06/04/16

Il più grande romanzo italiano degli ultimi 15 anni è inedito. (Pietro Zullino - "Cinzia con i suoi occhi").


Il più grande romanzo italiano degli ultimi 15 anni è inedito.  Succede anche questo nell'editoria italiana. Pietro Zullino, che ho avuto la fortuna di avere come amico, scrisse questo suo libro qualche anno prima di morire. 
E' un romanzo fiume, dedicato a Lucio Properzio, il grande poeta romano vissuto nel I sec. a.C., penalizzato dalla critica storica per secoli, e in tempi recenti riscoperto come forse il più moderno dei poeti antichi. 
Zullino ha scritto un libro memorabile. Con l'uso di una lingua geniale e modernissima, erudito (ritraducendo ex novo tutte le poesie di Properzio) e passionalmente coinvolto, enormemente attuale nei suoi risvolti, su ciò che è la ribellione nel campo dell'intelligenza e della produzione artistica. 
Zullino, che era autore di lustro, e aveva pubblicato con i più grandi editori italiani, scelse volontariamente (esacerbato dalle logiche editoriali) di autoprodursi il libro e di stamparlo in poche copie da distribuire agli amici (senza nemmeno firmarlo, ma attribuendolo direttamente al nume di Properzio). 
Sono dunque ben pochi quelli che hanno avuto il privilegio di leggerlo. 
Nell'attesa che qualcuno - di quelli che contano (ma cosa contano?) si accorga di lui, è già stata fatta una traduzione in americano moderno del romanzo.  
E a Pietro e alla sua opera è stato dedicato post-mortem un volume di studi a cui ho contribuito proprio con questo testo, su Cinzia
Che qui ripropongo. 


Cinzia con i suoi occhi di Pietro Zullino: “Chi ama può vagare”, il romanzo di una ribellione

di  Fabrizio Falconi

 La fortuna dei libri di Pietro Zullino presso i maggiori editori italiani – Mondadori e Rizzoli tanto per citare soltanto i più blasonati – durò oltre un decennio, a cavallo tra gli anni ’70 e la fine degli anni ’80.
 A partire da quella data, qualcosa si spezzò: a Zullino, come ad altri autori di quegli anni, che si erano concentrati, nella loro produzione, sulla adesione profonda agli ideali interiori (autenticità, fedeltà, vero) invece che all’inseguimento delle mode del momento e dei diversi conformismi del mondo editoriale italiano, capitò di sentirsi sempre più ai margini, sempre più fuori posto, sempre meno in sintonia con i gusti prevalenti.
 Zullino, con la sua propensione per lo studio, con il suo rovesciamento dei canoni storico-accademici, con il suo spiccato senso per la colta provocazione che gli permetteva di leggere la realtà contemporanea con occhi sempre nuovi, sentiva di non appartenere alla folta schiera dei narratori per una stagione. Il suo sguardo era rivolto all’oltre, ciò che gli premeva era la continuazione dell’indagine del contesto storico-politico come conformazione ed estensione delle contraddizioni individuali umane, quelle cioè celate nel cuore di ogni uomo.
 Da questo punto quindi l’esplorazione del mondo classico e delle sue radici era per Zullino il terreno ideale per dare corpo a quella esplosione multiforme di ripensamenti sulla realtà che si vive (nell’oggi) e su quella che si immagina, se è vero che proprio nei reconditi del mondo antico, e in specie nella vicenda della Roma imperiale, è possibile rintracciare i segni sensibili e tutte le contraddizioni del presente storico e antropologico, come scriveva Ungaretti a proposito di Virgilio che – diceva -  ci accompagna non più come un emblema ma come uno dei fatti della nostra vita (1). 
  I fatti della nostra vita, dunque, quelli che più interessavano Zullino e che nei primi anni del 2000 lo portarono a cimentarsi in un lungo, estenuante progetto rappresentante la summa di una meticolosa ricerca capace di coniugare lo studio e l’esercizio linguistico – da sempre cifre caratteristiche della sua opera – con la pura narrazione, con il disegno di un amplissimo (e definitivo) affresco su quel mondo, il mondo degli amati classici latini, di quei cantori che prima e forse meglio di tutti gli altri seppero scendere nei recessi dei fondamentali umani. 

05/04/16

Il libro del giorno: "I racconti di Belzebù a suo nipote" di Georges I. Gurdjeff




Il primo dei grandi libri scritti dall'armeno Gurdjeff dopo il 1924, filosofo, scrittore, mistico e "maestro di danze" , una delle personalità più rilevanti del Novecento.  Un impressionante, ridondante affresco visionario che ricostruisce la storia del mondo dagli albori fino alla civiltà indiana, tibetana ed europea, vista dagli occhi di Belzebù, essere superiore, navigatore spaziale, emissario del Creatore Unico sul nostro pianeta, e  raccontata al nipotino Hassin, ansioso di conoscere particolari sulla vita degli abitanti del pianeta Terra.

Gurdjeff stupisce, sconcerta. La sua è una visione del mondo, della vita e dell'universo realmente nuova, del tutto inedita, che ribalta ogni luogo comune e ogni consolidata certezza.

Lo scienziato Ouspenskij sistematizzò, teorizzandola, l'opera di Gurdjeff, attribuendo valore filosofico ad un'opera per molti versi poetica sulla natura umana, interpretata attraverso una smodata voglia di classificare, enumerare, nominare, che rende difficile e estremamente affascinante questa lettura.

Gli uomini sono esseri tricentrici, tricerebrali che hanno smarrito la loro via (non praticano più i loro "doveri esserici") e si sono abbandonati alle cristallizzazioni dell'utilizzo dell'organo kurdabuffer che porta: odio, invidia e ogni altro tipo di bassezza umana.

Da rileggere oggi, di straordinaria attualità.

I racconti di Belzebù a suo nipote 
di Georges I. Gurdjieff (Autore),
M. Fumagalli (Traduttore), R. Cervetti (Traduttore)
Neri Pozza Editore

04/04/16

Una grande mostra dedicata a Mario Monicelli e al suo cinema.



Alla Galleria d'ArteModerna e Contemporanea di Viareggio si è appena inaugurata 'Mario. Chiara Rapaccini e Andrea Vierucci per Monicelli', terza mostra del Lucca Film Festival e Europa Cinema 2016 che ha aperto i battenti ieri per proseguire sino al 10 aprile, tra Lucca, Viareggio e Barga. 

Proprio il 3 aprile, al cinema Centrale di Viareggio, che Monicelli aveva eletto come sua citta' d'adozione, verra' riproposto in sala L'Armata Brancaleone, del 1966. 

Introdurra' la proiezione Chiara Rapaccini, compagna di una vita del regista. La mostra, che gli rende omaggio, proseguira' fino al 16 maggio

 L'esposizione e' nata dall'incontro tra l'artista Chiara Rapaccini, in arte Rap, e il fotografo Andrea Vierucci. 

L'incontro, avvenuto sul set di un servizio fotografico per la rivista Ville Giardini, ha segnato l'inizio di un'amicizia e un sodalizio artistico che li ha portati nel corso del 2015, anno dedicato al centenario della nascita del cineasta, a collaborare con entusiasmo a diversi progetti

Le opere di Chiara Rapaccini sono diventate, tra le altre cose, protagoniste di un'installazione surreale, ambientata all'interno di una fabbrica abbandonata nella laguna di Orbetello, che Vierucci ha poi fotografato. 

Alla GAMC di Viareggio i due artisti scelgono di raccontare il cinema italiano attraverso le arti

Le foto di scena dei set di Monicelli si trasformano in teli dipinti, graffiati, ricamati, fotografati in un'archeologia industriale, per tornare, come in un gioco dell'oca, al filmato proiettato sul muro del museo. 

Dai tessuti di cotone, un giovane Mario Monicelli sorride, giocando con i suoi cappelli. Intorno, leggeri, fluttuanti, i volti di Toto', Anna Magnani, Gassman e Mastroianni

 L'unione tra architettura, cinema, pittura e fotografia sembrano magicamente ritrovare un unico filo conduttore nelle immagini di Andrea Vierucci che ha raccolto con grande coinvolgimento emotivo oltre che professionale il lavoro di Chiara Rapaccini.

 Per i suoi teli, Chiara Rapaccini si e' ispirata alle fotografie del suo archivio privato scattate dai piu' grandi fotografi di scena degli anni '60, '70, '80, '90, sui set dei film di Mario Monicelli. 

Queste foto erano state gettate via, insieme ad altri documenti preziosi, dallo stesso Monicelli, come "documenti del passato di nessun valore"

Chiara le ha recuperate, e negli anni le ha catalogate, ordinate, archiviate, lasciandosi ispirare dai forti contrasti del bianco e nero della pellicola e dalla straordinaria forza espressiva del lavoro dei maestri della fotografia di scena, Secchiaroli, Strizzi, Doisneau.

03/04/16

Intervista a Eugenio Borgna - "La fragilità degli adolescenti è una ricchezza."


E' il cantore delle fragilità umane. Il paladino della debolezza adolescenziale. Il difensore strenuo del disagio mentale. Eugenio Borgna, 85 anni, psichiatra, mi accoglie con passo lento nella sua casa di Novara. Libri alle pareti, uno spartito originale di Ennio Morricone sul tavolo del salotto. Lui ha una lieve cadenza piemontese e modi gentili, accoglienti. Ha studiato per sessant'anni le ferite dell'anima, il dolore e le sofferenze dei suoi pazienti e non ha mai abbandonato la parte della barricata che oppone la parola all'uso dell'elettroshock o dei farmaci "un tanto al chilo"
Dice: «Non sono uno psichiatra robot che passa attraverso le fiamme della vita con tranquillità». Racconta con garbo un breve periodo di depressione: «Mi sono auto-curato». E si accende quando chiacchierando trova una formula sintetica per descrivere l'opera di Simone Weil su cui ha appena scritto il volume L'indicibile tenerezza (Feltrinelli): «È il ritrovare in un essere umano che racconta le proprie sofferenze, quelle di tutti».
Tra testi scientifici e divulgativi ha sfornato più di venti opere: adolescenza, malinconia, amore tragico... 
Spiega: «I pazienti considerati matti, i bipolari, gli schizofrenici... rappresentano circa l'1,5% della popolazione. Il 25%, invece, soffre di depressione, di diverse forme d'angoscia, di ansia o di malattie psicosomatiche». Chiedo: «Sono così frequenti i problemi mentali?». Replica secca: «Certo». Uno dei punti centrali del Borgna-pensiero è il tempo. Quello da usare per l'ascolto, da concedere a chi sta male, da dedicare all'educazione delle giovani generazioni.
Educazione. Per prepararli alla concorrenza globalizzata, oggi ai bambini sono richiesti voti ottimi sin da quando vanno alle elementari e performance eccellenti. «E così si rischia di far danni. L'ho scritto. Lo dico nel deserto, inascoltato».

Danni?
«Certo. Molte delle défaillance scolastiche dei bambini nascono dalla timidezza e dalla fragilità, che in realtà sono grandi doti, ma finiscono per essere dilatate e drammatizzate da chi non le comprende. Una caratteristica positiva può essere trasformata in una drammatica auto-distruttività. Si prende in considerazione solo la performance, il bambino-ragazzo è da subito ipervalutato, ultrapremiato. L'insegnante e il maestro, quando esagerano, si trasformano in agenti patogeni, causano sofferenze evitabili».

Meno studio e meno esami per tutti?
«No. Ma di fronte alla fragilità di un bambino non posso imporre un significato della vita tutto incentrato sulla prestazione, sulla riuscita e sul successo. Anche perché quando poi arriva un insuccesso, una sconfitta, dovuta magari a un fattore esterno, si rischia il crollo. Quel che dovrebbe essere chiaro è che spesso le connessioni tra modelli sociali e ricadute psicologiche è strettissimo». 

Mi fa un esempio?
«Negli Stati Uniti la paura delle conseguenze della iperattività e del deficit di attenzione ha portato alla diffusione dell'utilizzo del Ritalin per i ragazzi. Non è facile resistere alla pressione sociale e a quella pubblicitaria. Anche i medici sono in difficoltà. Il problema è sempre pensare che la semplice somministrazione del farmaco risolva tutti i problemi. Perché non fa perdere tempo: è più facile dare una pasticca a un bambino piuttosto che ascoltarlo e giocarci. Lo stesso discorso si può applicare ai malati psichiatrici».

Si preferisce impasticcarli piuttosto che ascoltarli?
«Esatto. Il tempo di cui il paziente ha bisogno per essere compreso, interpretato e curato, si scontra con il tempo dei medici e dei familiari. Loro pensano al farmaco come a un bisturi e cercano di sbrigare subito la faccenda. Come se l'ansia, la depressione e l'angoscia equivalessero a una appendice infiammata che il chirurgo asporta con un taglietto».

Lei non è un fan degli psicofarmaci.
«Sono indispensabili in alcuni casi, ma non in tutti come si tende a pensare oggi. Serve anche la parola che tolga le ombre, che sciolga le ansie. Serve per comprendere la sofferenza. Gli psicofarmaci non sono come gli antibiotici che agiscono indipendentemente dal consenso del paziente. Ed è un'illusione che il paziente guarisca più rapidamente ricevendo dosi maggiori o mix di farmaci». 

Di nuovo il tempo, la fretta...
«Il tempo non dovrebbe essere percepito come moneta di scambio, ma come occasione per ascoltare. A proposito di tempo: ci sono cliniche universitarie in cui vengono ancora praticati gli elettroshock».

In Italia?
«Sì. In anestesia generale. Non costa, non c'è bisogno di assistenza, si fa in fretta... Io la considero una pratica intollerabile. Non l'ho mai usata e non ho mai permesso che un mio paziente vi fosse sottoposto». 



02/04/16

I Coldplay utilizzano una poesia di Rumi nell'ultimo album (e Obama).




Alla traccia 7 del nuovo - bellissimo - album dei Coldplay, nel brano intitolato Kaleidoscope, alcuni avranno riconosciuto, recitata dalla profonda voce del cantante blues Coleman Barks, una delle più celebri poesie di Rumi, poeta mistico persiano, fondatore della confraternita sufi dei dervisci, La locanda.

Eccone il testo in Italiano: 

L'essere umano è una locanda,
ogni mattina arriva qualcuno di nuovo.

Una gioia, una depressione, una meschinità,
qualche momento di consapevolezza arriva di tanto in tanto,
come un visitatore inatteso.

Dai il benvenuto a tutti, intrattienili tutti!
Anche se è una folla di dispiaceri
che devasta violenta la casa
spogliandola di tutto il mobilio,

lo stesso, tratta ogni ospite con onore:
potrebbe darsi che ti stia liberando
in vista di nuovi piaceri.

Ai pensieri tetri, alla vergogna, alla malizia,
vai incontro sulla porta ridendo,
e invitali a entrare.

Sii grato per tutto quel che arriva, 
perché ogni cosa è stata mandata 
come guida dell'aldilà.


Nella stessa canzone, alla fine, I Coldplay utilizzano un frammento della voce del presidente Obama: non di un discorso, ma mentre canta "Amazing Grace" al funerale del reverendo Clementa Pinckney , uno delle nove vittime della sparatoria giugno 2015 a Charleston, South Carolina. 

Chris Martin, il frontman del gruppo, parlando a The Sun , ha spiegato, " Abbiamo un piccolo frammento del presidente mentre canta 'Amazing Grace' in quella chiesa. A causa del significato storico di quello che ha fatto e anche perché il significato di quella canzone è più o meno: "io mi sono perso, ma ora mi sto ritrovando" E' un messaggio ispiratore di per sé, ma è reso ancor più forte in connessione con le altre parole che Obama ha condiviso durante l'elogio per Pinckney , in cui ha toccato la violenza armata, razziale tensione, e il significato della fede nel mondo terrificante di oggi. 

Ecco, il video originale della cerimonia funebre per Clementa Pinckney.


 

31/03/16

Einaudi: una mostra a Milano celebra una grande casa editrice.


La storia dei 50 anni più gloriosi della casa editrice Einaudi raccontata attraverso i suoi libri, la sua grafica, il suo lavoro editoriale. 

Nella Galleria del Gruppo Credito Valtellinese nel Palazzo delle Stelline a Milano è aperta la mostra "I libri Einaudi 1933-1983", un viaggio tra la letteratura e il design che presenta al pubblico la collezione di libri di Claudio Pavese. 

"Abbiamo voluto - ci ha spiegato - ripercorrere tutti questi momenti della casa editrice, però mettendo a disposizione del pubblico finalmente per la prima volta, e non solo esposte ma anche in catalogo, tutte le 92 collane della casa editrice. Teniamo presente che l'Einaudi negli anni Sessanta è stata ritenuta la più grande casa editrice al mondo". 

E dunque nelle teche esposte è possibile trovare i Narratori contemporanei Pavese, Hemingway e Sartre; oppure i Coralli di Joyce e Robbe-Grillet, o ancora la prima edizione italiana, nei Supercoralli Einaudi, di un romanzo mitico come "Il giovane Holden" di Salinger, con la copertina di Ben Shahn, accanto al "Partigiano Johnny" di Fenoglio. 

Senza dimenticare Bruno Munari, figura chiave nella storia einaudiana, Samuel Beckett, presente come narratore, commediografo e poeta e, naturalmente, Antonio Gramsci. 

Ma accanto a questi mostri sacri, e qui sta forse la parte più viva della mostra, con una reale adesione all'idea di cultura popolare. "Citiamo alcune collane come esempio - ha aggiunto Pavese - I Libri per ragazzi, che hanno accompagnato l'infanzia di generazioni di lettori. La collana Tantibambini, che tanti ancora si ricordano di Bruno Munari, un gioiello assoluto di editoria, oppure altre collane come la Biblioteca di cultura storica, una delle più longeve della casa. O i Saggi Einaudi, nella quale sono passati testi fondamentali come Dialoghi con Leucò di Pavese, in prima edizione, come Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, e così via".

La sensazione, uscendo dalla mostra, è quella di avere ripercorso la storia di un editore che pubblicava Musil e Walter Benjamin, certo, e che lo faceva utilizzando il lavoro dei migliori grafici, dando all'oggetto libro quella capacità di resistere, anche oggi, non solo come prodotto culturale, ma anche come vera e propria opera d'arte. Pronto, nonostante tutto, ad affrontare il futuro.

fonte askanews

30/03/16

"Pastorale americana" di Philip Roth (RECENSIONE).



Ho letto Pastorale Americana, uno degli ultimi Roth che mi mancava da leggere, negli stessi giorni in cui a Roma è accaduto un brutale fatto di cronaca, l'omicidio a sangue freddo - per sapere cosa si prova - di un ragazzo, da parte di altri due, apparentemente tipi normali, provenienti da ottimi genitori e ottimi padri, i quali hanno pensato bene subito dopo l'efferato crimine, a cadavere ancora caldo, di andare in tv in prima serata (o scrivere sul proprio blog personale) a difendere questi figli e rivendicarne la bontà, la probità, l'innocenza. 

C'era dunque parecchio da meditare, mentre si scorrevano le pagine (423) di questo grande romanzo americano, nel quale Roth descrive la discesa agli inferi di Seymour Levov, detto Lo Svedese, aitante e perfetto americano (ebreo figlio di figlio di immigrati dall'est europeo), con perfetta moglie (Miss New Jersey) al fianco, che scopre nell'unica figlia Merry, una pluriomicida, bombarola contestatrice in fuga da tutto, ritrovandola più avanti nella storia in miseria, finita in una sorta di comune giainiana, sempre più disperata e sola, e del tutto immune ai richiami dell'affetto familiare. 

La catastrofe descritta da Roth è perfetta, e si dipana principalmente intorno all'argomento della rimozione dell'ombra.  Seymour è in buona fede, crede "ai valori", al modello di vita americano, crede nelle cose giuste, e la vita gli ha sempre dato ragione premiandolo con riconoscimenti e onori (nello sport, nell'amore, nel lavoro).  Ma questa perfezione è sterile, la famiglia perfetta - si sa - genera mostri (come è il caso anche delle famiglie romane di cui sopra, a quanto pare) e il piccolo mostro Merry - insieme ai suoi compagni d'avventura prima fra tutte la perfida Ruth - sa il fatto suo: sa come distruggere l'icona perfetta dalla quale proviene, sa come minarne ogni certezza, ogni convincimento, ogni sicurezza, ogni appiglio, ogni immagine ideale a dosi di deflagrante realtà. 

Roth tiene in pugno il lettore e lo spreme fino alla fine, essendo qui la sua scrittura al culmine di una abilità non fine a se stessa. 

Semmai, anzi, la scrittura risente anche troppo dell'obiettivo che sta a cuore a Roth. La sua voce parteggia fin troppo apertamente per qualcuno dei personaggi, come Ruth, la messaggera incaricata di scaricare addosso a Seymour il suo completo fallimento, o come Jerry il fratello cinico dello Svedese.

A loro Roth affida la voce di ciò che egli pensa - e non da poco tempo - sul mondo, come luogo di infelicità, di inferno, governato dalla rigida impassibilità del caso (e del caos) che ogni cosa governa, orientando l'esistenza stessa verso un orizzonte completamente privo di senso, dove perfino le nostalgie e i rimpianti non hanno albergo.

Il libro è anche abbastanza disomogeneo nel racconto. Nelle prime cento pagine del racconto, infatti, compare Nathan Zuckerman, l'alter ego dell'autore che torna in tanti suoi libri, il quale si presenta come testimone della storia, e amico dello Svedese, compagno di corso e di università. Zuckerman però, da un certo punto di vista in poi scompare. La voce del narratore diventa impersonale,  mano a mano che Seymour sprofonda nella sua caduta senza limiti.

Peccato, si direbbe: perché a noi sarebbe piaciuto ascoltare i pensieri di Zuckerman, che forse si sarebbero discostati - in profondità e ironia (quella che manca al Roth degli ultimi tempi, e che grandiosamente contrassegnò i suoi inizi) - da quelli dell'anonimo narratore che sembra assistere muto al dissolvimento della personalità di Seymour e delle sue blande certezze.

Fabrizio Falconi

Philip Roth
Pastorale americana
Traduzione di Vincenzo Mantovani
Einaudi 1997 

29/03/16

"Scenari" - lo scritto di Pasqua di Fabrizio Centofanti



Si cominciava a parlare di scenari. Ormai era chiaro che le profezie non riguardavano solo il Vaticano, l'attacco tremendo alla Chiesa che l'avrebbe costretta a rinnovarsi, ma un'area molto più vasta, e forse il mondo intero

I cento anni di dominio di satana sarebbero finiti coi fuochi d'artificio di una guerra totale, che avrebbe seminato la morte e innescato un meccanismo di autodistruzione che solo il Pantokrator, il Signore che tiene i fili e le trame della storia, avrebbe frenato al tempo giusto. 

Già parlavamo di ritorno all'essenziale, di valori che sarebbero riemersi, dopo la grande parentesi di confusione e di non senso, in cui ogni capriccio era un diritto, ogni voglia dell'io una legge da imporre con la forza o con la persuasione occulta. 

Stavamo toccando il fondo del liberismo e del libertinismo, la democrazia era ormai diventata una facciata che nascondeva il governo assoluto di pochi potentati e lo sfruttamento di una massa inconscia di obbedienti manichini manovrati dall'alto. 

La cultura procedeva con parole d'ordine cui tutti dovevano piegarsi; lobby intoccabili proclamavano del tutto indisturbate il loro verbo lascivo, viscido, sfuggente, e nello stesso tempo categorico e rigido, intollerante riguardo al pur minimo accenno di dibattito

Un'idea valeva l'altra, perché tutte finivano nel grande calderone di una dittatura invisibile e implacabile, fondata sull'apparente libertà dei social network, degli squallidi spettacoli dei media, proni alla ferrea volontà delle multinazionali del pensiero unico

Persino la fede era gestita da un'industria sofisticata e aggiornata del politically correct, dell'adeguamento al mondo. 

Era sempre più chiaro che la corsa verso il nulla sarebbe sfociata in un esito al contempo sorprendente e prevedibile: si sarebbe compreso, finalmente, che il male è male, e fa male. 

Da questa coscienza elementare si sarebbe generata la nuova civiltà; una bella mattina, ci saremmo guardati negli occhi dal fondale di un mondo totalmente rinnovato.

Qui il suo blog La poesia e lo spirito. 

foto in testa di Fabrizio Falconi

28/03/16

Palmira è libera ! Una mostra a Mantova "Salvare la Memoria" con i reperti di Palmira e di altre zone di guerra.



Le notizie della liberazione di Palmira da parte delle forze governative di Damasco, hanno riacceso la speranza, in quei luoghi flagellati dalla guerra e dalla occupazione dell'Isis. 

Assume ancora più rilevanza la splendida mostra organizzata a Mantova

È una mostra idealmente dedicata al Direttore del sito archeologico di Palmira Khaled Asaad, quella che si può ammirare al Museo Nazionale Archeologico di Mantova fino al 5 giugno, con il titolo “Salvare la Memoria”. Ma anche al non meno prezioso, e spesso anonimo, esercito di “Monuments Men” che ovunque nel mondo si vota al recupero di un patrimonio di arte che è storia di tutti. 

Un patrimonio violentato da guerre, come quella in Siria appunto, ma anche da terremoti, alluvioni e da tutti quegli eventi che, ferocemente e improvvisamente, si sovrappongono al fisiologico effetto del tempo su ciò che è testimonianza del nostro passato. 

Una grande storia raccontata, nei tre piani dell’Archeologico di Mantova, da immagini originali, documenti, filmati, reperti (simbolicamente preziosi quelli provenienti da Palmira), testimonianze dirette. 

Un laboratorio, aperto al pubblico, mostrerà dei restauratori all’opera su testimonianze di una villa distrutta dal terremoto del 2012 nel mantovano. 

Protagonisti di vicende di salvaguardia e difesa del patrimonio artistico mondiale incontreranno il pubblico nel corso di incontri calendarizzati nel periodo della mostra. Il progetto “Salvare la Memoria” è un’iniziativa del Polo Museale della Lombardia, a cui si affiancano il Comune di Mantova, l’ISCR, l’ICCROM, l’Università degli Studi di Milano, l’Università IULM, Monuments Men Foundation, Palazzo Ducale- Mantova, Diocesi di Mantova, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. Ad affiancare Elena Maria Menotti e Sandrina Bandera, che ne sono curatrici, è un ampio e qualificatissimo Comitato Scientifico.

A contrapporsi alla violenza della distruzione c’è la forza della restituzione. Come racconta questa affascinante mostra e come ricorda, non a caso, il suo sottotitolo. Non caso ad accoglierla è Mantova, città devastata dal terremoto del 2012. Quell’evento causò, tra l’altro, il crollo del cupolino della Basilica di Santa Barbara e produsse seri danni ad uno dei luoghi simbolo della città, la Camera degli Sposi in Palazzo Ducale, rendendolo a lungo non visitabile. E con quello di Mantova, altri terremoti, dal Friuli ad Assisi, a Bam, L’Aquila, sino al Nepal. Come dimenticare poi l’alluvione del 1966 a Firenze e l’esercito degli “Angeli del fango”? O, su altro fronte, l’attentato all’Accademia dei Georgofili?

Le distruzioni scientemente provocate dagli uomini non si sono rivelate meno catastrofiche di quelle naturali. 

Distruzioni ereditate da guerre del passato recuperate molto tempo dopo, come è accaduto per Vilnius dove le distruzioni perpetrate dalle truppe di Pietro il Grande, sono state sanate solo dopo il 1989. 

 Rievocando la Prima Guerra Mondiale, l’attenzione è proposta su Mantova, Milano, il Veneto. Ancora Mantova, nella Seconda Guerra Mondiale, insieme a Milano - con focus sulla sala delle Cariatidi a Palazzo Reale, e su Cenacolo, Brera e Poldi Pezzoli - , le figure e l’azione di Pasquale Rotondi e di Modigliani e Pacchioni per la messa in sicurezza delle grandi opere d’arte italiane. 

Ma anche le vicende dell’obelisco di Axum, con le immagini della traslazione a Roma dall’Etiopia e della sua restituzione. A questa sezione della grande mostra ha collaborato, tra gli altri, la Monuments Men Foundation di Dallas

Tra i troppi conflitti recenti, la mostra propone quelli in Kosovo e in Afghanistan, evidenziando gli interventi di restauro dell’ISCR e la ricostruzione del ponte di Mostar. Le cronache quotidiane documentano le distruzioni in Iraq e Siria.

Le immagini delle distruzioni di Palmira hanno colpito l’opinione pubblica mondiale. Da ricordare che in quell’area archeologica era attivo il progetto “Pal.M.A.I.S.” dell’Università degli Studi di Milano, così come ed Ebla l’Italia era presente con una propria missione archeologica. Per scelta delle curatrici, in questa sezione le immagini saranno esclusivamente “positive”: proporranno le attività di ricerca archeologica svolta. Nessuna immagine di distruzione, ma un puro segnale grafico a simboleggiare la temporanea, forzata interruzione di un percorso di ricerca, recupero e valorizzazione. La grandezza di Palmira sarà testimoniata da reperti originali concessi dai Musei Vaticani. La mostra, inoltre, suggerirà di approfondire la grande storia della Mezzaluna Fertile visitando la Collezione Mesopotamica custodita in Palazzo Te. L’attenzione del visitatore viene attratta anche su altri fenomeni presenti durante i conflitti, quali gli scavi clandestini, evidenziando i casi di Apamea, Umma e Zabalam, con l’utilizzo di foto satellitari.

Mentre scorrono le immagini della “Giornata Unesco di lutto per la distruzione dei beni culturali”, la mostra porta l’attenzione sul farsi strada di una nuova consapevolezza. Citando come esempio la salvaguardia dei monumenti anche nel caso di grandi opere di ingegneria: emblematico è stato l’innalzamento dei templi di Abu Simbel per consentire l’invaso della diga di Assuan. Questa è una mostra che vuole ostinarsi a guardare avanti, a valorizzare il bello dell’uomo: ed ecco l’attenzione sui “blue shields”, il Comitato Internazionale dello Scudo Blu (ICBS) fondato nel 1996, "per lavorare per proteggere il patrimonio culturale mondiale minacciato da guerre e disastri naturali". E sull’attività davvero fondamentale del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, soprattutto in Iraq, i nostri “Caschi blu della cultura”.
Una mostra per non smarrire la memoria e condividere con i nostri cari, con le famiglie, con gli amici, con i compagni di classe significative e potenti immagini da non dimenticare e un patrimonio di cui essere fieri.

Orari: martedì, giovedì e sabato dalle ore 14 alle ore 19 mercoledì, venerdì e domenica dalle ore 8.30 alle ore 13.30

Per informazioni: museoarcheologico.mantova@beniculturali.it 

 Tel. 0376.320003

27/03/16

La Resurrezione di Grunewald, un quadro meraviglioso e misterioso.


La Resurrezione di Matthias Grünewald (1480-1528) - Trittico dell'altare di Issenheim

I Vangeli sono tutti di una sconvolgente discrezione: annunciano la Risurrezione senza descriverla; ne proclamano la realtà senza dire come Cristo è risorto dai morti

Essi preservano così il cuore del mistero e scelgono di comunicarlo attraverso le apparizioni di Cristo che, dopo la Risurrezione, è in un’altra condizione — può essere presente senza essere riconosciuto, può attraversare le porte sbarrate — e si rivela rivolgendosi ai suoi, come fa con Maria di Magdala, quando la chiama per nome, o attraverso le parole che accendono in quelli che ascoltano il fuoco della fede. Cristo risorto si comunica già attraverso una sottigliezza della parola in grado di farci vedere con gli occhi dello spirito e del cuore. 

È lo stesso e tuttavia è diverso, portatore di un’alterità che non altera l’identità della persona, ma la colloca in una realtà in cui il corpo non veste lo spirito, ma lo svela; non è contro lo spirito, ma ne è proprio l’espressione e manifesta il volto interiore.

Il mondo che Cristo rende presente attraverso la sua Risurrezione è il mondo della trasparenza, della piena coincidenza del corpo con lo spirito, della loro unità trasfigurata attraverso la vittoria sulla morte. Ciò che i Vangeli non dicono non è rimasto, tuttavia, nella zona dell’ineffabile e dell’invisibile, non era possibile. La storia del cristianesimo è anche una storia delle forme che riflettono significati che attribuiamo alla Risurrezione.

In questa prospettiva, tra i maestri dell’arte occidentale, Matthias Grünewald (1480-1528) trasmette in modo diverso il mistero della Risurrezione, con un’intensità e una profondità teologale mai raggiunte prima di lui.

Sull’altare di Isenheim la sua singolarità artistica si manifesta pienamente nella rappresentazione del Cristo risorto che non vediamo uscire vittorioso dal sepolcro mentre solleva il vessillo crociato come, per esempio, in Piero della Francesca o in tanti altri.

Sebbene la parte inferiore della tavola conservi la scena tradizionale delle guardie del sepolcro, sorprese dal sonno e terrorizzate da ciò che accade, Grünewald dipinge un Cristo trasfigurato che infilza il “velo” della notte cosmica del silenzio e dell’attesa.

Il suo corpo diffonde la luce interiore della natura divina; è, di fatto, una concentrazione di luce, un «riflesso della divinità», come diceva Gregorio Nazianzeno, che si fa visibile attraverso una creatura trasparente, di una mitezza infinita, la cui vittoria ha il volto eterno dell’amore.

Il potere di Cristo risorto è, nella visione di Grünewald, l’espressione del suo amore che si mostra ai nostri occhi attraverso la manifestazione riconciliata — sotto la forma di una croce che comprende tutto l’universo — dei segni della sofferenza divenuti sorgente di luce.

fonte Osservatore Romano, 4 aprile 2015.

La Resurrezione di Matthias Grünewald (1480-1528) - Trittico dell'altare di Issenheim, particolare

18/03/16

Due camere segrete nel sepolcro di Tutankamen - "Forse è la tomba di Nefertiti".


La scultura originale del busto di Nefertiti, conservata presso il Neues Museum di Berlino. 


"C'è "almeno il 90% di possibilità" che nel sepolcro di Tutankamen a Luxor vi siano due camere segrete, mai scoperte sinora né dagli archeologi né dai tombaroli."

Lo ha affermato il ministro delle antichità egiziano Mamdouh al-Damati illustrando i risultati di studi condotti con sofisticati mezzi radiologici da un'equipe giapponese.

La quasi certezza alimenta quella che ormai è diventata una leggenda, ovvero la presenza, accanto a quella di Tutantakamen, della tomba della regina Néfertiti.

Secondo altri studiosi nelle camere segrete potrebbe trovarsi la moglie del faraone Akhenaton, padre di Tutankamen, o una delle sue figlie. 


Entrando nel dettaglio dello studio condotto dalla squadra dell'esperto giapponese Hirokatsu Watanabe, il ministro ha spiegato: "Ci sono degli spazi vuoti, ma non totalmente vuoti, infatti congengono materiali organici e metalli".

Quindi il ministro ha precisato che ha fine marzo nel sepolcro verranno realizzate ricerche più capillari e accurate.

Risalente a 3300 anni fa, a differenza dei sepolcri degli altri faraoni la tomba di Tutankamen non è mai stata saccheggiata.

Scoperto nel 1922 dall'archeologo britannico Howard Carter, il sepolcro celava oltre 5000 oggetti intatti, di cui buona parte in oro massiccio.

l'apertura della tomba di Tutankamen, nel 1922 da parte di Howard Carter


17/03/16

"Rotta delle civiltà" di Fabrizio Falconi.




Rotta delle Civiltà


Non so come questa vecchiaia sia arrivata. Non me ne rendo proprio conto. Il mio nome – Yeronimus -  e il mio mestiere – Grande Viaggiatore – sono stampigliati a lettere d’oro sulla copertina di una pubblicazione che odora di cuoio fresco. 
 Sono io quello. E’ il mio nome. E mi domando come abbia fatto quel me stesso ad arrivare fin qui. E come possa essere io, il medesimo di allora.
  Eppure ogni volta, ogni volta, ogni volta che il cuore pensa, ritrova lo stesso frutto dei desideri, e tremori, follie: rinasce. Anche se sono soltanto un vecchio, una energia sempre nuova discende dal cielo, e mi bagna ancora. Quintessenza, materia oscura, ghiaccio che scotta, esiste dall’inizio dei tempi, e io ne faccio parte, finché mi è dato.
  Quando la prima nave staccò la prua dal porto, mi dissi: “il mondo ti appartiene“ e invece ora so che mi aspettava soltanto un viaggio di trasformazione. Tutto è cambiato, anche se io sono lo stesso di allora.
  Anche se sono lo stesso di allora, adesso mi specchio nella paura di una notte infinita.
  A quale scopo, mi chiedo,  il terrore si diverte ? Davvero la parvenza della mia vita, come quella di chiunque altro, è destinata a sciogliersi, come si scioglievano le vele nell’azzurro dei tropici ? Davvero dietro ad ogni miraggio appare l’ombra di una resa ?
  Il viaggio sta per chiudersi, l’ancoraggio è vicino, e dai venti invernali stavolta non mi salverà nessuno. Eppure guardo dalla finestra il lento spegnersi delle luci al confine della foresta, e so che domani, forse,  tornerò a rivederle spegnersi un’altra volta. Mi rimarrà questo conto scarno di giorni, e non sarò io a decidere quando fermare la testa sul cuscino, per lasciare che la mano bluvenosa della morte carezzi i miei capelli.
  Voglio dire quel che ho visto. Voglio liberare ancora una volta il cuore: se chiudo gli occhi, sento gli stessi profumi di allora, il canto dolce e amaro del mare sul viso. Le corde di canapa ruvide intorno alla vita, il silenzio disperato di pomeriggi infiniti.  Le amanti accarezzate, il destino che ho letto nel loro fuggirmi, alla fine di ogni sosta.  Lo rivedo come se fosse adesso, e lo posso raccontare:
  ero libero, ero io.
  Ero, nei pomeriggi infiniti.
  Ero al centro di tutto. Ero in piedi sulla rocca più alta della città, ero sotto un cielo che non ho più visto. Pieno di colori e ombre, di portenti e silenzi.
  Ero io quello che si immerse nel mare.
  Ero io quello che restò a galleggiare, sospeso tra cielo e mare.
  Ero il misterioso essere che mi contiene.
  Ero il contenuto pulsante che viveva, e pensava. E sognava.
  Ero io, come sono io ora.
  Ma ora, che le tenebre avanzano, l’uomo col messale legge i Suoi decreti. E davanti a lui c’è il me stesso che sono: il vecchio che non dorme e preferirebbe il sonno alle parole, e finisce per disperarsi, che aspetta il Tempo, che non ha tempo, che aspetta un morbo lontano, che lo ipnotizzi. Il vecchio che si abbandona al soffio di una melodia, e senza certezze dilania i suoi discorsi a furia di morsi amari. Il vecchio appeso a un filo che  ha imparato persino a pregare.
  Alla mia età, che ho visto tutto, non ho visto ancora niente.
  Non ho visto il meglio e non ho visto il peggio. E sulla prima pagina del libro c’è scritto:


  Attraversi il mare con un guscio di noce, guardi le stelle, ti affidi al vento, e non sai niente della nera tempesta che avanza. Sei chiamato a scavalcarla un’altra volta, affidandoti al coraggio del cuore, affidandoti soltanto…  


Fabrizio Falconi (C) - 2010 riproduzione riservata

immagine in testa tratta da : Il vecchio e il mare (Старик и море), cortometraggio d'animazione del 1999, diretto da Aleksandr Konstantinovič Petrov, vincitore dell'Oscar al miglior cortometraggio d'animazione nel 2000.

16/03/16

La meravigliosa Galleria Farnese affrescata da Annibale Carracci a Roma - Un volume di Silvia Ginzburg.



La Galleria Farnese affrescata da Annibale Carracci

Primo titolo della collana “In primo piano”, La Galleria Farnese, presenta la volta affrescata all’interno dell’omonimo palazzo oggisede dell’Ambasciata di Francia, da Annibale Carracci con la collaborazione del fratello Agostino tra il 1598 e il 1600 per il cardinale Odoardo Farnese: un ciclo di primaria importanza artistica che, a dispetto della sua fortuna nei secoli è oggi, tra i grandi monumenti della sua epoca, uno dei meno conosciuti.

Costruito attorno a una campagna fotografica eseguita per l’occasione da Zeno Colantoni, il volume permette di percepire, nell’avvicinamento progressivo dalla visione d’insieme ai macrodettagli, il susseguirsi delle invenzioni, le varianti di stile, le caratteristiche della tecnica esecutiva degli affreschi della Galleria Farnese. Oggetto di una simile lettura ravvicinata, la decorazione della Galleria, celebrata fino al XIX secolo quale modello della cultura classicista e d’accademia e proprio per questo poco considerata dalle stagioni critiche successive, dominate dal prevalere del gusto per il naturalismo, si rivela ricca di passaggi inaspettati proprio sul fronte della pittura di genere basso, a conferma dell’intento, già registrato dai contemporanei di Annibale, di dar vita a una decorazione in cui potessero trovar posto tutti i generi, dal tragico al comico, e il dispiegarsi di un linguaggio che fosse il risultato della fusione dei diversi accenti della tradizione pittorica italiana.

Palazzo Farnese

         I dati stilistici, tecnici, iconografici, resi facilmente leggibili dalla campagna fotografica e riletti alla luce delle testimonianze delle fonti più antiche e dei più recenti contributi storiografici, indicano infatti l’opportunità di tornare a considerare la Galleria Farnese, in piena consonanza con quanto indicato dalle voci più antiche, il momento più alto del tentativo compiuto dai Carracci e perseguito soprattutto da Annibale, di coniare un linguaggio pittorico che potremmo definire multidialettale, frutto dell’unione degli accenti proprii delle scuole pittoriche regionali quali si erano imposte all’apertura del Cinquecento. Come avevano inteso i suoi primi sostenitori, nella Galleria Annibale ha voluto combinare gli ingredienti distintivi della maniera moderna – i modelli della scultura antica, di Michelangelo, Raffaello, Tiziano, Correggio, Parmigianino – rifondendoli in uno stile tanto più nuovo in quanto, per la prima volta dopo la lunga stagione del tardo manierismo, tornava a riverificare ogni invenzione sulla natura, come attestato dal ricchissimo corpus di disegni preparatori, di cui si esaminano nel saggio introduttivo alcuni esempi. Alla luce di questa analisi, e ancora una volta in accordo con quanto indicato dalle voci critiche più vicine ai Carracci, la Galleria Farnese si rivela come il testo figurativo più dichiaratamente e radicalmente antimanierista della storia della pittura italiana.
         Il volume ripercorre le tappe principali della vicenda critica degli affreschi farnesiani, tornando a considerarne i punti più spinosi, dalla questione relativa al significato dell’iconografia della decorazione, al rapporto tra la volta, i lati brevi e i lati lunghi della sala, al problema della datazione, fino ad aspetti più trascurati dagli studi, su cui il nuovo materiale fotografico permette di ragionare con nuovi elementi, quali la già ipotizzata partecipazione di Agostino alla decorazione della volta al di là delle due storie maggiori, da sempre ascrittegli dalle fonti, o il problema finora di fatto inesplorato relativo alla partecipazione della bottega di Annibale alla decorazione della volta. In questo modo il volume permette di studiare i molteplici aspetti di quella che davvero paradossalmente resta un’opera tra le meno note del suo tempo, pur essendo il capolavoro di un artista oggi oggetto di nuovo interesse da parte degli studi e del grande pubblico: un'opera di cui è tempo di riconoscere pienamente il ruolo e l’importanza nel panorama artistico italiano ed europeo.

Il volume Electa curato da Silvia Ginzburg


Silvia Ginzburg: già docente a contratto presso l’Università della Calabria, insegna dal 2004 Storia dell’arte moderna presso l’Università degli Studi di Roma Tre. Il suo ambito di studio riguarda in particolare la cultura artistica del Cinque e Seicento. Ha pubblicato le sue ricerche sui Carracci, con nuove proposte di attribuzione e cronologia, in riviste scientifiche, in atti di importanti convegni (con Sybille Ebert-Schifferer, “Nuova luce su Annibale Carracci”, in corso di stampa), e in alcuni cataloghi di mostre, quali “Domenichino 1581-1641” (Roma 1996), e “Annibale Carracci” (Milano 2006). Gli affreschi della Galleria Farnese sono stati oggetto di una sua pubblicazione monografica, “Annibale Carracci a Roma. Gli affreschi di Palazzo Farnese”, Roma 2000. Ha lavorato inoltre sui rapporti tra Roma e Parigi attorno a Nicolas Poussin e sulla genesi della prima edizione delle Vite di Vasari (in Testi, immagini e filologia nel XVI secolo, Pisa 2007).
Con Barbara Agosti e Patrizia Zambrano cura una collana di saggi di storia dell’arte per Electa, nell’ambito della quale ha pubblicato la raccolta “Obituaries. 37 epitaffi di storici dell’arte nel Novecento” (Milano 2008).

15/03/16

5 anni dall'inizio della Guerra in Siria. Il miracolo della biblioteca tra le rovine.


La biblioteca sotterranea di Daraya, in Siria




E' una data tristissima, oggi.  


L'anniversario di una delle guerre più sanguinarie e feroci, che all'alba del Terzo Millennio, insanguinano il pianeta. 

La guerra civile in Siria è una ferita aperta per ogni uomo.  E mentre oggi vengono in mente tutte le migliaia di persone innocenti che hanno perso la vita, c'è una notizia che pare una sorta di miracolo nell'orrore.  Ad essa forse vale la pena destinare la nostra attenzione. 

Sopra la devastazione di una guerra che dopo cinque anni non finisce, infatti, sotto i bombardamenti e l'assedio del regime, c'è uno scantinato che è stato trasformato in biblioteca, con 15 mila volumi che i ribelli siriani hanno salvato dagli appartamenti e dalle scuole distrutte. 

Gli abitanti di Daraya, quartiere alla periferia di Damasco, sono stati tra i primi a sollevarsi contro Bashar al Assad, tra i primi a prendere le armi per reagire alla depressione: erano studenti, insegnanti, impiegati, gente qualsiasi.  Tra di loro anche Ahmad, uno degli organizzatori di questa biblioteca improvvisata, che insieme ad una quarantina di attivisti, durante gli scontri, hanno preso qualche rischio in più per scavare tra le macerie e mettere in salvo il maggior numero di libri possibile. 

Il sotterraneo ha un nome ufficiale: Fajr, cioè Alba. E, coprifuoco permettendo, mantiene l'orario di apertura dalle 11 del mattino alle 17. 

Ogni giorno venti, trenta persone, passano e si fermano a leggere al riparo dei barili-bomba, oppure prendono un libo e lo portano al fronte.  

Tra i libri salvati, anche molti titoli e autori proibiti dal regime. Ma anche molti libri e autori occidentali, e moltissimi libri per bambini. 

Non so se è un segnale di speranza.   

E' sicuramente un segno di resistenza umana. Nel fragore immondo della guerra. E non è poco.


Fabrizio Falconi


14/03/16

Spiegare il Nuovo Testamento passeggiando per il Palatino e il Foro Romano - un grande antologico lavoro di Andrea Lonardo.



L'ultima fatica di Andrea Lonardo e del suo meraviglioso sito Gli Scritti, è una guida ragionata (e minuziosissima di dettagli, informazioni, notizie storiche) alla scoperta del Palatino e dei Fori Romani come compendio al racconto biblico del Nuovo Testamento. 

Sul sito dunque, una guida al Palatino ed ai Fori Imperiali di cui riportiamo qui le prime righe

San Paolo entrò probabilmente in Roma da Porta Capena, accompagnato dal gruppo dei cristiani che gli erano andati incontro, oltre che dai soldati romani che lo conducevano nell’urbe

Porta Capena è la porta ormai scomparsa aperta lungo le antiche Mura Serviane: è localizzata dagli archeologi al di sotto dell’attuale piazza di Porta Capena

Prendeva il suo nome dalla città di Capua, perché, attraversandola, si imboccava la strada che portava a quella città.

L’ingresso in Roma venne spostato più a sud già in età romana con la costruzione di Porta Appia - oggi Porta San Sebastiano – appartenente al nuovo recinto delle Mura Aureliane. 

Oggi è Porta San Sebastiano a segnare l’inizio del cammino verso il sud della penisola, quello che si snoda, appunto, sulla via Appia, ma al tempo di Paolo le mura Aureliane non erano ancora state costruite, per cui egli entrò nell’urbe proprio in quel punto che oggi è riconoscibile solamente da un incrocio semaforico. 

Vale la pena fermarsi ad immaginare l’antica porta, mentre Paolo la attraversa. Un buon punto per fermarsi a riflettere su questo evento così importante è la strada bianca, all’interno della zona archeologica del Palatino, che passa al fianco dei resti dell’acquedotto subito dopo essere entrati da via di San Gregorio. 

Paolo giunse a Porta Capena percorrendo la via. Il Colle Palatino è oggi uno dei luoghi più belli di Roma perché su di esso si possono visitare le rovine del palazzo imperiale e godere dei migliori panorami sul centro della città

Il legame fra il colle ed il Palazzo è così forte che proprio l’attuale termine “palazzo” deriva da “Palatino”, il colle sul quale sorgeva appunto il “palatium” per eccellenza, la residenza imperiale. I resti ancora visibili permettono di ricostruire le diverse fasi della residenza che venne eretta dall’imperatore Augusto, negli anni quindi della nascita e della vita nascosta di Gesù. 

 Prima di visitare le rovine vale la pena dare uno sguardo globale alla cronologia del periodo imperiale, per poterla comparare con gli eventi neotestamentari: questo aiuterà a situare poi gli eventi della vita di Gesù e degli apostoli nel contesto degli eventi politici del tempo, in relazione alle rovine che via via si visiteranno – soffermarsi sui resti di alcuni edifici permette di soffermarsi anche visivamente nella scuola e nella catechesi sulle origini e sui primi secoli del cristianesimo

 I primi cinque imperatori appartennero ad un’unica dinastia, quella giulio-claudia. In realtà già Giulio Cesare governò da solo e con lui venne ad essere utilizzato il termine “imperator” in un senso nuovo, mentre prima con esso si indicava la figura di un generale delle truppe. 

11/03/16

Pantheon e Mausoleo di Adriano: due conferenze di Archeoastronomia alla Galleria Umberto Prencipe.



L’archeoastronomia è una scienza multidisciplinare, che fornisce nuove e inedite chiavi d’interpretazione per comprendere la funzione e il significato degli edifici antichi. 

Si basa su complessi calcoli matematici per accertare la posizione del Sole in epoca romana, cui fa riscontro lo studio dell’architettura e del significato religioso e simbolico degli edifici. 

Non c’è bisogno di andare a Stonehenge, Chichen Itzà o Abu Simbel per vedere gli straordinari fenomeni luminosi dei Solstizi: esistono anche a Roma e a Tivoli, e funzionano ancora

Mercoledì 6 aprile, ore 18.00 

Introduzione all’archeoastronomia Cenni sull'archeoastronomia a villa Adriana Archeoastronomia nel Pantheon 

Mercoledì 20 aprile, ore 18.00 Archeoastronomia nel Mausoleo di Adriano (Castel Sant’Angelo)

Marina De Franceschini, archeologa, si è laureata a Genova ed ha conseguito un Master of Arts a Bryn Mawr College (Pennsylvania, Stati Uniti) con una tesi sui mosaici della villa Adriana di Tivoli, che è stata il punto di partenza per i suoi studi successivi. 
Attualmente sta preparando il primo di due volumi sulla Storia degli scavi e degli studi a villa Adriana a partire dal Quattrocento. 
Ha pubblicato diversi libri dedicati allo studio delle antiche ville romane: il primo, Villa Adriana, mosaici pavimenti, edifici (1991) ha vinto il premio l’Erma di Bretschneider. 
Altri due hanno studiato la decorazione, struttura e gli impianti produttivi delle ville in altre regioni, inserendole nel loro contesto economico e geografico: Le ville romane della Venetia et Histria (1999) e Ville dell’Agro romano (2005). 
A partire dal 2005 ha creato e diretto il Progetto Accademia, dedicato allo studio dell’Accademia della Villa Adriana di Tivoli, pressoché sconosciuta in quanto si trova ancora in proprietà privata e non è mai stata aperta al pubblico. Insieme all’archeoastronomo Giuseppe Veneziano dell’Osservatorio astronomico di Genova è stata una pionieri degli studi archeoastronomici a Villa Adriana. 
Nel 2011 hanno pubblicato insieme il volume Villa Adriana. Architettura Celeste. I segreti dei Solstizi. In seguito hanno condotto studi su altri antichi edifici romani (Pantheon; Villa Jovis a Capri e il Mausoleo di Adriano), in cui si osservano speciali fenomeni luminosi all’equinozio e al solstizio estivo. 

Le due conferenze si terranno presso la Galleria Prencipe e hanno un costo totale di 30 euro + 5 euro di iscrizione per i nuovi soci. 

Non è possibile acquistare la presenza a una singola conferenza. 

Sarà rilasciato un attestato di partecipazione. È possibile iscriversi fino al 31 marzo, salvo esaurimento posti. 

Per informazioni e iscrizioni: galleria@umbertoprencipe.it; 338.3665665, 328.4829116. 

10/03/16

"Francesco nell'arte, da Cimabue a Caravaggio", una splendida mostra a Ascoli Piceno.

Caravaggio, San Francesco in meditazione

Si inaugura sabato 12 marzo alle ore 17:00 presso la Sala della Ragione Palazzo dei Capitani la mostra “Francesco nell’arte. Da Cimabue a Caravaggio” curata da Giovanni Morello e Stefano Papetti. 

Dopo l’inaugurazione seguirà la visita guidata alla mostra allestita nella Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno. 

“Francesco nell’arte. Da Cimabue a Caravaggio ” è la prima delle quattro grandi mostre che la Regione Marche dedica al Giubileo della Misericordia, unica regione ad onorare il Giubileo indetto da Papa Francesco con mostre importantissime

Il 2016, un anno straordinario, raccoglie come chiave tematica unitaria un programma di esposizioni unico in Italia per valore degli allestimenti, preziosità delle opere ospitate e prestigio dei curatori che si sono impegnati per realizzare progetti espositivi di livello internazionale. 

Stefano Papetti, curatore della mostra e direttore della Pinacoteca civica, ha sottolineato come la mostra di Ascoli Piceno, con numerosissimi prestiti da tutta Italia, sarà anche l’occasione non solo per i visitatori ma anche per gli studiosi di avere un raffronto sull’iconografia di San Francesco , da Cimabue al Piazzetta , che non è stata , al contrario di altri Santi, univoca

“Una ricerca – ha ricordato il critico d’arte - anche sulle diverse raffigurazioni del saio, della postura, la tonsura e le stigmate. Ma sarà anche un modo per conoscere l’arte francescana di Ascoli Piceno dove Francesco sostò più di due mesi nel 1215 per la sua predicazione convincendo a seguirlo molti rampolli delle più nobili famiglie ascolane.” 

La mostra “Francesco nell’arte. Da Cimabue a Caravaggio”, inserita in un più ampio contesto di iniziative culturali che coinvolgeranno la città di Ascoli Piceno nel corso del 2016, intende ricordare la figura di San Francesco in occasione dell’ottavo centenario della sua venuta nel Piceno. 

Il fondatore dell’ordine francescano, in virtù della sua precoce popolarità è stato infatti rappresentato dai maggiori artisti italiani e stranieri, a partire da alcuni tra i più autorevoli esponenti dell’arte gotica che ebbero modo di conoscerlo o di ricevere dai suoi più diretti seguaci informazioni attendibili circa il suo aspetto fisico. 

Nelle tavole dipinte da Margaritone d’Arezzo, da Bonaventura Berlinghieri e da Cimabue viene dunque fissato un modello rappresentativo al quale si sono attenuti gli artisti dei secoli successivi, attenti a rispettare scrupolosamente alcuni dettagli iconografici che consentivano facilmente ai devoti di riconoscere, tra gli altri santi, la presenza di Francesco. 

Nelle Marche le visite da lui effettuate, il grande seguito che ha raccolto e soprattutto la precoce istituzione di conventi maschili e femminili legati alla regola francescana, l’origine ascolana del primo papa francescano (Niccolò IV, 1288-1292) hanno determinato lo svilupparsi di una intensa iconografia legata alla figura del santo d’Assisi ed alle sue vicende personali: non è un caso che proprio nella chiesa di san Gregorio ad Ascoli Piceno si conservi un affresco del XIII secolo che per la prima volta riproduce la predica agli uccelli, un tema che nei secoli successivi è stato spesso rappresentato fino ad assumere la caratteristica di un vero e proprio topos utile a dimostrare l’attenzione di Francesco verso tutto il creato. Grazie ai prestiti richiesti ai maggiori musei italiani, sarà possibile ripercorrere l’evoluzione della figura di Francesco nella pittura dal Medioevo alla Controriforma, quando, in base alle norme relative all’arte sacra sancite in occasione del Concilio di Trento, venne ribadita la necessità di rappresentarlo rispettando la tradizione iconografica stabilita fin dal XIII secolo, come attesta nel suo “Dialogo sugli errori de’ pittori circa le istorie” il sacerdote fabrianese Giovanni Andrea Gilio (1564)

Nell’imponente Sala della Vittoria della Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno, saranno quindi collocati i dipinti della mostra che si aggiungeranno ai due capolavori legati al tema francescano già presenti nelle raccolte comunali: la grande tela di Tiziano raffigurante San Francesco che riceve le stigmate e la tavola di Cola dell’Amatrice raffigurante il santo di Assisi con altri confratelli. Idealmente la mostra troverà un suo sviluppo nella Sala del piviale dove è esposto il prezioso paramento liturgico ricamato in opus anglicanum donato alla città di Ascoli dal Pontefice Nicolò IV, il primo francescano ad essere asceso alla cattedra di san Pietro.

Francesco nell’arte. Da Cimabue a Caravaggio 
Ascoli Piceno, Pinacoteca Civica 
12 marzo / 30 giugno 2016 
a cura di Giovanni Morello e Stefano Papetti