaya verde, Ciclo, Norvegian Wood) e uscito in Italia dopo aver fatto parte della selezione ufficiale del festival di Cannes di quell'anno, nel 2000, con il titolo Solstizio d'estate una splendida colonna sonora in cui brani di Lou Reed e Arab Strap si alternano a musiche originali.

E' un film molto strano, fatto di pochissime parole: ad Hanoi tre sorelle si incontrano per celebrare l'anniversario della morte della madre. 
Apparentemente molto unite tra di loro, durante la giornata, che scorre serena, nessuna apre il cuore per svelare il proprio segreto alle altre. 
Soltanto parecchio tempo dopo questo incontro, ognuna delle tre sorelle riuscirà a comunicare all'altra tutto quello che la vergogna e la delicatezza delle relazioni familiari avevano tenuto finora nascosto.

La incapacità di rivelare il proprio mondo interiore si unisce alla poesia che si vive, che è la vita stessa. 

Sembra risuonare nell'accompagnamento del ricordo di questo film il pensiero di Thích Nhất Hạnh, il grande monaco zen e poeta vietnamita:

Com'è fresco il soffio del vento .. E fa gioioso il sentiero senza fine. La nostra vera casa è "l'ora". Vivere l'istante presente è un miracolo. Mi piace molto ascoltare la pioggia, è un suono bellissimo. Non bisogna perdersi nel passato né nel futuro. Il solo momento in cui si è vivi o in cui si può toccare la vita, è il momento presente, qui e ora. E vivere insieme è un'arte.


01/12/13

Misteri e segreti dei rioni e dei quartieri di Roma - dal 5 dicembre in libreria.






Dal 5 dicembre sarà in libreria Misteri e segreti dei rioni e dei quartieri di Roma, che ho scritto per l'editore Newton Compton.  

Si tratta di un volume (416 pagine) nel quale ho raccontato le storie poco conosciute su molti luoghi di Roma, frutto del mio lavoro personale di ricerca degli ultimi anni (parte di questo materiale è il frutto degli articoli pubblicati nel tempo su questo e su altri blog). 

Qui sotto trovate l'indice dei luoghi che ho trattato nel libro, nella divisione per gli antichi ventidue rioni di Roma e dei quartieri periferici. 


I – Monti

1. Il sacello della Papessa Giovanna
2. L’antichissimo ritratto del Salvatore nel mosaico della Basilica di San Giovanni in Laterano.
3. Villa Aldobrandini, la Villa nascosta e il dipinto più bello del mondo
4. Il Quadrato Magico e il palindromo nei sotterranei di Santa Maria Maggiore.
5. L’immagine acheropita conservata nel Sancta Sanctorum della Scala Santa al Laterano e il Velo di Camulia.
6. La Torre delle Milizie, la più alta di Roma.
7. La Chiesa dei Santi Silvestro e Martino ai Monti, e i Papi morti di morte violenta.

II- Trevi

1. La testa di San Giovanni Battista nella chiesa di San Silvestro in Capite in Piazza San Lorenzo.
2. La strana storia del Vicolo Scannabecchi
3. Il palazzo Mengarini al Quirinale e la leggenda dell’avvocato Agnelli
4. La  basilica dei Santi Apostoli, le reliquie di Filippo e Giacomo, le più sicure della cristianità.
5. L’Asso di coppe nella Fontana di Trevi.
6. Il palazzo Maccarani – Brazzà, dove nacque il più grande esploratore italiano.
7. Palazzo Barberini e il prodigio del sole nell’uovo.