22/10/14

I numeri come archetipi e l'Anima. 1. La matematica è stata scoperta o inventata ? (Conferenza Riva del Garda, L'arte di Essere, 19 ottobre 2014)




1. LA MATEMATICA E’ STATA SCOPERTA O E’ STATA INVENTATA ?

Iniziamo da una domanda:

- La matematica è stata scoperta o è stata inventata ?

C’è una bella differenza, se soltanto ci pensiamo. Le cose cambiano se si afferma che la matematica esiste già – che è nelle cose – e l’uomo la può soltanto scoprire, nell’universo, nel mondo, ecc..; o se si afferma piuttosto che la matematica è solo una astrazione umana, qualcosa che non è nelle cose, ma che l’uomo usa per cercare di comprendere il mondo.
Eppure più andiamo avanti con le nostre conoscenze, più ci appare evidente che il mondo e l'universo che tutto contiene, comprese le nostre vite, si fondano su principi matematici. La matematica è infatti anche alla base della nostra vita biologica. Tutto dunque, dall’enormemente grande all’enormemente piccolo, sembra ridursi a questo, sembra rispettare poche fondamentali leggi matematiche: e anche la nostra mente sembra essere predisposta per leggere secondo criteri matematici.
Ma ammesso che sia così, da dove deriva tutto questo, e perché esiste ?
Ecco un brano di una intervista rilasciata poco tempo fa da Giandomenico Boffi, ordinario di algebra all'Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT) e considerato uno dei più esperti matematici italiani. Ci servirà per partire nella nostra indagine:

Che la matematica sia pura creazione della mente è un fatto largamente condiviso. 
Desta perciò meraviglia l'eccezionale efficacia che questa scienza ha dimostrato nel consentire da un lato l'interpretazione della realtà e dall'altra l'intervento concreto, anche tecnologico, su di essa. 
La matematica è una delle poche cose universali che noi sperimentiamo, e già questo è sorprendente. 
Lo è ancora di più il fatto che l'universo risponde in qualche modo alle nostre sollecitazioni basate sugli strumenti matematici. 
Da questa attività creativa dell'uomo emerge quasi un potere predittivo nei confronti della realtà, che è alquanto sconcertante. 
Nella misura in cui non si è ancora riusciti a giustificare l'indubbia consonanza verificabile tra una creazione della nostra mente, la matematica, e una realtà data a prescindere da noi, diventa legittimo ipotizzare l'esistenza di un Ente superiore intelligente che si pone alla radice tanto della realtà che ci circonda, quanto della nostra stessa mente. 
Il dato fondamentale è che esiste in qualche modo una sintonia tra la mente e la realtà esterna alla mente, sintonia che si spiega bene con l'esistenza di qualcosa che sta sopra e unifica. (1)

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata (1/ segue) 

Note: 1.  Matematica e mistero intervista a Gindomenico Boffi di Antonio Giorgi, Avvenire, 22.11.2006.

21/10/14

Essere maturi - Shakespeare e "Il giovane Holden".


Fanny e Alexander (Ingmar Bergman, 1982)


Che significa essere pronti ?

Che significa essere maturi ? Significa non essere perennemente incompiuti, insoddisfatti, bisognosi, fragili, incerti, oscillanti come canne al vento. In fondo, per tutta la vita, combattiamo contro le nostre stesse debolezze, alla ricerca di qualcosa che ci dia stabilità e ci faccia crescere.

Ma che significa: 'crescere ?'

Ripeness is all scriveva William Shakespeare, in uno dei suoi drammi più efferati e più alti, King Lear.

Se i malvagi non trionfano alla fine del dramma, la bontà comunque è caduta vittima delle loro trame, sicché la sola morale che resta è quella contenuta nelle parole di Edgardo al padre cieco e disperato: Gli uomini debbono pazientare per uscir di questo mondo come per entrarvi: tutto sta d'esser pronti (Men must endure Their going hence, even as their coming hither: Ripeness is all: V, sc. 2).

Essere pronti, o più metaforicamente, essere maturi.

Ma cosa vuol dire questa maturità? Oggi molti sono convinti che essere maturi significhi essere noiosi, e che invece essere fighi,  significhi fare quel che si vuole.

Ma, in un romanzo cult di intere generazioni di ribelli veri (non come i molti sembianti di oggi, che poco o nulla hanno di ribelle), c'è la risposta assai chiara. 

E' Il Giovane Holden, di Salinger. 

Alla fine del romanzo, il professor Antolini al confuso Holden in cerca, nonostante tutto, di dialogo con gli adulti intelligenti dice:
Ciò che distingue l'uomo immaturo è che vuole morire nobilmente per una causa, mentre ciò che distingue l'uomo maturo è che vuole umilmente vivere per essa.

Fabrizio Falconi.

17/10/14

Handke: "Modiano è un grande scrittore, ma aboliamo il Nobel."



Lo scrittore austriaco residente a Parigi, Peter Handke, ha dispensato grandi lodi al collega francese Patrick Modiano, insignito quest'anno del Nobel per la letteratura, criticando pero' il prestigioso premio letterario e proponendo anzi di abolirlo.

"Modiano e' davvero un autore notevole con un'opera unica", ma il riconoscimento, con la sua "falsa canonizzazione" della letteratura, non porta nulla di buono: "il Premio Nobel andrebbe finalmente abolito", ha detto Handke in dichiarazioni all'agenzia austriaca Apa. 

Secondo il 71/enne scrittore austriaco, autore di capolavori come i romanzi', Breve lettera del lungo addio, Infelicita' senza desideri, il Nobel porta "un momento di attenzione, sei pagine nel giornale", ma per la lettura non porta nulla. 

Handke ha ammesso che l'essere stato lui stesso quest'anno nella rosa dei candidati al Nobel, non lo ha lasciato indifferente: "certo che ti prende, ti infastidisce, e allora ti infastidisci con te stesso perché ci pensi: è una cosa così indegna e al contempo si diventa per un po' se stessi indegni". 

Handke aveva scoperto e presentato al pubblico tedesco Modiano negli anni '80 e tradotto fra l'altro in tedesco anche il suo romanzo 'Una gioventù". Modiano scrive quello che ha in mente e il risultato continua poi a librarsi, ha spiegato: "in molti autori dopo non si libra nulla". 

A differenza dell'ultimo Nobel francese, Jean-Marie Gustave Le Clezio, Modiano e' davvero un bravo scrittore: "questa e' una cosa molto rara".

16/10/14

Morto Giovanni Reale. Una delle ultime interviste.



E' morto ieri nella sua casa di Luino (Varese), a 83 anni, uno dei più grandi filosofi italiani, Giovanni Reale.
Nato a Candia Lomellina nel 1931, il filosofo si e' formato presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove in seguito e' stato a lungo ordinario di Storia della Filosofia Antica e ha anche fondato il Centro di Ricerche di Metafisica. Nel 2005 era passato a insegnare alla nuova facolta' di Filosofia del San Raffaele di Milano.

Professore, come si è avvicinato alla filosofia?
Giovanni Reale: Dirò subito che la mia vita è stata tutta contro corrente. Vengo da una famiglia di contadini, proprietari di una piccolissima azienda agricola, in un paese della Lomellina dove lo studio era considerato assurdo. Io, invece, dopo la terza media dissi in famiglia che volevo fare il liceo classico. Mi risposero chiedendomi se fossi pazzo e dicendomi che al massimo mi avrebbero concesso gli studi di ragioneria. Esisteva ai tempi un pregiudizio di carattere sociale secondo cui il liceo poteva essere frequentato solo dal figlio di un borghese. Per un motivo misterioso riuscii però a iscrivermi al ginnasio ingannando tutti, e trovandomi subito tra i primi della classe, suscitando lo stupore di Casale Monferrato. Alla fine della seconda liceo mi fecero una proposta di viaggio intorno al mondo, iniziativa che riservavano a chi aveva ottimi voti. Al preside risposi di no, nonostante tutte le sue promesse di aiuto con lo studio e gli impegni scolastici. Mi tolse il saluto.
Al liceo ebbi subito un attrattiva forte per la filosofia, tanto che dopo la maturità dissi che a me interessava pensare, girare il mondo e vedere non come gli uomini avevano costruito le loro città ma come si differenziavano per il loro pensiero. Scelsi quindi la filosofia e mi iscrissi all’Università Cattolica, con la ferma intenzione di diventare professore di filosofia e insegnare nel liceo dove avevo studiato. Il giorno dopo la laurea il mio professore mi invitò a casa sua e mi disse che sarei dovuto andare in Germania quattro anni per imparare bene il metodo e portare la filosofia antica in Italia, nel modo in cui la studiavano i tedeschi. Chiesi perché non la filosofia contemporanea o quella moderna, che allora preferivo, ma lui rispose che volevano tornare ai classici, aggiungendo questa frase: “La divina Provvidenza ci propone delle cose che non sono quasi mai coincidenti con i nostri desideri, e in questo momento parla attraverso di me”. Quando accettai egli rincarò la dose, dicendo: “Riportaci in piazza Sant’Ambrogio quanta più Atene ti è possibile”. In questo modo imparai alcune lezioni particolari.
Erano gli anni dal ’54 in poi e i tedeschi allora ci odiavano, ma essendo laureato avevo l’onore di sedere al tavolo dei professori. Dopo qualche mese di cortese ostilità e dopo parecchi interrogatori di quarto grado, il professore capo mi diede le chiavi per entrare nella biblioteca anche di sera. Imparai così a trattare con i tedeschi. Francesco Olgiati mi disse un giorno che non mi avrebbe potuto aiutare ai concorsi universitari. Per vincere avrei dovuto fare il triplo o il quadruplo degli altri; soltanto allora le mie opere e la Provvidenza mi avrebbero potuto aiutare. A casa mia però il lavoro era sacro, così come l’amore dato al prossimo senza aspettarsi un ritorno. Questo mi aiutò moltissimo. Nonostante gli studi sulla filosofia antica, non dimenticai mai la moderna e la contemporanea, che amavo. Prima che mi recassi in Germania, per imparare quel metodo che mancava in Italia, sempre Olgiati mi fece un grande complimento dicendomi: “Quando tornerai, se ti faranno delle critiche, anche se sarò io a fartele, tu non ascoltare”.
Imparai in quegli anni di studio una cosa fondamentale per lo scienziato: l’onestà della ricerca. Quando si studia un autore bisogna prima cercare di capirlo: capire che cosa ha detto, come l’ha detto e perché l’ha detto. Soltanto dopo aver esaurito questi indispensabili punti ci si può schierare, dandogli ragione o torto. Gli antichisti a quel tempo erano quasi tutti marxisti e a causa della mia formazione cattolica e della mia fede, mi accusavano di non poter essere uno scienziato. Lo scienziato deve trattare le idee in vitro, in modo indifferente. Mi è sempre piaciuto avere avversari intelligenti perché mi insegnavano, dialetticamente, a trovare la verità. Sapete dove è stato il successo più grande del Reale-Antiseri? in Russia. E sapete chi ha dato il giudizio più entusiasta e positivo? La moglie di Gorbaciov, professoressa di filosofia. Il testo, che era vietato dal partito comunista, ebbe un enorme successo in Russia, tanto che insignirono me e Antiseri del titolo Professor honoris causa. Il complimento più bello fu quando ci dissero: “Ci avete insegnato cos’è la democrazia nel pensiero filosofico greco”. Essi infatti non potevano trattare altro che il pensiero filosofico di Marx.
Io ho fatto filosofia perché, imparando al liceo il pensiero dei grandi filosofi, mi ha molto interessato il fatto che l’uomo abbia un’intelligenza così grande, sia in positivo che in negativo. Nessuno può chiedere alla filosofia di dargli la verità assoluta, perché l’uomo è homo viator, uomo in viaggio, alla ricerca della Verità. Gli antichi infatti la chiamarono non σοφία, ma φιλοσοφία. Platone disse σοφός è Dio e io non sono σοφός, sono φιλοσοφός, ricercatore di verità. Se fossimo capaci di insegnare questo ai giovani sarebbe un’occasione di crescita non solo per loro, ma anche per noi. Molti oggi dicono: “Quello che penso io è la verità”. Invece non è così: essi ricercano la verità, non la possiedono.
Perché insegno ancora, a ottant’anni compiuti? Perché credo nei giovani. Il futuro non è il vecchio, ma il giovane. Il vecchio è per il giovane, in questo senso dinamico. La filosofia è questo: ricerca della verità, con tutte le fatiche che essa impone. Platone, il mio filosofo preferito, scrittore di capolavori assoluti, è tuttora il più venduto al mondo e mi ha insegnato la cosa più bella. Egli ha rivoluzionato il sapere umano, sostenendo che le verità si devono scrivere nella mente dell’uomo e non sui rotoli di carta. È questa l’idea di scuola. Alcuni anni fa il provveditore agli studi di Palermo mi invitò a un corso di aggiornamento dei presidi di tutte le scuole. Essi mi dissero questo: “Professore, se noi riuscissimo a far capire alla gente che l’insegnante scrive nell’animo degli uomini, ridaremmo a quella figura una dignità che la cultura contemporanea ha perso.”

15/10/14

Senza autunno.





Come questo tempo fisso e permanente, la vita scandisce un cerchio che si assottiglia, pur rimanendo uguale all'apparenza. 

Ogni giorno si accorcia, ogni nube si sfila nel cielo biancastro senza confini. Nemmeno un confine c'è in questi pensieri, che ritornano sempre uguali e non si annacquano, ma si ripetono ossessivamente come i giorni.  

L'allontanamento dello sguardo è la cura, il cambio di prospettiva da sotto a sopra. Da sopra a sotto. Solo nella prospettiva dei millenni anche questo cambiamento ti apparirà sensato. La fine dell'autunno, la morte apparente, la vita perpetua l'ignoto e il certo, l'assecondato e il devoto, l'ostile e il perduto.

Calma di vento o tempesta, il tuo respiro è in questo tempo disteso e arrovellato, minaccioso o finale. 
Tutto passa niente resta, tutto resta niente passa.

Fabrizio Falconi

13/10/14

Memling a Roma. Una mostra preziosa.



Per la prima volta in Italia una grande rassegna dedicata ad Hans Memling, l'artista che nella seconda metà del Quattrocento, dopo la morte di Rogier van der Weyden sotto cui si era formato, divenne il pittore più importante di Bruges, cuore finanziario delle Fiandre e centro di produzione artistica tra i più avanzati dell'area fiamminga. 

Una monografica mai prima realizzata nel nostro Paese che mette in luce le eccelse qualità di uno dei protagonisti del Rinascimento fiammingo. 

La mostra prende in esame ogni aspetto della sua opera, dalle pale d'altare monumentali ai piccoli trittici portatili, oltre ai celeberrimi ritratti, genere in cui Memling seppe perfezionare lo schema campito su uno sfondo di paesaggio, che esercitò una fortissima seduzione anche presso numerosi artisti italiani del primo Cinquecento. 

La mostra si propone inoltre di approfondire le forme di mecenatismo che fecero da propulsore per la carriera dell'artista. Più di tutti i suoi contemporanei, 

Memling divenne il pittore preferito della potente comunità di mercanti e agenti commerciali italiani a Bruges, diventando l'erede dei venerati maestri fiamminghi ormai scomparsi, Jan Van Eyck e Rogier van der Weyden. 

Fin dall'inizio della sua attività indipendente come pittore di tavole, Memling riuscì a creare una sintesi dei notevoli risultati di entrambi quei maestri, già tenuti nella più alta considerazione dalla nobiltà italiana e dalle élite urbane che ne fecero il loro pittore di riferimento. 

 Oltre a capolavori di arte religiosa provenienti dai più importanti musei del mondo, tra cui dittici e trittici ricomposti per la prima volta in occasione della mostra come il Trittico Pagagnotti (Firenze, Uffizi; Londra, National Gallery), il Trittico di Jan Crabbe (Vicenza, Museo civico; New York, Morgan Library; Bruges, Groeningemuseum) o il monumentale Trittico della famiglia Moreel (Bruges, Groeningemuseum) che farà da spettacolare conclusione del percorso espositivo, la mostra presenterà una magnifica serie di ritratti tra cui Ritratto di giovane dalle Gallerie dell'Accademia di Venezia, il Ritratto di uomo dalla Royal Collection di Londra - un prestito eccezionale della Regina Elisabetta II -, Ritratto femminile di collezione privata americana, il Ritratto di uomo della Frick Collection di New York nonché il magnifico Ritratto di uomo con moneta romana (ritenuto l'effigie dell'umanista Bernardo Bembo) proveniente da Anversa. 



Memling. Rinascimento fiammingo.
da sabato 11 ottobre a domenica 18 gennaio Scuderie del Quirinale 11 ottobre 2014 – 18 gennaio 2015

12/10/14

Poesia della Domenica - "Nuit de l'enfer" di Artur Rimbaud




Muoio di sete, soffoco non posso gridare. E' l'inferno, la pena eterna ! (...)
Qui c'è vergogna, qui c'è rimprovero: Satana dice che il fuoco è ignobile, che la mia collera è talmente sciocca.
- Basta!... con gli errori suggeriti dagli altri, magie, falsi profumi, musiche purerili.
- E dire che ho in mano la verità, che vedo la giustizia: il mio giudizio è sano e sicuro, sono pronto per la perfezione (...)
Le allucinazioni sono innumerevoli. Proprio quello che ho sempre avuto: più nessuna fiducia nella storia, dimenticare i princìpi (...)
Questa poi ! L'orologio della vita si è fermato poco fa. Non sono più al mondo.
- La teologia è seria, sicuramente l'inferno sta in basso - e il cielo in alto .
Estasi, incubo, sonno in un nido in fiamme. (...)
Fra poco svelerò tutti i misteri: misteri religiosi e naturali, morte, nascita, avvenire, passato, cosmogonia, niente. Sono maestro di fantasmagorie (...)
Su fidatevi di me, la fede rincuore, guida, guarisce.  Venite tutti - anche i fanciulli - che io vi consoli, che per voi effonda il suo cuore, - il cuore meraviglioso! (...)
Muoio di spossatezza. E' la tomba, me ne vado ai vermi, orrido dell'orrido ! Satana, burlone, tu vorresti dissolvermi, con i tuoi sortilegi. (...)
Mio Dio, pietà, nascondetemi, io mi comporto troppo male ! - Sono nascosto e non lo sono. E' il fuoco che si ravviva con il suo dannato.


da Saison en enfer, Arthur Rimbaud, 1873.


11/10/14

Vita oltre la morte: un recente studio da Southampton University.

Wings of Desire (Der Himmel über Berlin) Wim Wenders, 1987

Riporto questo articolo pubblicato da Corriere.it (Emanuela Di Pasqua) sul recente studio riguardo l'oltremorte realizzato dalla Southampton University.

La possibilità che la vita si estenda oltre l’ultimo respiro è una materia che è stata trattata ampiamente, spesso giudicata con aperto scetticismo. Le esperienze riportate dalle persone così fortunate da poterle raccontare sono state generalmente spiegate come allucinazioni dovute alla grave condizione psicofisica. 

È di questi giorni però la pubblicazione di uno studio inglese che comproverebbe il mantenimento di un certo grado di coscienza da parte di persone in arresto cardiaco. 

Per quattro anni i ricercatori della Southampton University hanno esaminato i casi di 2.060 persone, tutte vittime di arresto cardiaco, in 15 ospedali sparsi tra la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l’Austria. 

Secondo i dati in possesso degli studiosi inglesi, circa il 40 per cento dei sopravvissuti ha descritto esperienze coscienti provate mentre il loro cuore aveva smesso di battere. 

In cifre, dei 330 scampati alla morte 140 hanno raccontato di essere rimasti parzialmente coscienti durante la rianimazione. 

Singolare il caso di un assistente sociale cinquantasettenne di Southampton che ha raccontato di avere lasciato il proprio corpo e di avere assistito alle procedure di rianimazione dello staff medico da un angolo della stanza nella quale era ricoverato. 

L’uomo, benché il suo cuore si fosse fermato per tre minuti, ha raccontato nei dettagli le azioni dei medici e degli infermieri e ha ricordato anche i suoni delle apparecchiature mediche. 

Il particolare che ha attirato l’attenzione dei ricercatori è stato che l’uomo ricordava i beep emessi da un particolare apparecchio, programmato per emettere segnali sonori ogni tre minuti

«Quell’uomo ha descritto tutto quello che è avvenuto in quella stanza - ha dichiarato Sam Parnia, direttore della ricerca -, ma la cosa più importante è che si è ricordato di aver udito due beep. Questo ci permette di comprendere quanto è durata la sua esperienza». 

Le altre testimonianze tendono a essere piuttosto uniformi nel loro contenuto. 

Un paziente su cinque ha sperimentato un inusuale senso di pace e circa un terzo dei 330 sopravvissuti ha assistito a un rallentamento o a una accelerazione del tempo. 

Alcuni hanno rammentato una forte luce simile a un flash o a un sole splendente, mentre altri hanno raccontato di una sensazione di paura di affogare e venire trascinati in acque profonde. 

Infine, il 13 per cento di coloro che sono stati rianimati ha ricordato delle esperienze extracorporee e un aumento delle percezioni sensoriali. 

Sam Parnia è uno specialista in anestesia e rianimazione, attualmente primario del reparto di Terapia intensiva e direttore del dipartimento di ricerca sulla Rianimazione presso la Scuola di Medicina della Stony Brook University di New York.

È considerato uno dei massimi esperti mondiali nel campo della morte, del rapporto mente-cervello e delle esperienze ai confini della morte. 

Dal 2008 Parnia fa parte del progetto AWARE, uno studio internazionale promosso da Human Consciousness Project al quale hanno aderito venticinque ospedali tra Europa e Nord America. 

Lo scopo del progetto è quello di verificare se le percezioni riportate da pazienti che hanno superato un arresto cardiaco possono essere provate.

10/10/14

L'importanza dei dettagli . Anna Karenina e lo svelamento del mondo.





Non si finisce mai di stupirsi della qualità di Tolstoj e della sua narrazione. 

Anna Karenina è, come si sa, un romanzo unico, totalizzante. Un romanzo-universo, dentro cui l'esplorazione dell'animo umano raggiunge vertici di profondità assoluti. 

George Steiner rievoca, in Tolstoj o Dostoevskij (il suo capitale saggio del 1959), la capacità di Tolstoj di definire con un solo tocco o pennellata, con un solo dettaglio il sentimento umano, anche quello più inconfessabile. 

E' la scena in cui Anna, fa ritorno a casa a Pietroburgo dopo il primo incontro con Vronskij che l'ha seguita e in treno nel mezzo di una tempesta di neve le ha confessato la sua passione. 

Ad Anna, scrive Tolstoj "Tutto l'orrore della tormenta parve adesso ancora più magnifico. Egli aveva detto la stessa cosa che l'anima di lei desiderava, e di cui però essa aveva paura con la ragione."

Il treno finalmente arriva a Pietroburgo.

Anna scorge subito il marito, Aleksej Aleksandrovic Karenin, venuta a prenderla al binario.

" 'Ah, Dio mio! Perché gli sono venute quelle orecchie?', pensò (Anna) guardando la sua figura fredda e rappresentativa, e specialmente le cartilagini delle orecchie, che ora l'avevano colpita e che sostenevano le falde del cappello. "

E' solo una frase. Tre righe. Eppure è l'inizio del mutamento di Anna, il segno che per lei da questo momento tutto è veramente cambiato. Il mondo, dopo la rivelazione di ciò che ha sentito, al momento della dichiarazione di Vronskij, non può essere più lo stesso. 

Il genio di Tolstoj è casto, scrive Steiner.  La sessualità è solo accennata, sottintesa.  Tolstoj non ha bisogno d'altro. Un dettaglio, per lui è già tutto.  Nella sua luminosa interpretazione della passione fisica, Tolstoj era almeno fino ai suoi ultimi anni, più vicino a Omero.


 Fabrizio  Falconi

09/10/14

Premio Nobel per la Letteratura 2014 a Patrick Modiano. VIDEO.



Molti oggi sentendo l'annuncio di Patrick Modiano come Premio Nobel per la letteratura 2014 hanno insistito sulla bizzarria dell'Accademia svedese, che da un po' di anni a questa parte si diverte a spiazzare il pubblico dei lettori forti e meno forti, con i quali evidentemente non è in sintonia.  

Anche Modiano è in Italia un quasi perfetto sconosciuto, anche se le Edizioni Einaudi pubblicano dal 2005 quasi regolarmente ogni sua nuova uscita (si immagina con poco successo di vendite.. prima di oggi).

In Francia Modiano è un autore molto conosciuto, da sue opere sono stati tratti parecchi film.  Per i lettori italiani questo qui sotto è un piccolo ritratto-video in due minuti.



Mentre QUI potete trovare una bella intervista a Modiano realizzata da Bernard Pivot, all'uscita del suo romanzo Le petit Bijou, tradotto in italiano soltanto come Bijou ed edito, come gli altri da Einaudi.

Al prossimo Nobel.

08/10/14

Cinema: primo Ciak per Odissea girata interamente in greco antico e latino.



La spiaggia di Stintino, in Sardegna



A Stintino come a Itaca, per un'Odissea girata interamente in greco antico e in latino. 

E' l'ambizioso progetto cinematografico che ha preso il via oggi sulla spiaggia di "Lu Forrazzu", che nel pomeriggio ha ospitato il primo ciak del film "Da Itaca con amore - L'Odissea", adattamento in chiave contemporanea dell'Odissea di Omero firmato dal regista inglese Malachi Bogdanov.

La troupe e gli attori, a cominciare dal britannico Giles Terera nei panni di Omero e dalla cagliaritana Michela Sale Musio nelle vesti di Atena, saranno impegnati a Stintino per un mese. Oggi hanno presenziato alle riprese anche il produttore Simon M. Woods e il produttore associato, nonché' presidente del Cineclub Sassari, Carlo Dessi'.

Il film sara' sottotitolato tramite "crowdsourcing" globale nelle lingue di ogni continente, sara' diffuso gratuitamente in tutte le scuole e le università e distribuito anche nei cinema, in televisione, online e su cd. 


07/10/14

Cefalonia e Fiskardo - (Dieci luoghi dell'anima).

Fiskardo

Lo Ionio è diverso da tutti gli altri mari. 

E’ forse per via del blu. Sono le schiere di navi passate dalla notte dei secoli che lasciando tracce impercettibili, hanno reso questo colore più denso, oleoso? O forse è per causa del contrasto con il particolare verde di pini e cipressi delle isole ? La terra si è aperta un’infinità di volte, da queste parti: terrificanti sismi, bombardamenti a tappeto. 

Eppure, il dito puntato verso il Nord di Cefalonia, quello non è stato mai toccato. 

Quando l’aereo di linea la sorvola, l’isola si svela per essere proprio come la forma di una mano bruna distesa nel blu, e il promontorio di Fiskardo nient’altro che il suo dito indice. 

L’aeroporto è vuoto eppure colmo di quell’allegro, tipico disordine di ogni scalo ellenico. Una fila di taxisti inoperosi aspetta soltanto un turista da scarrozzare. Li evito perché la solerte agenzia di viaggi internazionale ha disposto una macchina a noleggio a tariffa ridotta, da bassa stagione. L’addetto è un corpulento tizio dai capelli lucidi che sembra in libera uscita dal film Z - l’Orgia del Potere

Firmo il foglio e mi tocca una utilitaria giapponese col cambio automatico, l’abitacolo che odora di nuovo. La litania dei nomi dei luoghi che si susseguono lungo le strade deserte è suadente: Argostoli, Dilinata, Divarata, Anomeria, Assos, Vassilikades, Tsamarelata, Ventourata. 

Nomi caramellati, di zucchero. Sono perlopiù villaggi addossati sul fianco della montagna che scende rapida nel mare. Questo angolo di Ionio così speciale, scaturigine di mille leggende, di ogni possibile narrazione metaforica, fonte, destino della civiltà d’occidente. 
Di fronte a Cefalonia si staglia infatti Itaca. 

Isole gemelle separate da un breve braccio di mare. Odysseus e Paolo di Tarso. Sebastiano Venier e Roberto il Guiscardo. Ed è proprio a causa dell’ultimo rifugio terreno di colui che fu chiamato ‘l’astuto’, e cioè il Guiscardo, che Cefalonia, o Kefalonia come la chiamano in tutto il resto del mondo, ha una storia in più da raccontare . 

Sull’isola, la strada verso Nord sale e scende, accarezzando il mare, la cui vista da questo lato si perde. E’ una carrettiera a rapide curve pericolose, ostruita da rallentamenti di vecchi camion con motori esausti che si arrampicano senza costrutto su e giù, fino a dove l’asfalto riesce ad arrivare. 

A metà del percorso c’è una grande spiaggia, immensa, che si vede dall’alto, chiamata Myrtos, dove l’acqua per qualche strana magia dei fondali, appare splendidamente turchese. Nei dintorni soltanto qualche chiosco con le finestre sbarrate da assi di legno, la stagione dei turisti non è ancora arrivata, ma il sole è tambureggiante, e le bouganville già sono in fiore. Punto dritto verso quel nome: Fiskardo. 

Mano a mano che il dito si allunga nel mare la strada diventa dolce e i saliscendi meno severi.

Tratto da Dieci luoghi dell'anima, Fabrizio Falconi, Cantagalli editore, 2009.


06/10/14

Teatro dell'Opera e i licenziamenti-skock. La profezia di Fellini (e la memoria corta di Dante Ferretti).




Si fa un grande uso di questi tempi dell'aggettivo profetico.

Si fa presto a dire profetico.

Eppure, se questo aggettivo deve essere usato per una volta con cognizione, lo dovrebbe per Prova d'Orchestra, che Fellini realizzò nel 1979. 

Un filmetto realizzato per la RAI di allora, che se rivisto oggi, proprio oggi alla luce di quanto sta succedendo al Teatro dell'Opera di Roma, con i licenziamenti collettivi-shock decisi dalla giunta Marino, lascia di stucco.  

Sulla vicenda è intervenuto ieri anche lo scenografo Dante Ferretti, tre volte premio Oscar, che di quel film realizzò gli scenari, in una intervista al Corriere della Sera, nella quale - fra l'altro - ricorda di come fu proprio lui a suggerire a Fellini l'idea della grande sfera d'acciaio per le demolizioni che nel tragico finale del film demolisce le pareti del Teatro, all'interno del quale gli orchestrali hanno litigato ferocemente, si sono ribellati al direttore d'orchestra e hanno distrutto tutto. 

Leggendo l'intervista però, sono rimasto molto sorpreso dalla inesattezza - o dalla mancanza di memoria - di Dante Ferretti, peraltro non corretta dall'estensore della intervista, il bravo Paolo Conti. 

Arriva infatti, alla fine della intervista, dopo che si è parlato del significato del film, che era per Fellini una metafora dell'Italia (di allora e di oggi), ingovernabile e anarchica, dove vige solo interesse e tornaconto personale e dove alla fine ci va sempre di mezzo l'innocente (A Federico piacque moltissimo l'idea della palla per le demolizioni, racconta Ferretti, volle che ci fosse una vittima, l'arpista che muore sotto le maceri. Il personaggio più mite e dolce),  Paolo Conti domanda a Ferretti:

Cosa spera che accada ora al Teatro dell'Opera di Roma ? 

Risponde Ferretti:

"Mi auguro che si ripeta la scena finale del film. Lì la sfera abbatte la parete, costringe tutti al silenzio e si riprende il lavoro seguendo il direttore d'orchestra. Oggi spero che tutti a Roma decidano di rimboccarsi le maniche e di lavorare per il bene del Teatro. Non credo ci siano alternative."

Credo che davvero l'interpretazione dell'apologo in questo modo, non renda onore al genio di Fellini. 

Ferretti infatti dimentica che il finale del film è piuttosto agghiacciante: dopo la demolizione e dopo lo shock e la morte dell'innocente, è vero infatti che gli orchestrali riprendono il lavoro - tra le macerie - seguendo il direttore d'orchestra. 

Ma nel frattempo, il direttore d'orchestra è diventato un tiranno. 

Il film si conclude con un pugno allo stomaco: appena conclusa la prova, il direttore, che è un tedesco, comincia a gridare sempre più forte, in modo isterico, in tedesco, lo schermo va a nero, e resta solo la voce fuori campo del direttore, distorta dalla rabbia autoritaria, che è sinistramente sovrapponibile a uno dei discorsi tenuti alle folle da Adolf Hitler negli undici anni del suo potere folle e sanguinario. 

Non è affatto, perciò un lieto fine. Gli orchestrali sono tornati al lavoro solo perché una forza più grande li ha spaventati, li ha sottomessi.  In pochi istanti sono diventati agnellini e sono ora disposti ad assecondare il direttore che verrà (se sarà un direttore buono o uno terribile e criminale, sarà la stessa cosa). 

Davvero non c'è da augurarsi un finale così per la penosa vicenda del Teatro dell'Opera di Roma - e per l'Italia tutta.   

Ci sarebbe bisogno di un finale come quello auspicato da Dante Ferretti. Che non è però quello descritto da Fellini, che forse conosceva gli italiani meglio di tutti. 


Il finale di Prova d'Orchestra

Fabrizio Falconi - riproduzione riservata. 

05/10/14

La poesia della domenica - 'Inventala tu la mia storia' di Enrico Testa.




Inventala tu  la mia storia
che sai i colori del carattere
e le ragioni del mio nome,
scegli i pezzi giusti,
quelli della passione pura,
che vanno infine a posto
e che compongono la nostra
(unica) figura.

Enrico Testa (1956) - da In controtempo

04/10/14

Non è uomo chi non è capace di meravigliarsi. (Goethe Schopenhauer e Florenskij)



Ancora in Goethe: quando in Italia, sue testuali parole, egli "scoprì l'En Kai Pan  (formula greca con cui si indica l'identità dell'Uno col Tutto) in botanica", cioè la pianta primigenia, la scoperta "lo colmò di meraviglia."

Henrich Voss racconta di come Goethe avesse analizzato un giorno la citazione del Teeteto di Platone traducendola liberamente: La meraviglia è la madre di tutto quanto c'è di bello e buono

Goethe apostrofa come ottuso colui che non si stupisce della legge eterna della natura, e aggiunge che il saggio vero e il vero uomo cessano di essere tali non appena perdono la capacità di meravigliarsi.

A Eckermann poi Goethe dice: "La meraviglia è quanto di più grande possa raggiungere l'uomo, e se il proto-fenomeno lo ha condotto a meravigliarsi, che egli se ne contenti; esso non è in grado di fornirgli nulla di più sublime, e l'uomo non deve cercarvi null'altro."

Come scriveva Schopenhauer: "Quanto più in basso l'uomo si trova dal punto di vista intellettuale, tanto meno misteriosa è per lui l'esistenza: anzi gli sembra ovvio che tutto quello che esiste, esista ed esista così com'è."




03/10/14

La gentilezza nel donare crea amore. Lao Tzu, Marina Cvetaeva e Rilke.



La gentilezza nel donare crea amore. 

Così scrive Lao-Tzu, e davvero - se solo vi si porge attenzione - questo è ciò che crea un amore, una relazione d'amore: gentilezza nel donare

Non occorre cioè, dice Lao-Tzu, solo la capacità di donare perché ci sia amore.   Occorre anche la gentilezza nel donare.  La gentilezza, che a noi spesso appare come una qualità esteriore, formale, è invece, sembra dirci Lao-Tzu, sostanza. Proprio perché nell'amore, tutto ciò che è forma è anche sostanza. 

A questo punto, se vi è gentilezza del donare, ogni amore è possibile. Ogni tipo di amore. Non importa quali implicazioni terrestri vi saranno.

Ci ripenso, ricordandomi dello struggente amore scritto tra Rainer Maria Rilke e Marina Cvetaeva, che pure, non si incontrarono mai di persona. 


Nel maggio del 1926 Rainer Maria Rilke si trova nella clinica svizzera di Val-Mont per curare un malessere ancora ritenuto lieve, di probabile origine nervosa (in realtà sono le avvisaglie di quella leucemia che lo condurrà alla morte il 29 dicembre dello stesso anno).

Da tempo ormai, da quando ha terminato il decennale lavoro delle Elegie duinesi, la vita in lui si è fatta «stranamente pesante», il suo corpo, prima così servizievole, ora sembra rifiutarsi di assecondarlo; e su tutto la terribile sensazione di vuoto, di spaesamento, di chi si è ormai lasciato alle spalle il culmine della propria parabola umana e creativa.

Nel mezzo di una simile crisi, trova però il tempo, esaudendo una richiesta di Boris Pasternak, di scrivere a un’intima amica di quest’ultimo, la poetessa Marina Cvetaeva, per inviarle con dedica un proprio volume di liriche.

La risposta di lei non si fa attendere: un’appassionata, debordante dichiarazione d’amore verso il poeta Rilke, anzi, verso un Rilke che è addirittura «l’incarnazione della poesia», nonché «quanto di più caro possieda al mondo » questa esule russa dall’esistenza difficile e tormentata. E al suo tono appassionato, come all’uso del «tu» con cui la Cvetaeva supera d’un balzo, sin dall’inizio, le convenzioni di uno scambio epistolare tra sconosciuti, lui si adegua immediatamente.

Comincia così tra i due il breve, folgorante carteggio ora pubblicato nella traduzione italiana di Ugo Persi (Lettere, SE, pp. 104, € 13); comincia, possiamo dire, una breve ma intensissima storia d’amore tra un uomo e una donna accomunati dalla più profonda diffidenza verso ciò che nell’amore è adempimento, legame, possesso.

Entrambi, per tutta la vita, hanno sempre cercato tutt’altro: quello slancio dell’anima che è sinonimo, o traduzione, o alimento dello slancio poetico; quel «bacio assoluto» rispetto al quale ogni bacio concreto rappresenterebbe già una forma di degradazione.

Tanto Amelia Valtolina quanto Pina De Luca, autrici delle due interessanti postfazioni che completano il volume, sottolineano appunto la centralità, in questo carteggio, dell’idea di una «produttività del non-possesso», sia sul piano dei sentimenti sia su quello, quasi inscindibile, della riflessione poetica.

È una consapevolezza che spesso, soprattutto in Rilke, si vena di rassegnazione: la consapevolezza, come egli scrive nell’Elegia dedicata a Marina, che entrambi sono soltanto «dispensatori di segni» e che «quest’opera lieve, quando uno di noi/ più non regge e s’induce alla presa, / si vendica e uccide».

L’«opera lieve» del poeta, che solo attraverso il più paziente e sistematico sacrificio dell’Io può arrivare davvero ad abbracciare e trasfigurare tutte le cose nello spazio dei propri versi, del proprio «invisibile cuore»; ma anche l’opera altrettanto lieve e delicata degli amanti, che vive di un fragilissimo equilibrio tra prossimità e distanza.

Eppure, dopo alcuni mesi, la Cvetaeva tenta di spezzare questo equilibrio. Sente di dover «approfittare del caso di essere ancora (e pur sempre!) un corpo vivo», e propone a Rilke di incontrarsi «in qualche posto della Savoia francese molto vicino alla Svizzera».

La reazione di lui a questa proposta è cauta, vagamente intimorita; tanto da spingerla a dichiarare, nella lettera successiva, «Tu credi che io creda alla Savoia? Sì, come anche Tu, come al regno dei cieli». E infatti, i due non si vedranno mai.

All’accorato «Mi ami ancora?» inviato il 7 novembre su una cartolina postale Marina non riceverà risposta; la «strana gravezza», la «discordanza» tra l’anima e il corpo hanno sospinto Rilke in una regione inaccessibile, sottraendolo a qualsiasi relazione umana. 

Gli scriverà un’ultima volta la sera del 31 dicembre, dopo aver appreso della sua scomparsa, per commentare di nuovo, con l’amarezza delle parole definitive: «Io e te non abbiamo mai creduto nel nostro incontro qui sulla terra - come non abbiamo mai creduto in questa vita, non è vero?»

Paola Capriolo per Corriere della Sera. 

02/10/14

Il giorno più bello per incontrarti (Incipit)





Prologo

Per far nascere una storia occorre silenzio. Ma io non ho bisogno di far nascere una storia. Essa c'è già, esiste.  Reclama semplicemente di essere raccontata. Dovrò spiegare tutto, nulla potrà essere tralasciato. Dare conto anche del silenzio.

Per far questo, come si conviene, è bene rendere omaggio a colui che questa storia ha generato, o dalla quale è stato immotivatamente sospinto.

A lui essa ritorna, a lui affido queste parole, pronunciate, ricordate, ripetute nonostante da ogni parte giungano fin qui inarrestabili rumori, grida e stridori dissennati.


Il giorno più bello per incontrarti, Fabrizio Falconi, Fazi editore, 1999 (incipit)

Qui la versione formato Kindle

01/10/14

La speranza è una corda sola.








La speranza è una corda sola. 

Ripenso a Maupassant e alla sua vita, più ardente di un romanzo. Queste anime dolenti, l'anima di Maupassant, l'anima di Elsa Morante hanno attraversato la vita mendicando amore. 

Il segno di una sofferenza ulteriore è il peso di una solitudine malata, il prezzo del coraggio, la disillusione ogni volta capace di rifare nuovo il mondo e ancora e ancora e ancora.

Molte sono le corde che muovono la vita, tutte le attraversiamo nel fuoco fatuo dei giorni, consolandoci e raccontandoci quello che vogliamo sentire. 

Poi arriva la notte. E resta una corda sola. 

Come il rintocco di una campanella, come un muro scrostato dove non si può scrivere nulla.
Si resta appesi al silenzio che segue quella corda come un'ombra. Circonflesso dai pensieri e dalle mancanze, ciascuno si desta prima del tempo e aspetta la fine della vibrazione.

Per ricominciare e perdersi, nuovamente.


Fabrizio Falconi

(foto in testa dell'autore: Basilica di Santa Sabina, Roma).