21/11/16

100 anni dalla morte di Jack London - Le celebrazioni in Italia.


La vita breve ma intensa, il vitalismo incontenibile, rivoluzionario, di Jack London rimangono, a cent'anni dalla morte dello scrittore, "un monito a non darsi mai per vinti o sconfitti"

E i suoi scritti, dei quali non c'e' ancora certezza sul numero esatto, da 'Zanna Bianca' a 'Il richiamo della foresta' a 'Martin Eden' a 'Il tallone di ferro' hanno ancora molto da dirci sul rapporto tra uomo e natura, sulle conseguenze del capitalismo e il futuro della società. 

 A tutto questo e molto di piu' rende omaggio il Jack LondonTribute, tre giornate, dal 22 al 24 novembre a Trieste, di racconti, aneddoti, omaggi e testimonianze, a cura del regista e autore Massimo Navone e dello scrittore Davide Sapienza, tra i principali esperti e traduttore italiano di London

E arrivano in libreria per Chiarelettere 'Il senso della vita (secondo me)', con introduzione di Mario Maffi e per Orecchio Acerbo tornano 'L'ombra e il bagliore' con le illustrazioni di Fabian Negrin, il racconto prediletto da Borges e 'Il richiamo della foresta' in grande formato con le illustrazioni di Maurizio A.C. Quarello. 

Nato il 12 giugno 1876 a San Francisco e morto il 22 novembre 1916 a Glen Ellen, London resta ancora una figura da esplorare

Figlio di un astrologo ambulante che si rifiuta di riconoscerlo, con un padre adottivo che passava da un fallimento commerciale all'altro, London e' cresciuto insieme a compagnie poco raccomandabili. 

Leggendario scrittore di inizio Novecento, si e' misurato in mille mestieri. "Prima che mi dessero tutti questi titoli, ho lavorato in una fabbrica di conserve, in una di sottaceti, sono stato marinaio, ho trascorso mesi fra le schiere di disoccupati a cercar lavoro; ed e' questo lato della mia vita che io venero di piu', e a cui voglio restare attaccato finche' vivo" spiega London ne 'Il senso della vita'. 

 Il tributo si apre il 22 novembre al Teatro Miele di Trieste all'insegna di "Jack London, l'uomo venuto dal futuro" dove e' atteso un intervento in video realizzato per l'occasione dall'attore Marco Paolini, che con il suo "Ballata di uomini e cani" ha portato in scena con grande successo in questi ultimi anni alcuni racconti brevi di London sul rapporto uomo-natura. 

Fra gli altri contributi quelli di Claudio Bisio, Marco D'Amore, Paolo Pierobon, Gigio Alberti, Antonio Catania, Massimo Cirri, Giampiero Solari, Matteo Caccia, Nuzzo Di Biase, Cristina Dona' ed Eleonora Giovanardi. 

Al centro della seconda serata invece lo spettacolo ideato e firmato da Massimo Navone, 'Come il cane sono anch'io un animale socievole', ispirato a 'La peste scarlatta' con cui nel 1912 London sperimenta uno dei primi prototipi di narrativa 'post-apocalittica' e 'La forza dei Forti'.

 Lo spettacolo coinvolge gli spettatori in una 'performance letteraria interattiva'. In chiusura del Jack London Tribute, l'affabulazione/spettacolo 'Il Richiamo di Zanna bianca' di e con Davide Sapienza per la regia di Umberto Zanoletti e le canzoni di Francesco Garolfi. 

 E, all'ora dell'aperitivo, ogni giorno il Jack London Drink, reading di brani da 'John Barleycorn, memorie alcoliche' e altri racconti sorseggiando alcuni dei cocktail preferiti da London. Come dice Maffi nell'introduzione a 'Il senso della vita': "In un panorama editoriale che sembra continuare a privilegiare il ripiegamento su se stessi, il narcisismo e l'individualismo, le piccole tempeste nella tazzina da te', il rifiuto dell'impegno e dello schierarsi, l'accettazione del 'come e" e l'ossessiva ricerca in esso d'una piccola (e illusoria) nicchia personale, ben venga l'aria pura, piena d'ossigeno e di vita, che spira ormai da cent'anni da questi testi, da queste parole". 

20/11/16

La poesia della domenica - "Sotto un abietto salice" di W.H.Auden




Sotto un abietto salice

Sotto un abietto salice
non ti affliggere più, innamorato:
segua al pensiero rapida azione.
A che serve pensare?
La tua incessante prostrazione
mostra quanto sei freddo;
alzati, su, e ripiega
la tua mappa di desolazione.

I rintocchi che scorrono sui prati
da quella fosca guglia
suonan per queste ombre senza amore
che all'amore non servono.
Ciò che è vivo può amare: perché ancora
piegarsi alla sconfitta
con le braccia incrociate?
Attacca e vincerai.

Stormi di anatre in volo sul tuo capo
e sanno dove andare,
freddi ruscelli in corsa ai tuoi piedi
e vanno verso l'oceano.
Cupa e opaca è la tua costernazione:
cammina, dunque, vieni,
non più così tarpato
in preda alla tua soddisfazione.


Underneath an Abject Willow

Underneath an abject willow,
Lover, sulk no more:
Act from thought should quickly follow.
What is thinking for?
Your unique and moping station
Proves you cold;
Stand up and fold
Your map of desolation.

Bells that toll across the meadows
From the sombre spire
Toll for these unloving shadows
Love does not require.
All that lives may love; why longer
Bow to loss
With arms across?
Strike and you shall conquer.

Geese in flocks above you flying.
Their direction know,
Icy brooks beneath you flowing,
To their ocean go.
Dark and dull is your distraction:
Walk then, come,
No longer numb
Into your satisfaction.


traduzione di Gilberto Forti

tratto da W.H.Auden 
La verità, vi prego, sull'amore
Adelphi, 1994.

19/11/16

"L'universo senza parole" di Dana Mackenzie (Recensione).



Una riprova della propensione divulgativa degli studiosi anglosassoni è questa fornita da Dana Mackenzie che dopo la laurea in matematica alla Princeton University è stato a lungo professore, per poi dedicarsi alla scrittura a tempo pieno. 

Collaborando con importanti riviste di divulgazione-scientifica come Science, Discover e New Scientist, Dana Mackenzie ha sviluppato questo talento fino al tentativo quasi disperato rappresentato da questo volume: quello di spiegare la fortuna e la storia della matematica in 24 fondamentali equazioni che hanno cambiato la nostra percezione del mondo e la storia dell'umanità. 

Edito per la prima volta negli Stati Uniti nel 2012, L’universo senza parole è stato tradotto in varie lingue ed è divenuto in Francia un vero e proprio caso editoriale. 

Una sfida quasi disperata perché se la maggior parte dei libri di divulgazione sulla scienza, persino sulla matematica, evita le equazioni come se fossero qualcosa da risparmiare ai delicati occhi dei lettori, Dana Mackenzie fa esattamente il contrario concentrandosi proprio sulla magia della matematica che si riassume nella sintesi elegante e geniale delle equazioni.

Si snodano dunque, nel rapido succedersi dei 24 capitoli, altrettanto celebri formule, dalla più elementare di tutte: 1+1=2, attraverso la scoperta del Pigreco,  delle equazioni di Archimede, Pitagora, Galileo, Poincaré e Dirac fino alla più sofisticata (la formula di Black-Scholes sui derivati finanziari); dalla più famosa (E = mc2) alla più arcana (l'equazione dei quaternioni di Hamilton).

In questo lungo passaggio millenario il libro di Dana Mackenzie mette in evidenza come la funzione della matematica si sia radicalmente trasformata: dalla funzione di spiegare la realtà cioè di interpretare e rendere ragione della esistenza dei fenomeni del mondo: dalle figure geometriche al movimento dei pianeti, alla funzione di immaginarla e prevederla: il mondo della matematica infatti oggi è in grado, con le sue presunte astrazioni, di immaginare quello che la fisica scoprirà solo in un secondo momento, con le prove empiriche, come è successo ad esempio di recente, con il Bosone di Higgs, previsto da studi matematici con venti anni d'anticipo prima che l'acceleratore di particelle del CERN di Ginevra ne dimostrasse l'effettiva esistenza. 

L'esperimento di Mackenzie però funziona soltanto a metà. Il libro non è per niente chiaro e originale nelle illustrazioni scelte e nella esposizione dei diversi capitoli e la parte strettamente matematica - con lo sviluppo delle singole equazioni -  è molto tecnico e arduo per chi non abbia una preparazione specifica.

Resta così oscuro molto di quanto viene raccontato nei capitoli - specie gli ultimi che descrivono una matematica sempre più sofisticata  complessa e astratta -  anche se è godibile il quadro d'insieme che spinge a riflettere sulla perfezione misteriosa e matematica del nostro universo.

Dana Mackenzie
L'universo senza parole
Rizzoli 2016 Pagine: 224


Fabrizio Falconi


17/11/16

Dopo 7 anni di lavori apre al pubblico l'Area archeologica del Circo Massimo, piena di sorprese.




Finalmente una buona notizia per Roma. Ha riaperto ieri, dopo 7 anni di lavoro, l'area archeologica del più grande edificio per lo spettacoli dell'antichità, il Circo Massimo, che finalmente apre i suoi tesori al pubblico.

"Finora era un parco pubblico ma la struttura architettonica originaria di fatto non si vedeva - sottolinea il sovrintendente capitolino ai Beni culturali Claudio Parisi Presicce - Ora l'area archeologica dell'emiciclo sud è percorribile con illuminazione specifica e pannelli che illustrano sia la storia del circo sia la vita di tutte quelle persone che vi si accostavano ogni giorno". 

Lo stadio più grande dell'antichità apre in una nuova veste, e mostra la sua parte originaria. Lungo il percorso è possibile scorgere non solo i resti dell'imponente architettura risalente a duemila anni fa, ma anche i segni di secoli di gare e feste, come i graffiti degli spettatori 'tifosi' ancora visibili in alcuni ambienti.

I visitatori accedono alle gallerie che un tempo conducevano alle gradinate della cavea (i senatori al piano terra e la plebe al piano superiore)

Nelle gallerie, che si possono percorrere per un tratto di circa 100 metri ciascuna, si osservano anche i resti delle latrine antiche

Si prosegue sulla strada basolata esterna ritrovata durante gli scavi, in cui spicca una grande vasca-abbeveratoio in lastre di travertino. 

Qui è possibile visitare anche alcune stanze che venivano utilizzate come botteghe (tabernae) per soddisfare le necessità del numeroso pubblico dei giochi: locande, negozi per la vendita di generi alimentari, magazzini, lupanari, lavanderie, ma anche uffici di cambiavalute necessari per assecondare il giro di scommesse sulle corse dei cavalli. 

 Nella zona centrale dell'emiciclo sono visibili le basi dell'Arco di Tito, uno dei più grandi archi trionfali di Roma, a lui dedicato in occasione della vittoria giudaica

Le indagini hanno consentito di rimettere in luce le basi delle colonne frontali e alcuni importanti frammenti architettonici che hanno permesso agli archeologi di stabilire le sue dimensioni originarie (le colonne erano alte almeno 10 metri) grazie anche all'anastilosi virtuale del monumento realizzata in collaborazione con l'Università Roma Tre - Dipartimento di Architettura. 

Nel corso degli scavi sono state rinvenute anche parti della grande iscrizione, rimarcata con lettere bronzee, su cui era incisa la dedica da parte del Senato e Popolo Romano all'imperatore

L'intervento di riqualificazione dell'area ha interessato anche la medievale Torre della Moletta (realizzata nel XII secolo) su cui si è intervenuti con il restauro delle murature antiche ed un impegnativo progetto di consolidamento statico.

Una scala interna consente di arrivare fino al piano superiore, uno splendido punto panoramico sull'area archeologica, che permette di apprezzare in pieno le dimensioni del Circo. I numerosi frammenti lapidei presenti nell'area sono stati in parte anche sistemati ad arredo dello spazio aperto. 

In particolare ai piedi dell'emiciclo palatino sono stati collocati, da un lato, alcuni elementi provenienti dall'edificio antico (gradini, cornici, capitelli, le soglie delle botteghe, etc.), mentre sull'altro versante sono state collocate una serie di colonne in marmi colorati rinvenute negli scavi archeologici. 

Infine, nello spazio antistante la torre sono stati posizionati i frammenti architettonici di marmo lunense provenienti dallo scavo dell'arco di Tito.

 Situato nella valle che separa due dei sette colli di Roma, Aventino e Palatino, il Circo Massimo è stato sede di giochi e corse dei cavalli fin dall'inizio della storia della città. Era qui che gli antichi romani assistevano agli 'spettacoli' tipici dell'epoca

L'ampio spazio pianeggiante della valle e la sua vicinanza con il fiume Tevere, fondamentale approdo commerciale, fecero del luogo, fin dalla fondazione della città, lo spazio ideale non solo per attività di mercato e di scambi con altre popolazioni, ma anche di socializzazione e svago. 

 Fin dall'età regia vi si sono svolte manifestazioni pubbliche di ogni genere: competizioni ippiche, cacce con animali esotici, rappresentazioni teatrali, esecuzioni pubbliche, ma anche processioni religiose e trionfali. 

Le prime installazioni in legno, probabilmente in gran parte mobili, risalirebbero all'epoca di Tarquinio Prisco, nella prima metà del VI secolo a.C. e la costruzione di primi impianti stabili risalirebbe al 329 a.C. 

Le prime strutture in muratura, soprattutto legate alle attrezzature per le gare, si ebbero probabilmente solo nel II secolo a.C. e fu Gaio Giulio Cesare a costruire i primi sedili in muratura e a dare la forma definitiva all'edificio, a partire dal 46 a.C

Con i suoi 600 metri di lunghezza e 140 di larghezza, è considerato una delle più grandi strutture per spettacoli mai costruite dall'uomo. 

Lo stadio poteva ospitare circa 250.000 spettatori sulle gradinate.


La facciata esterna aveva tre ordini: solo quello inferiore, di altezza doppia, era ad arcate

La cavea poggiava su strutture in muratura, che ospitavano i passaggi e le scale per raggiungere i diversi settori dei sedili, ambienti di servizio interni e piccole botteghe aperte verso l'esterno (di alcune delle quali restano tracce ben visibili anche su via dei Cerchi). 

 Il circo fu utilizzato fino alle ultime gare organizzate nel Sesto secolo

In seguito l'area è divenuta luogo di passaggio dell'acqua Mariana, ha ospitato coltivazioni agricole e mulini, è divenuta proprietà privata della famiglia Frangipane, cimitero degli Ebrei per poi ospitare, a partire dal XIX secolo, gli impianti del Gazometro, magazzini, manifatture, imprese artigianali e abitazioni. 

 In epoca contemporanea l'area è stata utilizzata per manifestazioni e concerti. 

Di recente il Circo Massimo è stato lo scenario di concerti come quello di Bruce Springsteen, l'estate scorsa, e dei Rolling Stones, nel 2014. 

 L'accesso all'area archeologica è da piazza di Porta Capena, tutti i giorni dal martedì alla domenica, dalle 10 alle 16, fino all'11 dicembre.

 Dal 12 dicembre resta l'apertura nel weekend mentre sarà su prenotazione (allo 060608) quella nei giorni feriali. Il costo del biglietto va dai 3 ai 5 euro.

16/11/16

Archeologia: dalla tomba dei Guinigi a Lucca spunta fuori una dentiera di 4 secoli fa.




Durante la pulizia e il restauro dei resti scheletrici rinvenuti all'interno della tomba collettiva dei Guinigi, a Lucca, e' venuta alla luce una protesi dentaria in oro di particolare interesse, sia per le modalita' di esecuzione, sia per la rarita' del ritrovamento

Lo studio del prezioso reperto e' stato effettuato da un team di paleopatologi dell'Universita' di Pisa.

"Lo studio del contesto archeologico - spiega la paleopatologa, Simona Minozzi - non ha permesso una datazione precisa per la protesi che comunque si colloca tra la fine del XIV secolo e l'inizio del XVII secolo, e malgrado esistano descrizioni di apparecchi simili nei testi del periodo, non sono conosciute altre evidenze archeologiche. La protesi dentaria ritrovata nella tomba dei Guinigi e' la prima testimonianza di protesi dentale di questo periodo storico e un prezioso tassello per la storia dell'odontoiatria". 

La protesi e' formata da cinque denti mandibolari umani tenuti assieme da una lamina metallica in oro: la forma e le dimensioni la rendono adatta alla sostituzione dell'arcata anteriore mandibolare. 



I denti, canini e incisivi disposti senza rispettare la corretta sequenza anatomica, appartengono a individui diversi. 

Per la realizzazione dell'apparecchio la radice di ciascun dente e' stata limata e tagliata longitudinalmente e all'interno del taglio e' stata inserita una sottile lamina d'oro alla quale i denti sono stati assicurati attraverso piccoli perni. 

La lamina fuoriesce ai due lati della protesi con due alette piegate ad S, sulle quali sono presenti due piccoli fori che garantivano l'ancoraggio ai denti ancora in situ nella mandibola, di cui non e' pero' stata trovata traccia. 

Infatti, i tentativi di associazione con le numerose mandibole rinvenute nella tomba collettiva che raccoglieva i resti di quasi un centinaio di individui, sepolti assieme alla protesi, non hanno dato esito positivo. In ogni caso, la presenza di un deposito di tartaro sulla superficie dei denti dimostra che l'apparecchio fu portato a lungo.



15/11/16

La cura - di Fabrizio Falconi.





Cura è una parola ambivalente. Significa infatti non soltanto curare qualcuno o qualcosa che sta male, portandolo alla guarigione, ma anche permettere a qualcosa o a qualcuno - che è già sano -  di crescere, di svilupparsi, di fiorire come fioriscono le piante. 

E non sembra un caso che la parola derivi dal latino cura che a sua volta deriva dalla radice ku-/kav- che significa osservare

Chi ha a cuore qualcosa o qualcuno infatti, per prima cosa osserva. Meravigliandosi di quella bellezza unica - non riconosciuta e non vista da alcuno, nei suoi propri termini tranne da chi osserva, e osservando cura.  

Ti curo perché ti amo e ti voglio proteggere e preservare. Ti voglio far crescere. Non voglio che tu cresca secondo i miei desideri, perché questo sarebbe forzare, piegare, stridere.  Voglio che tu cresca per come sei, voglio che tu esprima la potenzialità piena che è in te. 

Io ti osserverò, ti guarderò da lontano, senza co-stringerti. Ti lascerò libera. Ma ti aiuterò ogni volta che tu lo vorrai e ogni volta che ne avrai bisogno. 

Lo farò non per ottenere riconoscenza, ma solo perché il tuo stesso sbocciare è per me la ricompensa. 

Dunque la mia cura non ti verrà data perché tu sei malata, ma proprio perché sei piena di bellezza. 

Diventerò forse saggio, in questo modo.  La stessa radice in sanscrito dice che kavi è il saggio. Il saggio è colui che osserva.

Questo mio osservarti sarà fatto fino alla fine.  Ovvero finché tu non ne avrai più bisogno. E se tu avrai sempre bisogno di me, io sarò sempre qui a curarti. 

Nel tempo sospeso e breve di una esistenza, questa cura salverà dai tuoni e dalla tempesta.  Rimarrà indelebile anche dopo il turbinio della pioggia e delle foglie. Tornerà a splendere ad ogni nuova stagione.  Sarà la mia luce. Sarà la tua luce. 

Fabrizio Falconi




14/11/16

L'incredibile storia del sarcofago perduto dell'Imperatore Adriano.



Certe volte i percorsi della storia si perdono nel mistero, e questo accade anche ai reperti più preziosi che hanno accompagnato le vite dei personaggi più illustri. Ciò è accaduto spesso nella infinita storia di Roma, che affonda nella notte dei tempi.

E uno strano destino ha accompagnato l’ultima dimora di uno dei più grandi imperatori romani, Adriano, il quale aveva pensato per sé ad una sepoltura in un maestoso tempio di pietra che non aveva eguali. 

L’Hadrianeum o Mole di Adriano è infatti uno dei più grandi monumenti dell’antichità romana, voluta e probabilmente ideata dallo stesso imperatore come propria tomba e per i suoi famigliari, commissionata all’architetto Demetriano: un’opera così imponente che, iniziata nel 130 d.C. fu ultimata solo dopo la morte dell’imperatore, dal suo successore Antonio Pio nel 139. 

Era formato da un basamento quadrato (ben ottantaquattro metri per lato) rivestito in marmo, sormontato da un tamburo cilindrico di sessantaquattro metri di diametro

Sopra a quest’ultimo un altro tamburo più piccolo su cui si elevava un tumulo di terra alberato di cipressi. 

In cima, un altare con una statua raffigurante l’imperatore nelle vesti del dio Sole oppure, come sembra più probabile, una quadriga in bronzo, guidata dall’imperatore con gli abiti della divinità solare



 All’interno del grandioso monumento una rampa elicoidale (in parte ancora esistente) ascendeva fino alla cella in cui fu deposto il corpo di Adriano, di sua moglie Sabina, e di tutti i suoi successori fino a Settimio Severo e i componenti delle loro famiglie. 

Il Mausoleo fu costruito davanti al Campo Marzio, sull’altro lato del fiume, collegato ad esso dal Ponte Elio, oggi Ponte Sant’Angelo, nella zona dell’ager vaticanus, fuori dalle mura cittadine, antico luogo utilizzato per le sepolture.

In cima all’Hadrianeum c’era come abbiamo visto la cella sepolcrale dell’imperatore, il cui corpo, come afferma una tradizione consolidata, era conservato in un sarcofago il porfido rosso – il più grande dell’antichità, scolpito  – andato purtroppo distrutto, dopo essere stato smembrato insieme agli altri pezzi pregiati del Mausoleo, come la quadriga bronzea che sarebbe stata portata a Costantinopoli (per adornare l’Ippodromo) e poi riconquistata dai Veneziani e posta sulla facciata della Basilica di San Marco, dove è rimasta fino agli ’80 del XX secolo, prima di essere messi al riparo nel Museo rimpiazzandoli con copie identiche

vasca in granito grigio proveniente dal Mausoleo di Adriano, oggi ai Musei Vaticani

Il sarcofago dell’illuminato imperatore (che ha ispirato fra l’altro il grande romanzo di Marguerite Yourcenar) subì davvero una strana sorte: esso infatti finì, insieme ad altri preziosi reperti romani, sulla piazza Lateranense, che costituì a lungo una sorta di museo all’aperto destinato a rivaleggiare con i tesori custoditi in San Pietro.

Le cronache dell’anno Mille danno il sarcofago ancora presente sulla piazza, ante fulloniam, ovvero dinnanzi a quello che era il lavatoio pubblico dei panni

Più precisamente del colossale prezioso sarcofago, esattamente quello nel quale era stato sepolto Adriano nella sala circolare in cima alla torre del Mausoleo, oggi Castel Sant’Angelo, è tradizione che il coperchio fosse deposto nel quadriportico di San Pietro, mentre la vasca di porfido finì al Laterano. 

Lo smembramento risale probabilmente all’epoca di papa Bonifacio IV (608-615) che fu l’artefice della dedica del Mausoleo all’Arcangelo. Il sarcofago di Adriano, però, non restò inutilizzato a lungo, in quel di San Pietro. 

Un altro Papa, Innocenzo II (Gregorio Papareschi, 1130-1143), evidentemente non immune da megalomania, decise di usarlo come sua sepoltura. 

Ma il corpo di Innocenzo II e il prezioso sarcofago andarono presto perduti, in un crollo parziale della Basilica Petrina che si ebbe il 6 maggio dell’anno 1308 a seguito di un furioso incendio

Anche il coperchio ebbe uno strano destino: servì dapprima come sepoltura dell’imperatore Ottone II (morto nel 983) e poi del Prefetto di Roma, fin quando non fu adattato a fonte battesimale nella Basilica Vaticana da Carlo Fontana nel 1698. 

 Fabrizio Falconi per CAPITOLIVM - riproduzione riservata

Castel Sant'Angelo in una celebre stampa di Piranesi

13/11/16

Poesia della Domenica - Il libro della misericordia di Leonard Cohen.





in memoriam Leonard Cohen (21 settembre 1934 - 7 novembre 2016)

Mi hai lasciato cantare, mi hai sollevato, hai dato alla mia anima un raggio su cui viaggiare. Hai ripiegato la tua distanza nel mio cuore. Hai riportato le lacrime ai miei occhi. Mi hai nascosto nella montagna della tua parola. Hai dato alla ferita una lingua per risanarsi. Mi hai coperto la testa con le attenzioni del mio maestro, hai dotato il mio braccio della forza di mio nonno. O amore che parli, o conforto che sussurra nel terrore, indicibile spiegazione del fumo e della crudeltà, dissolvi quest'autocospirazione, lasciami osare l'ardimento della gioia.


Leonard Cohen, Dal Libro della misericordia (19),  Traduzione di Giancarlo De Cataldo e Damiano Abeni, Minimum Fax, Roma, 2013.

11/11/16

La Tolleranza - di Pier Paolo Pasolini (dalle Lettere Luterane).





Vorrei aggiungere ancora qualcosa a ciò che ti ho detto nell’altro paragrafo intitolato “Come devi immaginarmi”.

Sul sesso ci soffermeremo a lungo, sarà uno dei più importanti argomenti del nostro discorso, e non perderò certo occasioni di dirti, in proposito, delle verità, sia pure semplici che tuttavia scandalizzeranno molto, al solito, i lettori italiani, sempre così pronti a togliere il saluto e a voltare le spalle al reprobo.

Ebbene: in tal senso io sono come un negro in una società razzista che ha voluto gratificarsi di uno spirito tollerante

Sono, cioè, un “tollerato”. 

La tolleranza è solo e sempre nominale. Non conosco un solo esempio o caso di tolleranza reale. Il fatto che si “tolleri” qualcuno è lo stesso che si "condanni". 

La tolleranza è anzi una forma di condanna più raffinata. 

Infatti al “tollerato” – mettiamo al negro che abbiamo preso ad esempio – si dice di far quello che vuole, che egli ha il pieno diritto di seguire la propria natura, che il suo appartenere a una minoranza non significa affatto inferiorità eccetera eccetera. Ma la sua “diversità” o meglio “la sua colpa di essere diverso”- resta identica sia davanti a chi abbia deciso di tollerala, sia davanti a chi abbia deciso di condannarla

Nessuna maggioranza potrà mai abolire dalla propria coscienza il sentimento della “diversità” delle minoranze. L’avrà sempre, eternamente, fatalmente presente. Quindi – certo – il negro potrà essere negro, cioè potrà vivere liberamente la propria diversità, anche fuori – certo – dal “ghetto” fisico, materiale che, in tempi di repressione, gli era stato assegnato.

Tuttavia la figura mentale del ghetto sopravvive invincibile. Il negro sarà libero, potrà vivere nominalmente senza ostacoli la sua diversità eccetera eccetera, ma egli resterà sempre dentro un “ghetto mentale”, e guai se uscirà da lì.

Egli può uscire da li solo a patto di adottare l’angolo visuale e la mentalità di chi vive fuori dal ghetto, cioè dalla maggioranza.

Nessun suo sentimento, nessun suo gesto, nessuna sua parola può essere “tinta” dall’esperienza particolare che viene vissuta da chi è rinchiuso idealmente entro i limiti assegnati a una minoranza (il ghetto mentale). Egli deve rinnegare tutto se stesso, e fingere che alle sue spalle l’esperienza sia un’esperienza normale, cioè maggioritaria.

Pier Paolo Pasolini - Da Lettere luterane.

10/11/16

"Cieli come questo" di Fabrizio Falconi (romanzo).




Ho scelto una frase di Elias Canetti come epigrafe al mio romanzo - Ha condannato il proprio sogno prima che fossero cadute tutte le foglie  – perché rappresentava bene quello che succede spesso nelle nostre vite, e anche in Cieli come questo: due persone si incontrano, capiscono in modo quasi inconscio che c’è qualcosa che li lega, qualcosa di profondo – come se ci si conoscesse da sempre – ma non hanno il tempo e il modo (e il coraggio) di mettere in pratica questa conoscenza, di trasferirla dal piano dell’anima al piano della concretezza

La protagonista di questa storia è Isabella, una donna che ha superato da poco i quaranta, borghese, con un matrimonio felice, un marito dirigente di un grande sindacato nazionale e una figlia quasi ventenne già autonoma, a cui piace viaggiare in compagnia delle sue amiche. 

Il ‘lago tranquillo’ della vita di Isabella si increspa improvvisamente, nel giro di pochi giorni e di alcune circostanze concomitanti: una gravidanza non voluta e subito spontaneamente abortita, una disavventura capitata alla figlia, in vacanza in Marocco, coinvolta in uno strano incidente, e soprattutto l’incontro con un ragazzo, uno studente di filosofia, Lorenzo

Isabella si accorge, quasi per caso, di essere precipitata silenziosamente in una crisi intima, di valori, di riferimenti.

Quando incrocia Lorenzo durante alcuni seminari, capisce, sente, che quel ragazzo ha qualcosa di speciale, una purezza, perfino un anelito mistico simile al suo. Inizia una prudente frequentazione, nella quale però, nonostante una evidente attrazione, Isabella non sembra avere il coraggio di andare fino in fondo.

Ma il marito si assenta, per andare a riprendere la figlia, e durante questa assenza, Isabella si confronterà duramente, profondamente con la sua crisi, dovrà attraversarla, obtorto collo

Cieli come questo vuole essere insomma un romanzo di iniziazione, nel quale la protagonista – una come noi – deve mettere in discussione le sue certezze e affrontare la vita, fuori delle piccole sicurezze che molto spesso proteggono dagli scossoni, ma evitano quel coinvolgimento profondo, quello scambio di anime, che è il vero succo – e forse il vero senso – della vita. 


Fabrizio Falconi - Cieli come questo.

09/11/16

Il Monaco e la Pietra. Un illuminante racconto zen.




per riflettere sul senso autentico del dono. 



Una volta, un monaco mentre era in viaggio trovò una pietra preziosa e la prese con sé.
Un giorno incontrò un viaggiatore e, quando aprì la borsa per condividere con lui le sue provviste, il viaggiatore vide la pietra e gliela chiese. 
Il monaco gliela diede immediatamente. 
Il viaggiatore partì, pieno di gioia per l'inaspettato dono della pietra preziosa che sarebbe stata sufficiente a garantirgli il benessere e la sicurezza per il resto della vita. 
Ma pochi giorni dopo tornò indietro alla ricerca del monaco e, trovatolo, gli restituì la pietra dicendogli: "ora dammi qualcosa di più prezioso di questa pietra, qualcosa di pari valore. Dammi ciò che ti ha reso capace di donarmela."

08/11/16

Santa Maria Nova al Foro Romano (Santa Francesca Romana): uno scrigno pieno di tesori.




Per la sua posizione, la Basilica di Santa Maria Nova, detta anche di Santa Francesca Romana, è una delle più famose di Roma, incastonata com'è, in pieno Foro Romano, sulla Via Sacra, tra le rovine del tempio di Venere e Roma. 

Ha, come molte chiese di Roma, una storia nobile e antichissima, essendo stata eretta da Leone IV, nel IX secolo e terminata da Nicolò I con ulteriori abbellimenti dovuti ad Alessandro III nel 1161 (al quale si deve anche lo splendido campanile romanico, a fianco della Chiesa). 

Fu soltanto qualche secolo dopo, nel Seicento, sotto papa Paolo V, che assunse la denominazione popolare di Santa Francesca Romana, in onore della Santa canonizzata nel 1608 e sepolta sotto il presbiterio. Uno dei maggiori santi di Roma: Francesca Ponziani nata nel 1384 e morta il 9 marzo del 1440, religiosa e fondatrice della comunità delle Oblate di Tor de' Specchi.

La magnifica facciata in travertino romano, con la doppia scalinata, il portico a tre arcate, il frontone triangolare e le statue sulla sommità del timpano, si deve a Carlo Lombardi (1554-1620). 

La chiesa è ad una sola, maestosa navata. Ed è particolarmente suggestiva, perché quasi sempre in penombra. 

Anche in questa chiesa c'è la mano di Gianlorenzo Bernini: fu lui infatti a trasformare la confessione, lucente di marmi policromi appartenenti al primitivo edificio di Leone IV, nella tomba di Santa Francesca Romana.

La fronte dell'Arco era ricoperta anticamente da mosaici, di cui oggi sopravvive soltanto quello - stupendo - nel catino, raffigurante la Vergine con il bambino in trono.  

Nel tabernacolo dell'altare maggiore, l'antica immagine di Maria fu trasportata a Roma dalla Terra Santa nel secolo XI da Angelo Frangipane, della celebre famiglia che era proprietaria anche del vicino castello. 

La Chiesa è legata anche alla permanenza di Pietro apostolo a Roma: nella parete destra della crociera, infatti, protette da due inferriate, si conservano due pietre sulle quali, secondo la tradizione, s'inginocchiò San Pietro quando, nella località dove ora è la Chiesa, Simon Mago si levò in volo, episodio riferito negli Atti degli Apostoli (8,9-10)



In Santa Francesca Romana sono conservate anche le spoglie di un papa, Gregorio XI, il pontefice che riportò la sede papale a Roma dopo la pausa avignonese.  Il bassorilievo di Pier Paolo Olivieri (1551-1599) riproduce l'ingresso trionfale del Papa a Roma.

Molti quadri sono presenti nell'antica chiesa, fra questi la Madonna in trono e santi eseguita nel 1524 da Sinibaldo Ibi (1482- 1528), allievo del Perugino, unica opera dell'artista a Roma. 

A parte i suoi tesori, il privilegio forse più prezioso che la Chiesa offre è nella vista che si gode all'uscita della Chiesa, dal piano rialzato del portico di entrata, da cui si può ammirare lo spettacolo dei Fori, di cui il campanile di Santa Francesca è uno dei simboli più famosi.

Fabrizio Falconi - 2016 riproduzione riservata. 


06/11/16

La poesia della domenica: "Le arie che incantano e che fanno la bellezza."




Le arie che incantano e che fanno la bellezza sono:

L'aria smaliziata,
L'aria annoiata,
L'aria svaporata,
L'aria impudente,
L'aria di dominio,
L'aria di volontà,
L'aria cattiva,
L'aria malata,
L'aria fredda,
L'aria di guardare di dentro,
L'aria da gatta, infantilismo, noncuranza e malizia mescolati insieme.

In certi stati quasi soprannaturali dell'anima, la profondità della vita si rivela tutta intera nello spettacolo, per quanto comune sia, che si ha sotto gli occhi. Esso ne diventa il simbolo. 

05/11/16

L'amore e il sesso al tempo degli sms e della chat. (di Richard Brooks).




GLI SMS e GLI INCONTRI D'AMORE - COSI' SI DISTRUGGE POESIA E MORALE - di Richard Brooks 

Contatti multipli e più disincantati - si può passare da un partner all'altro nella stessa serata se arriva un messaggino. Dall’aprile del 2007 il New York Magazine pubblica online pagine di diario delle esperienze sessuali della gente, che narra anonimamente le proprie conquiste e prodezze notturne. 

Alcuni di questi racconti sono insoliti e tristi. Una bancaria che è stata licenziata passa le serate a ubriacarsi per poi svegliarsi al mattino nel letto di uomini sconosciuti. Un operatore finanziario afro-america­no nei week-end gira per il paese per incontrare coppie in cerca di sesso interrazziale.

L’aspetto più interessante di questi diari è però la parte che il cellulare ha avuto nel corteg­giamento. 

Nelle sere in cui escono, gli estensori dei diari spesso inviano sms a diversi possibili partner, cercando di combinare l’incontro migliore. 

Come nota il giornalista We sley Yang, che indaga acutamente il fenomeno sul New York Magazine , chi scrive i diari «usa il cellulare per disaggregare, catalogare e rimpacchettare i suoi bisogni emotivi e fisici, assegnando un partner di­verso a ognuno di essi e sperando in un’esperienza soddisfacente» . 

A queste persone capita spesso di accingersi a passare la serata con un partner e di cambiare poi idea perché gli arriva un sms con una proposta più promettente. Per scongiurare il pericolo di non essere scelti da nessuno, scrive Yang, «tutti sono nell’elenco di riserva di qualcuno, e tutti hanno un elenco di riserva, che tengono aperto con sms interlocutori».

L’atmosfera è fluida, come in un’asta su eBay. Questo comporta l’adozione di strategie di marketing. Non bisogna appari re troppo ansiosi di conclud re. Vanno trovati soprannomi diversi per i vari partner. «Decido di passare la giornata con Quella Che Piange», scrive un assistente legale di 26 anni del l’East Village. Nel condurre le transazioni non bisogna avere troppi scrupoli. «Ho per le mani un super-appiccicoso», scrive una produttrice televisiva. «Mi ha chiesto di uscire di nuovo domenica prossima. Non rispondo» .

La gente che manda il diario delle sue vicende erotiche a una rivista non rappresenta cer­to l’americano medio, ma l’impiego della tecnologia negli approcci sessuali è ormai consuetudine per un gran numero di giovani americani, e riflette una tappa interessante dell’evoluzione sociale del paese.

Una volta — ai tempi di «Happy Days» — il corteggiamento era governato da una serie di regole e cautele. Gli incontri tra i potenziali partner avvenivano di solito nel contesto delle grandi istituzioni sociali: il quartiere, la scuola, il luogo di lavoro, la famiglia. C’erano dei riti sociali accettati — darsi appuntamento, uscire insieme, rimandare il sesso — il cui scopo era guidare i giovani lungo il percorso che andava dalla fase dell’interesse momentaneo a quella dell’impegno duraturo. Negli ultimi decenni questi riti sociali, incompatibili con l’epoca post-femminista, sono divenuti obsoleti e si è andanti alla ricerca di regole di corteggiamento più aperte.

Ci si aspetterebbe che in questa materia una società dinamica sia in grado di aggiornarsi, ma la tecnologia ha reso la cosa molto difficile. Le norme di comportamento implicano ostacoli e restrizioni, che vengono però dissolti dagli strumenti tecnologici, in particolare da cellulari e sms

Ora i corteggiatori si mettono in contatto in un ambito istantaneo e fluido, separato dalle grandi istituzioni sociali e dagli impegni che esse richiedono. Le persone si trovano così a dover fare i conti solo con se stesse. Diventano liberi battitori in un’arena competitiva segnata da relazioni ambigue. La vita sociale somiglia sempre più all’economia, dove si è immersi in una miriade di occasioni, domande e offerte, in un universo di partner potenziali.

La possibilità di raggiungere rapidamente molte persone sembra incoraggiare la segmen­tazione: si cerca di allacciare contemporaneamente relazioni di diverso tipo di con persone diverse. Sembra poi incoraggiare un atteggiamento di provvisorietà. Se si hanno sempre molte opzioni a disposizione diventa naturale adottare la mentalità di chi confronta i prezzi della merce.

Sembra anche incentivare un’atmosfera di generale disincanto. Lungo i secoli i sistemi basati su principi morali, dalla cavalleria medievale agli inni all’amore di Bruce Springsteen, funzionavano tutti più o meno allo stesso modo. Legavano gli interessi egoistici contingenti a significati trascendenti, spirituali. L’amore diventa così una nobile causa, un atto di sacrificio e di impegno disinteressato.

Gli sms e la mentalità utilitaria tendono a distruggere la poesia e l’immaginazione. Per reggere ai brutali contraccolpi del mercato occorre dotarsi di ironico distacco. Nel mondo odierno la scelta di un’automobile è un atto più sacro della scelta di un partner. Questo non significa che i giovani di oggi siano peggiori o più superficiali di quelli del passato. Significa che sono meno aiutati. Una volta la gente viveva all’interno di un’esistenza strutturata, che si occupava di foggiare le emozioni, guidare le pulsioni dal provvisorio al permanente e collegare le esigenze quotidiane a cose più elevate. La saggezza accumulata dalla comunità portava le coppie a trovare un impegno duraturo. Oggi ci sono meno norme che vadano in questa direzione. La tecnologia attuale sembra minare l’instaurarsi del senso di reciproca e stabile affidabilità su cui si costruisce la fiducia.

Copyright New York Times Syndicate
(Traduzione di Maria Sepa)
David Brooks 5 novembre 2009 

04/11/16

Una poesia scritta a mano da Anna Frank (e sconosciuta finora) va all'asta ad Amsterdam.




Una poesia scritta a mano da Anna Frank poco prima che si nascondesse con la famiglia ad Amsterdam, un pezzo "estremamente raro", sarà venduta all'asta a fine novembre a Haarlem, in Olanda

Lo ha annunciato  la casa d'aste olandese Bubb Kuyper. Il valore di questo testo scoperto in un album di ricordi scolastici di "Cricri" (Christiane) van Maarsen, sorella maggiore della sua migliore amica Jacqueline, si situa fra i 30 e i 50.000 euro, secondo Bubb Kuyper. Il testo reca la data del 28 marzo 1942, poco prima che Anna Frank e la famiglia si nascondessero nell'alloggio segreto per sfuggire ai nazisti dove vi resteranno fino all'agosto 1944, quando furono denunciati e deportati.

Secondo il quotidiano NRC.Next, è la quarta volta soltanto che un testo manoscritto da Anna Frank viene messo all'asta. Una serie di lettere di Anna e della sorella Margot a dei destinatari americani era stata aggiudicata nel 1988 per 165.000 dollari. Un libro di fiabe, con le firme di Anna e di Margot, è stato invece venduto a maggio a New York per 62.500 dollari, più del doppio del prezzo stimato. La poesia che sarà messa all'asta è firmata da queste parole: "in ricordo di Anna Frank". 

Le quattro prime righe sono state probabilmente ricopiate da una periodico del 1938, ma le quattro righe successive non sono state ritrovate fino a questo momento in altre fonti. 

La Casa di Anna Frank di Amsterdam, che non pensa di fare una offerta, sostiene che sia "assolutamente straordinario scoprire ancora, dopo tanti anni, un manoscritto sconosciuto", ha commentato una portavoce, citata da NRC.Next

fonte askanews e Afp

03/11/16

Il prossimo 25 novembre conferenza "Le meraviglie dei numeri" a Santa Croce in Gerusalemme.




Il prossimo 25 Novembre, Venerdì alle ore 18, vi aspetto - per chi è interessato - alla Basilica di Santa Croce in Gerusalemme per Le Meraviglie dei Numeri (l'ingresso è gratuito, con offerta libera per la chiesa ospitante, una delle più belle di Roma), una conferenza che ho già tenuto al Festival di Arte & Essere di Riva del Garda. 

Parleremo, con l'aiuto di molte immagini, della magia dei numeri, del loro significato profondo nella storia dell'Occidente e della cristianità, delle meraviglie della Sezione Aurea inscritta nei grandi monumenti del passato, di Jung e Wolfgang Pauli e dei numeri come misura (o codice) del Cosmo. 

Fabrizio Falconi

02/11/16

"Le vergini suicide" di Jeffrey Eugenides (Recensione)



Jeffrey Eugenides (Detroit, 8 marzo 1960), ha firmato con Le vergini suicide, uscito nel 1993, uno dei migliori esordi contemporanei (Sofia Coppola ne ha tratto un film qualche anno dopo). Ripetendosi poi con romanzi come Middlesex  (che gli è valso il Premio Pulitzer nel 2003 e La trama del matrimonio (2011).

E' un racconto particolarissimo, a partire dalla voce narrante, per la quale Eugenides ha scelto un narratore "collettivo", voce di un gruppo di coetanei maschi, il quale rievoca a vent'anni di distanza la vicenda delle cinque sorelle Lisbon, oggetto proibito della loro adolescenza, avvolte in un'aura di mistero che la tragica fine comune - si sono tutte tolte la vita nel breve spazio di un anno - ha fissato per sempre. 

Più che l'originalissima trama, però - per niente gotica, semmai sospesa in un territorio quasi surreale, intercettato dalla ironia e dalle considerazioni dei testimoni -  Le vergini suicide è un capolavoro di stile. 

La vera protagonista del romanzo è la casa della famiglia Lisbon. Un territorio oscuro e inaccessibile, castello di reclusione, in putrefazione, che ospita la muta agonia delle cinque giovani, impossibilitate a vivere una vita normale. 

La casa vive su se stessa e attraverso se stessa la consunzione fisica e psichica delle cinque ragazze e dei due pietrificati genitori. 

Una angoscia strisciante e pervasiva intride ogni pagina di questo romanzo, in cui i dialoghi sono ristretti al minimo indispensabili, quasi inesistenti, e dove la narrazione prosegue come un unico flusso di memoria dalla prima all'ultima pagina. 

Il malessere delle cinque sorelle deriva dall'accettare il mondo così com'è, come è stato trovato. L'impossibilità di essere normali e di concedersi alla piccola e fertile infelicità che fa parte di ogni vita. 

Eugenides costruisce il ritratto di una piccolissima porzione della provincia americana, che può o potrebbe  a ragione essere un qualsiasi angolo remoto del mondo.

Perché il disagio esistenziale delle cinque ragazze Lisbon, così vive, così presenti, è quello delle stesse cose viventi - come la casa della famiglia - predisposte alla lacerazione, al disfacimento, al distacco, destino di ogni mortalità. 

L'idolatria del gruppo di maschi, la perpetuazione della memoria, la rivendicazione di quel segreto vissuto e mai sbocciato, è l'unica fragile ribellione possibile, al passare del tempo.

Fabrizio Falconi

Jeffrey Eugenides
Le vergini suicide
Traduzione di Cristina Stella
Mondadori 2008


01/11/16

9 luglio 1890 - Un terribile fatto di cronaca a Roma.




Filippo Tuena, insieme a Massimo De Fidio, in un prezioso libretto pubblicato molti anni fa - Ripetta in controluce (Segnature editoriale, Roma, 2000), tutto dedicato alla celebre ed elegante via di Roma - riportano un episodio di cronaca finito nell'oblio, che però all'epoca destò l'interesse morboso dei cittadini della Capitale, avvenuto sul Ponte di Ripetta, in legno, che vedete in questa rara foto d'epoca e oggi non più esistente 

Il 9 luglio del 1890 Augusto Formili, che all'epoca era un personaggio in vista perché a 41 anni dirigeva i Giardini comunali, sempre elegante e con fama di dongiovanni - un vero dandy dell'epoca - buttò giù dal ponte di Ripetta, la moglie, Rosa Angeloni, che aveva 3 anni più di lui e che. di mestiere semplice stiratrice, era stata sedotta giovanissima dal marito. 

Era successo che l'uomo avesse all'epoca un'amante, una ventenne trasteverina, di nome Elvira, con la quale intratteneva da tempo una relazione. Il triangolo amoroso era andato avanti per un po' fin quando la ragazza era rimasta incinta.

La nascita di questo bambino aveva spinto Elvira a spingere perché il suo amante si decidesse finalmente a lasciare la moglie, Rosa.

Per un certo periodo Augusto s'era lasciato convincere e aveva lasciato la moglie, trasferendosi in casa dell'amante. Ma poi, sempre più indeciso sul da farsi, era tornato a casa, spesso ubriaco, sfogando la sua frustrazione sulla moglie e sulle figlie, che picchiava senza motivo. 

Forse in questo c'era anche della premeditazione perché sperava che il suo carattere - insieme all'avarizia, aveva preso a lesinare i soldi alla moglie - convincesse la consorte a cacciarlo di casa.

Ma Rosa non aveva nessuna intenzione di concedere il divorzio, temendo forse,  e a ragione di trovarsi in miseria insieme alle figlie. 

La sera fatidica i due coniugi erano andati a cenare da Cesare, il Fornaciaio, cercando di risolvere la questione.  Ma se, finché erano rimasti nel locale, i toni erano rimasti pacati, appena usciti all'aperto la discussione si trasformò in un violento litigio. Così Augusto, giunto a metà del ponte di legno, esasperato dal rifiuto della moglie a concedere il divorzio, aggredì la moglie. Per farla smettere di gridare, la sollevò d'impeto e la spinse oltre il parapetto del ponte. La donna però riuscì a rimanere aggrappata alla ringhiera. Il marito, con un sasso, prese a schiacciargli le mani finché la donna mollò la presa e precipitò nel fiume.

Rosa non sapeva nuotare, cominciò ad annaspare nella corrente, affogando quasi subito anche a causa degli abiti lunghi che andavano di moda allora.

Subito dei passanti chiamarono la polizia, ma Augusto riuscì a fuggire, approfittando dell'oscurità.

Cominciò allora una caccia all'uomo, scatenata in tutta Italia e alla fine l'uomo finì per costituirsi alla polizia di Milano, città in cui si era rifugiato. 

Al processo, prima cercò di proclamare la propria innocenza, poi finì per confessare, spiegando di essere stato preda di un raptus feroce e di avere agito in stato di trance

La giuria non gli credette e lo condannò a 30 anni di reclusione. Pena che ai romani sembrò troppo mite e sicuramente giustificata dal rango del colpevole e dalle sue potenti amicizie. 

Gli stornellatori cittadini però espressero una condanna più severa e a futura memoria, con i versi che si tramandarono di generazione in generazione:

porgete orecchio attento, amici cari
ché fra i delitti atroci e ancor più rari
ve ne racconto un, se date retta,
il delitto del ponte di Ripetta.

Fabrizio Falconi - rielaborato da: Filippo Tuena e Massimo De Fidio, Ripetta in controluce (Segnature editoriale, Roma, 2000)