20/10/16

J.S.Bach "esoterico" e la sua passione per la crittografia.



Come tutti sanno la musica di Johann Sebastian Bach (185-1750), prodigio di misura ed armonia, è strettamente imparentata con la matematica. 

Forse non è altrettanto noto che Bach era affascinato proprio dalla natura bifronte delle note - suoni da una parte, numeri dall'altro. 

Non per niente decise di inserire il suo nome, come una sorta di firma musicale, in alcune composizioni, approfittando del fatto che nella notazione musicale tedesca B sta per si bemolle; A per la; C per do e H per si. 

Un'altra crittografia usata da Bach si basava sulla cosiddetta gematria: Se A = 1 B=2, C=3, eccetera... BACH (B+A+C+H) = 14 e J.S.Bach = 41 (dato che I e J erano equivalenti nell'alfabeto tedesco dell'epoca). 

Nel suo libro Bachanalia uscito nel 1994 il matematico e appassionato di Bach, Erich Altschuler fornisce molti esempi in cui compaiono nella musica del grande compositore numeri come il 14 (BACH cifrato) e il 41 (JSBACH cifrato), che lui ritiene siano stati inseriti di proposito. 

Per esempio, nella prima fuga (in do maggiore) del primo libro del Clavicembalo ben temperato, il soggetto ha 14 note. 

Inoltre, delle 24 fughe del libro, ventidue sono portate a compimento e la ventitreesima è portata quasi a compimento; solo una - la quattordicesima - non è completa né quasi completa. 

Alschulter paragona la mania di Bach di firmare in forma crittografica le sue opere - inserendo in forma criptica, cioè esoterica, il suo nome - a quello del regista Alfred Hitchcock di comparire con fugaci e quasi impercettibili camei in ciascuno dei suoi film. 




J.S.Bach esoterico e la sua passione per la crittografia.



Come tutti sanno la musica di Johann Sebastian Bach (185-1750), prodigio di misura ed armonia, è strettamente imparentata con la matematica. 

Forse non è altrettanto noto che Bach era affascinato proprio dalla natura bifronte delle note - suoni da una parte, numeri dall'altro. 

Non per niente decise di inserire il suo nome, come una sorta di firma musicale, in alcune composizioni, approfittando del fatto che nella notazione musicale tedesca B sta per si bemolle; A per la; C per do e H per si. 

Un'altra crittografia usata da Bach si basava sulla cosiddetta gematria: Se A = 1 B=2, C=3, eccetera... BACH (B+A+C+H) = 14 e J.S.Bach = 41 (dato che I e J erano equivalenti nell'alfabeto tedesco dell'epoca). 

Nel suo libro Bachanalia uscito nel 1994 il matematico e appassionato di Bach, Erich Altschuler fornisce molti esempi in cui compaiono nella musica del grande compositore numeri come il 14 (BACH cifrato) e il 41 (JSBACH cifrato), che lui ritiene siano stati inseriti di proposito. 

Per esempio, nella prima fuga (in do maggiore) del primo libro del Clavicembalo ben temperato, il soggetto ha 14 note. 

Inoltre, delle 24 fughe del libro, ventidue sono portate a compimento e la ventitreesima è portata quasi a compimento; solo una - la quattordicesima - non è completa né quasi completa. 

Alschulter paragona la mania di Bach di firmare in forma crittografica le sue opere - inserendo in forma criptica, cioè esoterica, il suo nome - a quello del regista Alfred Hitchcock di comparire con fugaci e quasi impercettibili camei in ciascuno dei suoi film. 




J.S.Bach esoterico e la sua passione per la crittografia.



Come tutti sanno la musica di Johann Sebastian Bach (185-1750), prodigio di misura ed armonia, è strettamente imparentata con la matematica. 

Forse non è altrettanto noto che Bach era affascinato proprio dalla natura bifronte delle note - suoni da una parte, numeri dall'altro. 

Non per niente decise di inserire il suo nome, come una sorta di firma musicale, in alcune composizioni, approfittando del fatto che nella notazione musicale tedesca B sta per si bemolle; A per la; C per do e H per si. 

Un'altra crittografia usata da Bach si basava sulla cosiddetta gematria: Se A = 1 B=2, C=3, eccetera... BACH (B+A+C+H) = 14 e J.S.Bach = 41 (dato che I e J erano equivalenti nell'alfabeto tedesco dell'epoca). 

Nel suo libro Bachanalia uscito nel 1994 il matematico e appassionato di Bach, Erich Altschuler fornisce molti esempi in cui compaiono nella musica del grande compositore numeri come il 14 (BACH cifrato) e il 41 (JSBACH cifrato), che lui ritiene siano stati inseriti di proposito. 

Per esempio, nella prima fuga (in do maggiore) del primo libro del Clavicembalo ben temperato, il soggetto ha 14 note. 

Inoltre, delle 24 fughe del libro, ventidue sono portate a compimento e la ventitreesima è portata quasi a compimento; solo una - la quattordicesima - non è completa né quasi completa. 

Alschulter paragona la mania di Bach di firmare in forma crittografica le sue opere - inserendo in forma criptica, cioè esoterica, il suo nome - a quello del regista Alfred Hitchcock di comparire con fugaci e quasi impercettibili camei in ciascuno dei suoi film. 




19/10/16

I mille alibi per non fare nulla.




Viviamo nell'epoca del no, della negazione, della delegittimazione. 

Nel mondo caotico sarebbe bello se gli uomini dedicassero le energie di tutti i giorni anziché per criticare, smentire, delegittimare, negare gli altri (spesso aprioristicamente e sulla base di fragilissimi pregiudizi inconsistenti), per migliorare se stessi. 

Purtroppo migliorare se stessi è un'operazione lunga e faticosa. Mentre spargere un po' di odio a destra e manca e insultare un (presunto) avversario non costa niente, ed è anche abbastanza liberatorio, in modo primitivo, come esperire una funzione fisiologica. 

Migliorare se stessi vuol dire conoscersi. E poi anche dare spazio alla propria creatività. 

E' spesso proprio la repressione di questo istinto creativo - che tutti in misura maggiore o minore hanno - a generare i mostri peggiori. 

Ma per evitare di confrontarsi con se stessi e di raggiungere gli spazi creativi interiori, siamo tutti bravi a crearci alibi di ogni sorta: primo fra tutti  la mancanza di tempo, la mancanza di tranquillità.

Dedicato a tutti coloro che pensano che per esprimere la propria creatività - qualunque essa sia - bisogna rifugiarsi in un eremo, stare tranquilli, trovare il tempo, isolarsi da tutto e da tutti: Ludwig Wittgenstein cominciò a scrivere la prima pagina del suo diario, nel 1914, appena entrato in trincea. 

Lo terminò alla fine della guerra. 

Era il Tractatus logico-philosophicus, l'opera filosofica più importante del Novecento. 

Nel dicembre del 1914, imbarcato su un cargo militare, egli annotò: "di notte i cannoni hanno fatto fuoco talmente vicino a noi, che la nave traballava. Ho lavorato molto e con successo." 

Forza ragazzi, un po' di coraggio.. Noi le bombe non ce le abbiamo, ma ogni giorno ci carichiamo di mille alibi per non fare nulla.

Fabrizio Falconi 

18/10/16

La "Dea Roma" di Igor Mitoraj, un meraviglioso esempio di arredo urbano.




Ogni volta che ci passo davanti, penso che l'installazione - permanente - del volto colossale della Dea Roma di Igor Mitoraj alla fine del Viale Mazzini, di fronte  a Ponte Risorgimento, sia uno dei più bei esempi - anche perché negli ultimi anni ce ne sono stati ben pochi - di decoro, abbellimento urbano. 

Questo enigmatico volto di pietra accoglie  tutti i giorni gli automobilisti e i passanti che attraversano il Ponte. emergendo da uno spazio metafisico, dalle siepi e dai cipressi che segnano l'inizio del quartiere Prati. 

La grande scultura - in realtà una fontana - fu posata il 16 settembre 2003, sotto la prima giunta Veltroni - regalo di Finmeccanica alla città di Roma. 

Felice fu la scelta dell'opera, felice fu la sua collocazione. 

Meno - come per quasi tutti i monumenti e i luoghi antichi e moderni della città - la sua manutenzione.

In una intervista a Rai Radio 3 del 23 gennaio 2005 e pubblicata dal sito Medea , Mitoraj spiegava la genesi dell'opera: 

"Questa dell’estrazione della Dea Roma era un mio saluto, un sentimento,una specie d’atto d’amore per la città di Roma che volevo che emergesse dal sottosuolo con gli stessi materiali di vecchi palazzi, vecchi ponti, Bernini, eccetera eccetera …e il travertino di Tivoli. 

E che sia un punto di…un po’ quello che sta diventando, un punto di riferimento un pochino…che si scende da Valle Giulia e da tutti i Musei…si passa là e vedi questa scultura che piano piano si alza davanti a te e poi giri. È uno scenario perfetto…estremamente romantico, perché ci sono i pini romani, ci sono dei cipressi, ci sono dei lecci, ho fatto aggiungere altre piante, tipo melograni, olivi, altre cose dietro, per fare una specie di giardinetto all’antica

Ma è una cosa molto simbolica perché questa fontana dovrebbe…non so se funziona adesso o no, così è…L’acqua scorre come i nostri ricordi…come i nostri giorni che scorrono su questo viso… Io vorrei lasciare queste felci…queste incrostazioni…perché si amalgamasse di più ancora al tessuto romano… poi di questo giardino qua… Poi vediamo… È un po’ nuova ancora…vediamo come vivrà la sua vita… " 

(Igor Mitoraj, intervista Radio Rai 3, 23 gennaio 2005) 


In un'altra conversazione, sempre riportata dallo stesso Sito, Mitoraj spiega ancora "Jorge Luis Borges soleva dire che a Roma non si va, si torna soltanto. Anche se non ci si è mai stati prima. Perché Roma è un mito che vive nell’immaginazione universale….Anche per me Roma è un mito, vive nella mia immaginazione da quando sono diventato adulto. Mi sedevo lì e contemplavo il panorama di Roma, d’una bellezza struggente. Il travertino è la pietra più vicina alla terra, alla natura,. Io lo avevo già usato per altre sculture , come Tindaro travertino, ma mi è diventato familiare quando ho fatto la Dea Roma. 

E’ stata per me un’operazione affascinante lavorare questo marmo. Ho impiegato due anni e mezzo. Avevo la sensazione che fosse come una sorgente di pietra dalla quale fluiva l’acqua, alla stregua delle celebri fontane di Tivoli. Ma spero che non fluisca via come l’acqua, che sopravviva come sopravvivono i monumenti e le statue di travertino che fanno la gloria di Roma." 



17/10/16

"Quanta neve stanotte, quante stelle" di Fabrizio Falconi.





Quanta neve stanotte, quante stelle
nel mio cuore disarcionato, a rilento
  vanno i sentimenti come corse di tram
misteriose nella sera. Insicuro
  stanco di una vinta e assoluta
stanchezza, mi candido a relitto
  di un'eroica mareggiata di fine
inverno. Deponimi, mia quieta
  e celebrata compagna, deponi i miei
sensi, e scioglili al disinganno dei
vuoti argomenti di questa stagione degli altri,
troppo sfinita e troppo
                                   rumorosa.



Fabrizio Falconi (2000) © inedita

14/10/16

La più grande mostra su Beethoven, apre a Parigi (fino al 29 gennaio).



Le sue sinfonie continuano a risuonare, al cinema, in spot televisivi e molto altro, e adesso Beethoven è protagonista di una mostra alla Filarmonica di Parigi fino al 29 gennaio che ne celebra il mito, e ne riconosce il ruolo chiave nella musica mondiale, capace di superare confini e barriere, e di attraversare i generi.

Un'esposizione in cui ascoltare le musiche, ammirare le campagne che le usano come sottofondo, ma non solo.

Ci sono quadri, disegni e opere che celebrano Ludwig van Beethoven e ne mostrano l'influenza sul panorama artistico, politico, intellettuale e sociale prima e dopo la sua morte nel 1827.

Da Gustav Klimt a Stanley Kubrick, il suo fantasma ha sempre continuato ad aleggiare e a inspirare capolavori.

"Credo che una delle chiavi del suo successo sia la profonda umanità della sua musica - spiega la curatrice della mostra Marie-Pauline Martin - non è un linguaggio in codice, né eccessivamente classico, è un linguaggio musicale che raggiunge l'anima di chiunque e che lo rende moderno, sempre, dal IX secolo ai giorni nostri. L'altro elemento è sicuramente la sua semplicità. 'L'inno alla gioia' è un tema che ha solo cinque note, un ritmo semplice o come direbbe Wagner una melodia, una melodia così semplice che può essere compresa da un largo pubblico".

 Lui stesso ha contribuito alla creazione del mito.

"La prova è che al suo funerale c'erano 20-30mila persone a seguire la sua bara - dice ancora la curatrice - per noi è importante mostrare che l'immagine che molti hanno di lui è sbagliata, quella di un compositore morto solo, un genio quasi incompreso, sepolto in una tomba pubblica. La sua grandezza invece se la è costruta lui stesso, quando era ancora vivo".

fonte Askanews

13/10/16

Il Nobel per la Letteratura a Bob Dylan - Dalla Svezia: "E' come un grande cantore greco."




Il Premio Nobel della Letteratura va dunque quest'anno al grande Bob Dylan. 

"Spero non ci siano critiche per questo premio". L'auspicio e' di Sara Danius, segretaria permanente dell'Accademia Svedese, che ogni anno assegna il Nobel. La scrittrice spiega perche' assegnarlo a un cantautore come Bob Dylan non e' un atto rivoluzionario. "Puo' sembrarlo - sottolinea in un'intervista rilasciata subito dopo l'annuncio del vincitore del Nobel per la Letteratura -, ma se si guarda indietro a 2500 anni fa, si incontrano poeti come Omero o Saffo che scrissero testi che dovevano essere interpretati o ascoltati anche con l'accompagnamento di strumenti musicali. Lo stesso accade con Bob Dylan. Noi leggiamo ancora Omero e Saffo e ci piacciono, anche Dylan puo' e dovrebbe essere letto oggi, perche' e' un grande poeta".

La motivazione ufficiale e' "per aver creato una nuova espressione poetica nell'ambito della tradizione della grande canzone americana".

"Bob Dylan scrive poesia per le orecchie, ma e' del tutto corretto leggere il suo lavoro come poesia - aggiunge Danius -. E' un grande poeta della tradizione in lingua inglese, un esempio meraviglioso e molto originale di quella tradizione. Per 54 anni e' stato attivo e ha reinventato se stesso costantemente, creando sempre nuove identita'".

 Secondo la docente universitaria e saggista svedese, "se si vuole iniziare ad ascoltare o leggere la sua poetica si potrebbe partire da Blonde on Blonde, album del 1966 che contiene molti classici ed e' uno straordinario esempio del suo brillante modo di mettere insieme i versi e della sua visione delle cose". Quanto al suo personale rapporto con il cantante americano, Danius fa sapere di non essere stata una sua fan. "Non ho ascoltato molto le sue canzoni, ma erano sempre intorno - sottolinea -. Conosco la sua musica e ho cominciato a apprezzarlo molto piu' ora che in passato. Ero fan di David Bowie, forse e' una questione generazionale".

fonte: ANSA

12/10/16

L'Estasi di Santa Teresa nella chiesa di Santa Maria della Vittoria, un capolavoro immortale.



Qualche giorno fa sono tornato a visitare la chiesa di Santa Maria della Vittoria in via XX settembre, una delle più magnifiche della capitale.  E sono rimasto come sempre colpito dal tipo di turismo di massa selvaggio che ormai si consuma a Roma, come in molte altre città. 

Uno stuolo di turisti - forse americani - tutti con cappellino da baseball e asta per lo smartphone, sono entrati in Chiesa, incuranti dei tesori che vi si conservano e sono andati diretti davanti all'Estasi di Santa Teresa (o Transverberazione di Santa Teresa d'Avila come sarebbe più giusto chiamarla) scolpita da Gian Lorenzo Bernini che evidentemente le loro guide ritengono uno dei must   da vedere in quelle che presumo visite-lampo nella capitale.  Così, giusto il tempo per uno scatto al gruppo scultoreo, in fila uno per uno,e poi tutti fuori dalla Chiesa, in pochi secondi. 

E' un peccato. Ma questo è lo stato dell'arte attualmente. E dispiace che si dedichino a quest'opera meravigliosa soltanto pochi secondi (spesso neanche osservati con il proprio occhio, ma solo con lo schermo di uno smartphone). 

La Transverberazione, nella Cappella Cornaro, è forse il più grande capolavoro del Bernini. 

I lavori gli furono affidati dal cardinale Federico Cornaro nel 1647 e nella realizzazione della intera cappella il Bernini si superò, colpito nell'orgoglio dalla tiepida accoglienza che il Cardinale aveva riservato ad altre sue opere. 

Bernini realizzò una specie di macchina teatrale, creando una nicchia nel transetto che, attraverso i vetri gialli utilizzati, fornisce un vero e proprio spot di luce (come si direbbe a teatro), diretto sul gruppo scultoreo, in linea con il dardo spiccato dall'angelo verso il cuore della Santa e con quelli di luce, in stucco che scendono dall'alto dorati. 

Il vero capolavoro però è la scultura del corpo della Santa, avvolto nelle vesti che sembrano agitate e sollevate da venti tempestosi. Il volto di Teresa è sconvolto dalla visione, gli occhi sono rivoltati verso l'alto, tutto il corpo è sconvolto da un sentimento quasi erotico di condivisione passionale, in perfetta ottemperanza di quanto la Santa scrisse nella sua autobiografia: 

Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura.  Vidi nella sua mano una  lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore tanto da penetrare dentro di me.  Il dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata.  (Santa Teresa d'Avila, Autobiografia, XXIX, 13)


Bernini, nel pieno della maturità, aveva allora quarant'anni e la sua fede si era rafforzata attraverso la pratica degli esercizi spirituali di Sant'Ignazio, eseguiti sotto la guida dei padri Gesuiti, che allora frequentava. 

Non sono mancate interpretazioni esoteriche, non nuove fra l'altro nell'arte del Bernini, che leggono questa opera come segno di iniziazione verso stati di coscienza superiori, con l'angelo spirito di luce che guida verso il contatto ultraterreno. 

La potenza di quest'opera è comunque intatta. Basta soltanto tornare a visitarla nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria, magari, se possibile, scansando le frotte dei distratti turisti. 


Fabrizio Falconi





11/10/16

"Il rumore del tempo" di Julian Barnes (Recensione).



Il nuovo romanzo di Julian Barnes comincia a raccontare la vita del grande compositore russo Dmitrij Sostakovic nel momento in cui egli ha già riscosso successi in patria e in mezzo mondo quando il compagno Stalin in persona emette l'inappellabile condanna: la sua non è musica, è solo caos. 

Da quel momento la vita del «nemico del popolo» Sostakovic non è che una foglia al vento, e la sua anima assediata dalla paura, il campo di battaglia fra codardia ed eroismo

La causa del disastro è nella messa in scena, la mattina del 29 gennaio 1936 dell'ultima opera del Maestro, Lady Macbeth del distretto di Mcensk, alla quale ha assistito anche Stalin in persona. Evidentemente ispirata dal parere negativo del dittatore, la terza pagina della «Pravda» stronca l'opera titolando Caos anziché musica e accusando l'opera di accarezzare «il gusto morboso del pubblico borghese con una musica inquieta e nevrastenica».

Da qui la paura di Sostakovic, concreta, di non perdere solo onore e mestiere, ma perfino la vita. Da un momento all'altro si aspetta di essere esiliato, portato in Siberia, oppure ucciso.

Ma il Potere ha in riserbo per lui una cura molto più sottile: inizia infatti il primo di una serie di colloqui con alti funzionari che cercano di carpirne delazioni e abiure. Fino ad un parziale perdono grazie al quale, specie dopo la morte di Stalin la musica di Sostakovic può tornare a circolare liberamente e il suo nome riabilitato.

Il compositore lotta per decenni interi contro la propria vigliaccheria e il proprio coraggio, necessariamente tenuto a bada, costretto al silenzio per non far parte dei «facili» martiri contemporanei .

Dmitrij Dmitrievic Sostakovic sceglie l'ambiguità, sceglie di firmare petizioni e documenti e discorsi con la sua firma anche se nulla della sua anima condivide gli assunti del Potere, primo fra tutti quello che l'Arte appartenga al popolo. 

Barnes ricostruisce la vicenda umana di Sostakovic nel suo consueto stile: il vasto materiale biografico originale - tratto, come è specificato nella nota finale dai libri di Elizabeth Wilson (Shostakovich: A life remembered, 1994) e di Solomon Volkov (Testimony: The memoirs of Shostakovich, 1979) - rivive nella forma di un romanzo scritto per brevi capitoli come era già stato per Il Pappagallo di Flaubert, il capolavoro di Barnes. 

Qui, forse a causa del clima claustrale, penitenziale, claustrofobico, in cui è ambientato il romanzo, anche la narrazione è però più fonda e stanca, come se risentisse dell'essere nauseato e sfiancato del musicista nel corso della sua lunga vicenda di sottile e costante persecuzione da parte di un potere dittatoriale. 

Il romanzo insomma racconta ma non vibra. Non spicca mai il volo. Resta una muta testimonianza, nella quale anche il profilo di Sostakovic rimane tutto sommato in secondo piano, ingrigito dal contesto burocratico e miope, che riesce a ridurre anche l'opera musicale artistica a una vicenda prosaica.

Sostakovic, che odiava gli anni bisestili, muore poco prima dell'inizio di un nuovo anno bisestile, il 9 agosto 1975, portandosi dietro i suoi umani affanni, gli amori, le donne, gli equivoci i malintesi, le frustrazioni. Lasciando però, come era il suo sogno definitivo, l'opera a continuare il cammino, lei libera da ogni impaccio umano.

Fabrizio Falconi

Julian Barnes
Il rumore del tempo
Edizioni Einaudi
2016 Supercoralli 
pp. 200 € 18,50 
ISBN 9788806230876 
 Traduzione di Susanna Basso

10/10/16

Il Degrado di Roma e delle altre città d'arte italiane. Un articolo di Ernesto Galli della Loggia.



A chi appartengono Firenze, Roma, Venezia, i grandi luoghi della bellezza italiana? A chi anche quelli meno noti, i tanti borghi sparsi nella Penisola, per esempio quelle autentiche gemme dell’Umbria che sono Bevagna e Montefalco? 

Chi ha titolo a decidere del loro destino? si chiede inevitabilmente chi oggi visita questi luoghi . Se lo chiede davanti allo spettacolo dello scempio che se ne sta facendo.

Lasciamo perdere la calca soffocante dei turisti italiani e stranieri che si aggirano di continuo in un paesaggio urbano in genere concepito per la ventesima parte di quelli che oggi vi aggirano.

Lasciamo perdere dunque le gimkane tra le gambe della gente sdraiata come se nulla fosse in mezzo alla strada, o il percorso continuo a zig zag cui si è costretti per evitare di essere travolti da gruppi di turisti procedenti come rulli compressori con gli occhi fissi sul segnacolo brandito dalla loro guida, e lasciamo perdere pure gli assalti ai mezzi pubblici, o le pipì in mezzo alla strada e i tuffi nei canali delle cronache di questa estate. 

Ma quello che non si può lasciar perdere è lo stupro dei luoghi, lo stravolgimento dell’ambiente fino alla sua virtuale cancellazione. 

Tutto quello che il passato aveva fin qui prodotto - botteghe, commerci, edicole, angoli appartati , dignitosi negozi - tutto o quasi sta per scomparire o è già scomparso. 

Al suo posto minimarket, rivendite di cianfrusaglie orribili spacciate per souvenirs, losche hostarie con cibi congelati, caldarrostai bengalesi in pieno luglio, miriadi di bugigattoli per pizze a taglio, pub improbabili, sedie e tavolini straripanti fino alla metà della strada e presidiati da petulanti «buttadentro», gelaterie in ogni anfratto. 

Per non dire dello stuolo infinito di rivenditori extracomunitari di merci false, delle mille insegne in un inglese «de noantri», della marea di Bed & Breakfast spuntati dovunque come funghi

Non chiudiamo gli occhi di fronte alla realtà: i centri storici (e non solo loro) delle più belle città italiane e molte delle località cosiddette minori sono ridotti a questa informe poltiglia turistico- commerciale. 

Un cinico sfruttamento affaristico si sta mangiando ogni giorno un pezzo del nostro passato, del nostro Paese, un pezzo di quella «grande bellezza» di cui pure ama riempirsi la bocca la sempiterna retorica della chiacchiera politica. 

Di tutto quanto ho detto conosciamo i responsabili. Sono per la massima parte i poteri locali, le amministrazioni comunali, gli assessori e i sindaci. 

Questi ultimi soprattutto, per la loro funzione di guide e di responsabili politici ultimi. 

Sono i Comuni infatti che rilasciano le licenze commerciali, che autorizzano il cambiamento della destinazione d’uso dei locali, che emanano le regole circa l’arredo urbano. Sono essi infine che dispongono della polizia locale la quale — anche su ciò è ora di dire una parola di verità — specie nei grandi centri da Roma in giù rappresenta uno dei tanti aspetti scandalosi di questo Paese, essendo quel ricettacolo che essa abitualmente è di clientele politiche e di assenteismo, esempio di una conclamata approssimazione professionale quando non di peggio.

E’ la polizia urbana agli ordini dei sindaci che non controlla nulla, non è mai presente, lascia correre, fa finta di non vedere. 

Il fatto è che i sindaci hanno un interesse preciso a fare andare le cose nel modo in cui vanno

Si chiama democrazia. Non la democrazia come ideale , beninteso, al quale siamo tutti devoti, ma la democrazia come realtà. Cioè come suffragio elettorale, come necessità di ottenere e mantenere il consenso degli elettori. 


07/10/16

I grandi Tesori di Palmira ferita da oggi in Mostra al Colosseo.





La Sala dell'Archivio di Ebla, dove nel 1975 furono rinvenute 17.000 tavolette cuneiformi, oggi in stato di abbandono, il gigantesco Toro androcefalo alato di Nimrud, finito polverizzato, il tetto del Tempio di Bel a Palmira, di cui restano solo frammenti, rivivono grazie a magistrali ricostruzioni a grandezza naturale nella mostra allestita da oggi all'11 dicembre al Colosseo.

Un messaggio di speranza per i tesori di civilta' andati distrutti a causa del conflitto bellico in Siria e in Iraq, le cui drammatiche conseguenze sono documentate anche da due splendidi altorilievi (da Palmira), violentemente danneggiati dalla furia iconoclasta, che saranno restaurati in Italia.

Intitolata 'Rinascere dalle distruzioni. Ebla, Nimrud, Palmira', l'importante esposizione e' stata ideata e curata da Francesco Rutelli e Paolo Matthiae, alla guida nel 1964 della spedizione archeologica italiana che riporto' alla luce le meraviglie di Ebla.

160mila euro all'anno per tre anni. E' questo l'esborso sostenuto dalla FondazioneTerzo Pilastro per dare vita a "Rinascere dalle distruzioni. Ebla, Nimrud, Palmira", la mostra inaugurata alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, del Ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, e del Ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini.

La mostra e' stata interamente finanziata dalla Fondazione Terzo Pilastro, senza alcun onere per lo Stato.

"Il nostro obiettivo finale - ha dichiarato Emmanuele F.M. Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro - e' ricostruire i monumenti nel luogo in cui sono stati abbattuti. Siamo pronti, se sara' necessario, anche ad aumentare il volume del nostro sostegno all'iniziativa".

 Emozionato, davanti al riallestimento di quelli che potrebbero essere i resti degli Archivi Reali della citta' siriana, Matthiae ricorda quel giorno di ottobre di 41 anni fa, quando comincio' a riemergere lo straordinario patrimonio di tavolette incise, scoperta che costitui' una vera e propria rivoluzione per l'indagine storiografica.

"La situazione in Siria adesso e' drammatica - ha detto Matthiae - ma questa mostra e' il primo segnale da parte di un paese occidentale che cio' che l'Isis ha distrutto puo' essere ricostruito". Un compito che potra' essere perseguito, ha proseguito l'archeologo, solo in caso che finisca la guerra e sia garantito il massimo livello di sicurezza.

A patto comunque che ogni intervento di recupero del patrimonio sia compiuto nel rispetto della sovranita' dei singoli paesi, in modo coordinato e con una collaborazione "possibilmente universale".

Del resto il dialogo e' gia' iniziato, testimoniato dai due reperti eccezionalmente concessi in prestito dalle autorita' siriane, "feriti dalla guerra", ha spiegato Francesco Rutelli, che l'Italia restaurera' nei prossimi mesi e restituira' nel loro splendore originario.

Non a caso e' proprio Rutelli a parlare di una sorta di "corridoio per la cultura", in quanto la mostra romana e' stata ideata e realizzata con il conflitto ancora in corso, in grado quindi di documentare "la storia, i contrasti, il valore di una civilta"'.

"Il Colosseo e' il sito del nostro paese piu' visitato da italiani e stranieri - ha aggiunto il Soprintendente per il Colosseo e l'area archeologica centrale di Roma Francesco Prosperetti - Con questa rassegna lanciamo un messaggio globale sull'importanza del patrimonio culturale e del suo valore identitario, sulla necessita' di proteggerla, curarla, restaurarla, in alcuni casi di ricostruirla".

Ecco quindi il percorso espositivo che si apre con la ricostruzione del Toro alato, con il volto dalle fattezze umane, tra le meraviglie di Namrud, prima capitale dell'impero assiro, andato distrutto nella primavera del 2015 quando il sedicente Stato Islamico ha abbattuto, con cariche di esplosivo, il settore della corte e della sala del trono del palazzo di Assurnasirpal II.

Alto quasi cinque metri e imponente come l'originale (purtroppo polverizzato), quello esposto e' stato realizzato in polistirolo, suddiviso in blocchi (assemblati in loco), induriti con passate di resina e infine rivestiti con finta pietra (in travertino macinato), lavorata e modellata a mano per riprodurre ogni minimo dettaglio (perfino le crepe del tempo) del capolavoro distrutto.

"C'e' voluta una grande ricerca per arrivare a questi risultati di perfezione", sottolinea la storica dell'arte Cristina Acidini, commentando il lavoro di Nicola Salvioli, specializzatosi alla scuola di Alta Formazione dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze, mentre la Sala dell'Archivio di Ebla e' stata messa a punto da Arte Idea e il soffitto del Tempio di Bel a Palmira da Tryeco 2.0. Carica di suggestione, infine, l'installazione immersiva curata da Studio Azzurro, che trasporta il visitatore tra Siria e Iraq, nei luoghi dove le distruzioni sono avvenute.


06/10/16

I misteriosi sposi di Lorenzo Lotto, all'Ermitage di San Pietroburgo. Un quadro meraviglioso.



Ci sono quadri che non smettono mai di interrogare, di affascinare, come questo Ritratto di sposi, conservato all'Ermitage di San Pietroburgo, dipinto da Lorenzo Lotto nel 1523.

E' un dipinto pieno di allegorie piuttosto misteriose, che nel corso dei secoli hanno dato adito alle più varie interpretazioni. 

Innanzitutto, nonostante le molte ricerche, non si è riuscito a dare una identità alla coppia degli sposi ritratti, anche se per l'analogia del tema con il quadro gemello  - Il Ritratto di Marsilio Cassotti e della sua sposa Faustina conservato nel Museo del Prado di Madrid - si ritiene si tratti anche in questo caso di una coppia di coniugi bergamaschi. 

Subito però colpisce l'atmosfera del ritratto, che è ben diversa dall'altro quadro: se quello infatti si presenta come una celebrazione festosa del matrimonio, questo ha un aspetto assai cupo, quasi lugubre. 

Si adegua al tono scurissimo dello sfondo, il paesaggio che si intravvede attraverso la finestra aperta: un paesaggio serale e autunnale, il cielo corrusco con un sole smorto e il vento che piega le cime degli alberi. 

Ma altri particolari sono straordinari: primo fra tutte lo scoiattolo che si vede disteso sulla tavola (ricoperta da una tovaglia incredibilmente dipinta)  vicino alla mano del marito, che fa da pendant al cagnolino in grembo alla donna. 

Secondo alcune interpretazioni lo scoiattolo, che è raffigurato dormiente, potrebbe avere una valenza moralistica, in quanto simboleggiava la lussuria. Un'altra tradizione medievale sosteneva che lo scoiattolo, d'inverno quando scarseggia il cibo, scaccia dalla tana la femmina. 

Il marito mostra con la mano sinistra un foglio su cui è scritta la frase: "homo numquam".

Dalla scritta si deduce che l'uomo non farà mai ciò che sta facendo lo scoiattolo, cioè dormire, dimenticando nel sonno i drammi della vita. 

Il fatto che la donna sia su un piano più alto rispetto al consorte - fatto del tutto inconsueto per le abitudini dei ritratti dell'epoca - e che abbia un'incarnato cereo e quasi spettrale, hanno fatto ipotizzare che il ritratto sia stato realizzato post-mortem della donna e che quindi sia un elogio alla virtù del vedovo che non dimentica la sposa. 

Fabrizio Falconi 




05/10/16

La Chiesa di Santa Maria in Porticu a Piazza Campitelli e la "Croce di fuoco".



E' una meravigliosa Chiesa di Roma, forse un po' sottovalutata rispetto alle più blasonate

Santa Maria in Porticu, in Piazza Campitelli ha comunque una storia nobilissima:  al centro dell'Altare si venera infatti da tempo immemorabile una prodigiosa immagine della Vergine che ha una storia antichissima: la Madonna sarebbe infatti apparsa ad alcune giovani donne; Fabiola, Marcella, Lucina, Paola e Galla, quest'ultima figlia di Simmaco, che in questo luogo allestivano ogni giorno una mensa per i poveri. 

Avvertito del miracolo, il pontefice di allora, Giovanni I (523 -526 d.C.) si recò sul luogo, e poiché in quell'epoca infieriva una terribile pestilenza, benedì Roma con il prezioso quadretto (grande soltanto cm.20x 25 cm.) e la peste cessò. Era il 17 luglio del 524. 



Nei secoli seguenti la Chiesa fu detta anche Romanae portus securitatis per i numerosi miracoli operati durante le varie calamità.

L'interno della Chiesa è maestoso, l'impianto architettonico incredibilmente elaborato, trionfo di linee barocche, capolavoro di C. Rainaldi (1662-1667).


Tra le molte opere d'arte e curiosità la Chiesa riserva una sorpresa : sulla sommità della tribuna, di sopra al cornicione in un ovale, è possibile notare un pezzo di colonna molto molto raro, di alabastro cotognino, che tagliata in mezzo, forma una croce ed è talmente trasparente che, ingannando la vista di chi entra in chiesa "sembra sianvi dentro de lumi", come scrisse il Nibby, o come dice il popolo, sembra di fuoco.  E davvero, vista nella penombra, appare come illuminata da lampade invisibili. 

Sembra che questo frammento di colonna sia stato ritrovato fra le rovine del vicino Portico d'Ottavia. Nella foto qui sotto si vede la Croce di fuoco, subito al di sopra della tribuna, nella cornice ovale. Ma per apprezzarla meglio bisogna andare di persona. 



Fabrizio Falconi

04/10/16

Dopo una certa età ognuno è responsabile della sua faccia.




Qualche giorno fa lo scrittore e critico Andrea Carraro ha pubblicato sul suo profilo Facebook una foto dello scrittore Michel Houellebecq - la vedete in coda a questo articolo - che ha subito suscitato - come avviene in quel socials - i più vari commenti, tra i quali quello che ricordava il celebre aforisma di Marcel Camus secondo cui Dopo una certa età ognuno è responsabile della faccia che ha. 

Fuori da ogni metafora lombrosiana, la faccia è da sempre considerata espressione della vita interiore, a partire dalla stessa etimologia, con la derivazione dal greco Ek-phài-nò, cioè mostro al di fuori.

Camus però precisa: Dopo una certa età. In questo senso accordandosi con Oscar Wilde, il quale sosteneva che la faccia fosse l'autobiografia di un uomo.

Così Cicerone secondo cui il volto è l'immagine dell'anima. 

Ma per quale motivo, bisognerebbe mantenere o lavorare per avere una buona faccia, anche e soprattutto a "una certa età" ?

La risposta ce la dà William Blake, il quale ammonisce: Chi non ha luce in viso, non diventerà mai una stella. 

L'obiettivo dunque è quello di avere - mantenere, curare - la luce in viso. Cosa che spesso accade ancora di più - a persone veramente illuminate, anche da vecchi. 

La foto in testa riguarda un ritratto da vecchio di Mark Strand, grande poeta canadese, che dopo la morte sta conoscendo un enorme successo (si è tramutato in stella ?)
Una faccia che ha luce. 

Fabrizio Falconi



03/10/16

Uno dei più bei ritratti di sempre: Il "giovane uomo" di Andrea del Sarto.



E' a mio avviso uno dei più bei ritratti al mondo. 

Il Ritratto di giovane è un dipinto eseguito da Andrea del Sarto, colui che fu definito dal Vasari il pittore "senza errori", tra il 1517 e il 1518. 

È facile vederlo dal vero, essendo conservato nella National Gallery di Londra, e al contrario di quanto è riportato nella voce di Wikipedia italiana, è esposto. Esattamente nella Room 8 del secondo piano della meravigliosa galleria londinese. 

E' un quadro misterioso e bellissimo.  Il mistero riguarda il  soggetto del ritratto che è di difficile identificazione. Per molto tempo lo si è ritenuto relativo a Giovan Battista Puccini, protettore del pittore e dalla cui collezione il dipinto proviene; ma all'epoca dell'esecuzione Puccini avrebbe avuto cinquantaquattro anni e il ritratto sembra realizzato dal vivo. 

Il misterioso giovane - di finissimi lineamenti - è seduto di tre quarti e rivolge il viso verso l'osservatore come se fosse stato colto, sorpreso mentre è completamente immerso nel suo lavoro. 

Fra l'altro non si sa bene neanche che cosa tenga stretto tra le mani: se un libro o un piccolo blocco di marmo: la pittura di Andrea del Sarto infatti è modernissima, fatta di pennellate su disegno, ombre e macchie di colore sfumate. 

Difficile riuscire a sfuggire al fascino di questo ritratto - grande 70 cm. circa per 50.  Un'altra grande testimonianza del genio del Rinascimento italiano. 

Fabrizio Falconi

02/10/16

E' morto Lucio Mariani - Poesia della domenica: "Giochi d'acqua."



E' morto ieri a Roma un grande amico poeta, Lucio Mariani. Lo ricordo con questa sua poesia, oggi, domenica. 



Giochi d'acqua 


Né una stella né un demone o un’avèrla
mi chiesero di esistere. Pure ti parla
ancora e ti sorride uno dei mille
e mille giochi d’acqua, un caso della forma,
la drupa lavorata dalle prove del tempo
fatta colma di sangue, che guardi ed accarezzi.

Né una stella né un demone domanderà
quando vorrò morire. Ma insiste l’ora e l’ombra
si propaga sulla spalla, insiste nelle frazioni
e i multipli a devastare puntigliosamente
mentre rifiuto il fratello sconosciuto
che mi rende
i suoi occhi malati dallo specchio.

Non mi chiede una stella di scrivere la vita
e con le dita stringere il sogno e la memoria.
Ma la penna è l’ago della mia ferita.


01/10/16

L'unica felicità possibile è nel presente - La Musica Brasiliana (Roberta Sà, Chico Buarque e il Samba).



L'unica felicità possibile è nel presente. 

Espressione di saggezza. Come sostiene Pierre Hadot, se si rincorre il passato, se si pensa di trovare la felicità nel passato, si è destinati all'infelicità; allo stesso modo se si insegue il sogno di una felicità futura, significa che si è infelici e quel sogno e quella possibilità sono continuamente spostati oltre, in un'altra dimensione. 

Non esiste al mondo musica più adatta ad esprime questo concetto che quella tradizionale brasiliana.

Quando ho visitato quel paese, in un lungo viaggio, ho capito come nella storia di quel paese - per molti motivi antropologici e perfino climatici - si è inscritto nei geni l'amore per la vita com'è

L'amore cioè per il tempo presente, per la vita che si vive momento per momento, per la meraviglia continua di essere partecipi di questo miracolo che scorre. 

Il Brasile di oggi certo è un paese ormai  civilizzato e globalizzato con mille problemi. E la vita delle persone è durissima come altrove.  Ma questo senso ancestrale è rimasto nella tradizione musicale. 

Lo si percepisce nei due minuti di video in testa un duetto tra Roberta Sà, una delle più dotate cantanti-autrici della nuova generazione e il maestro Chico Buarque de Hollande.

Un duetto vissuto soprattutto nella complicità degli sguardi (cui partecipa anche il chitarrista accompagnatore): sguardi pieni di gioia, luminosità, gioco seduttivo. 

Il Samba è la più completa espressione di questa joie de vivre: l'eterno Samba, che è lo spirito autentico della musica brasiliana.  Al Samba qualche tempo fa David Byrne ha dedicato una collezione di brani tradizionali al Samba degli anni '60 '70 e '80. 

Ripropongo qui una di queste meravigliose, semplici canzoni. Ascoltatela. C'è dentro tutta la felicità del presente, l'unica possibile in questa vita.

Fabrizio Falconi