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16/07/23

2.500.000 di Visualizzazioni per Il Blog di Fabrizio Falconi - Si festeggia con il nuovo romanzo in uscita: "IL DONO PERFETTO"

 


Nato 14 anni fa, questo Blog, Il Blog di Fabrizio Falconi festeggia oggi un altro importante traguardo: quello delle 2.500.000 visualizzazioni!

Molta strada è stata fatta in questi anni ed è doveroso ringraziare in primis i tanti lettori ovviamente, e anche gli inserzionisti che ci hanno permesso di continuare a crescere. 

Festeggiamo inoltre con l'uscita di un nuovo libro, un romanzo, Il Dono Perfetto, che dal 1 luglio è disponibile nelle librerie e online (anche cliccando qui). 

Grazie, e barra dritta, ancora.

F.



01/07/23

"Il Dono Perfetto" - L'intervista di Giovanna Bandini a Fabrizio Falconi per il nuovo romanzo - VIDEO

 Da ieri, 30 giugno, è in libreria Il Dono Perfetto, il nuovo romanzo di Fabrizio Falconi. Qui brevi clip dall'intervista realizzata da Giovanna Bandini con Dario Pettinelli, per Il Momento Perfetto - ItaliaTv

 



   
   
 QUI SOTTO il PODCAST completo dell'intervista: 

   

Il Dono Perfetto è nelle librerie e online in vendita su Amazon e su ogni libreria online. Infine anche in vendita online sul sito della casa editrice (SANTELLI).



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06/06/23

L'oscura Via del Mandrione, a Roma, amata da Pasolini


Fa una certa impressione immaginare che dalla costruzione dell’ultimo dei grandi maestosi acquedotti romani (i cui resti ancora giganteggiano per l’Italia) trascorsero ben tredici secoli prima che si sentisse la necessità a Roma di realizzarne uno nuovo

L’impresa fu voluta da Papa Sisto V a cui si deve la completa ristrutturazione urbanistica di Roma (con il celebre Piano Sistino), il quale la commissionò nel 1585 all’architetto Matteo Bortolani. 

Tanto per comprendere quale fosse la grandezza dei romani, Bortolani commise degli errori di progettazione del nuovo acquedotto, e il Papa dovette ricorrere a Giovanni Fontana (lo stesso architetto che aveva spostato l’obelisco di Piazza San Pietro) per rimediare e correggere il difettoso deflusso delle acque. 

In onore di Sisto V (che la secolo si chiamava Felice Peretti) il nuovo acquedotto fu chiamato Felice e aveva il compito di utilizzare le antiche sorgenti dell’Aqua Alexandrina, per approvvigionare le zone del Viminale e del Quirinale. 

Il tracciato originale del nuovo acquedotto superava la Via Tuscolana all’altezza della Porta Furba e giungeva fino nel cuore di Roma con il trionfo finale della Mostra della Fontana del Mosè, in Piazza San Bernardo. 

Oggi una gran parte del circuito cittadino dell’Acquedotto Felice è affiancata dalla lunga Via del Mandrione, che dà il nome ad un quartiere, o meglio, ad una porzione del quartiere Tuscolano

In questa Via, una specie di tortuoso serpente che si snodava e in parte si snoda ancora sul confine tra la periferia della città e la campagna, furono trovati i resti di una splendida villa romana e parte di un lastricato. 

Il nome, Mandrione, deriva proprio dal fatto che qui, nella campagna sotto gli archi del vecchio acquedotto, venivano portate le mandrie a pascolare

Era però, già anticamente, una zona di scorribande, adatta agli agguati da parte di briganti e di sabotatori e per questo motivo, lungo questa via transitavano i sorveglianti degli acquedotti, arruolati dalle autorità pontificie. 

I solenni archi divennero però con il passare dei secoli anche un ideale rifugio: dapprima in tempo di guerra quando sotto l’Acquedotto Felice trovarono riparo gli sfollati del bombardamento di San Lorenzo del 1943, che costruirono le prime baracche, e poi, nel dopoguerra comunità di nomadi e prostitute. 

Ben presto dunque la zona del Mandrione divenne malfamata e territorio di studio per le condizioni abitative di disagio in città, che richiamarono nel dopoguerra l’interesse di personalità come Pier Paolo Pasolini, Gian Giacomo Feltrinelli, Elsa Morante, Goffredo Parise. 

Da qui partirono però anche progetti rivoluzionari (come quelli della pedagogista Angelina Linda Zammataro) di integrazione delle comunità nomadi e di recupero della zona archeologica con lo sgombero delle baracche e l’assegnazione di alloggi popolari alle numerose famiglie che vi abitavano

Oggi l’oscura Via del Mandrione ha – come altre parti della periferia romana – cambiato pelle, ospitando locali, botteghe artigiane e vita notturna.


Fabrizio Falconi, tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, 2013 


18/04/23

Come nacque "Il Giorno più bello per Incontrarti"

 



Il giorno più bello per incontrarti (Fazi Editore, 2000), nacque molti anni prima di essere scritto - e pubblicato. La vicenda al centro del romanzo infatti, fu ispirata da un fatto vero, i cui particolari avevo appreso durante un lavoro d'inchiesta, per la RadioRai, nel maggio 1988. 

Da giovane giornalista, membro di una redazione formata da giovani talenti, ero sempre alla ricerca di nuovi fenomeni da indagare. Incappai così in uno studio realizzato dal Viminale che, all'epoca, forniva i dati riguardo al fenomeno degli scomparsi - quelle persone che si allontanano da casa senza apparente motivo e sembrano sparire nel nulla. 

Si trattava - e si tratta - di un fenomeno molto più esteso di quanto pensassi e di quanto pensassero gli autori del programma. Migliaia di persone, in un solo anno. La gran parte, allontanamenti volontari (specie di giovani) che si risolvevano presto in un ritorno a casa.

Una parte considerevole di questi scomparsi però, spesso non tornava. 

E a parte i casi celebri, sui quali costruimmo delle ricostruzioni ad hoc, come quello del Professor Federico Caffè o di Ettore Majorana, v'erano diversi casi di persone assolutamente comuni, scomparse da un giorno all'altro nel nulla, per la disperazione dei familiari e degli amici. Naturalmente eravamo partiti, su questo argomento, molto prima di Chi l'ha visto, o programmi simili che sono seguiti. 

A caccia di casi ignoti ai più, mi imbattei in quello di un ragazzo veneto, la cui storia mi colpì moltissimo. Si chiamava Tiziano Zennaro, e viveva con la famiglia, in condizioni economiche piuttosto disagiate, nell'isola di Pellestrina, all'interno della Laguna Veneta, di fronte a Chioggia. Un giorno Tiziano, giovane difficile, si era allontanato da casa senza fare ritorno. Non era la prima volta, ma stavolta i genitori capirono che era diverso. Iniziarono le ricerche, sull'isola e sulla terraferma, senza esito. 

Un mese dopo, si era d'inverno, le acque della Laguna restituirono il corpo di un ragazzo. I genitori di Tiziano furono subito chiamati. Il cadavere era in condizioni di avanzato deterioramento, ma in sede di rilievi autoptici, si evidenziò che alcuni dati, come ad esempio l'altezza, corrispondevano a quelli di Tiziano. Il riconoscimento fu fatto e il caso chiuso. Il presunto Tiziano fu seppellito a Pellestrina.

Ecco che però, qualche anno dopo, arriva una cartolina a casa Zennaro. Il padre non c'è più, la madre ancora piange il figlio. La cartolina è una sorta di resurrezione di Lazzaro: è infatti firmata proprio da Tiziano, il figlio creduto morto. Scrive da una struttura psichiatrica, a Padova, dove è ricoverato.  La madre, superato lo shock, va a riprendersi Tiziano: scopre che è ricoverato nella struttura dal giorno in cui è stato trovato, in strada, senza documenti e senza che il ragazzo sapesse dire come si chiamasse. Curato per lunghi mesi, finalmente Tiziano a un certo punto ha recuperato la memoria: ha ricordato il suo nome e il nome e l'indirizzo della madre. E ha scritto.

La madre si riporta a casa il figlio, ma comunque non va a finire bene. Tiziano sta male, è insofferente: si lascia praticamente morire d'inedia, nella casa sull'isola e medici e psichiatri non riescono a salvarlo. 

Quando trovai questa storia, così letteraria, che ricordava davvero il Mattia Pascal, presi il primo treno per Venezia, e andai su quei luoghi. L'isola di Pellestrina, anche a maggio, era un luogo desolato. La vecchia madre di Tiziano viveva ora a Venezia, all'Arsenale. La trovai in una piccolissima casa, con il caffé pronto in cucina. Mi raccontò tutta la storia con una sorta di benedetta rassegnazione: Tiziano era sempre stato "un'anima inquieta" e bisognava accettarlo. 

Su quella vicenda e prendendo qualcosa di Tiziano e di quello che avevo scoperto su di lui, costruii la storia e il personaggio di Giovanni, che scompare nell'autunno del 1977 e il cui corpo - presunto - viene ritrovato sulla spiaggia di Sitges, poco dopo la sua sparizione. 

E la vicenda, in questo caso, si fa misteriosa quando la vedova, ben quattordici anni dopo, riceve una enigmatica cartolina da Giovanni, che evidentemente è ancora vivo, da qualche parte. 

La storia di Tiziano Zennaro si è in qualche modo incarnata - mentre scrivevo - in quella di Giovanni e mi piace pensare che abbia fornito una nuova casa, una casa di carta, a lui che era così insofferente ad averne una. Forse tra le pagine di questo romanzo, anche l'anima di Tiziano ha trovato un posto dove stare.

Fabrizio Falconi . 2023



06/04/23

La chiesa di San Lorenzo in Lucina e la misteriosa tomba di Poussin

 


La chiesa di San Lorenzo in Lucina e la misteriosa tomba di Poussin

 

Uno dei più antichi titoli delle chiese di Roma è quello di Lucinae attribuito alla chiesa che ancora oggi sorge nella piazza omonima nel centro della città e che, sorto in tempi antichissimi, è già ricordato nel 366 sulla residenza di una matrona romana, chiamata appunto Lucina (anche se non mancano altre ipotesi, tra le quali quella che nel luogo sorgesse un boschetto (lucus) da cui l'edificio prese il nome).

Quel che è certo è che sotto papa Sisto III (nell'anno 440 d.C.) avvenne la trasformazione in luogo di culto pubblico. Un rifacimento complessivo fu operato nel secolo XIII da Pasquale II, mentre al Duecento risale l'erezione, sulla sinistra della chiesa, del palazzo Fiano che divenne la residenza dei Peretti. Ma nuovi interventi furono compiuti nel corso dei secoli (anche Gian Lorenzo Bernini vi mise mano per costruirvi la Cappella Fonseca) fino ai successivi rimaneggiamenti sotto Papa Pio IX (1856) e del 1927 (anno in cui si ripristinò il portico murato) che conferiscono alla chiesa l'aspetto odierno.

Essa, oltretutto affonda le sue fondamenta, in parte, sotto il grandioso horologium (centosessanta metri per sessanta), fatto costruire dall'imperatore Augusto nel 10 a.C.,  la celebre Meridiana, i cui resti affiorano in diversi punti nei sotterranei degli edifici del quartiere di Campo Marzio (e anche della Chiesa). 

San Lorenzo in Lucina è una specie di museo, ospitando una serie di famose opere d'arte, come il crocefisso dipinto da Guido Reni al centro dell'altare maggiore.

Ma la Chiesa è famosa anche per la celebre sepoltura del pittore francese Nicolas Poussin (1594 – 1665), sulla quale sono fiorite leggende esoteriche di ogni tipo.

Poussin è uno dei più famosi pittori francesi, noto anche per essere il pittore di corte del re Luigi XIII e per aver supervisionato i lavori per la realizzazione del Louvre, ma a partire dai trent'anni trascorse la sua intera vita a Roma, dove ricevette la prima commissione nel 1626 dai conti Barberini per la realizzazione di un grande dipinto, Il sacco del tempio di Gerusalemme da parte dell'imperatore Tito, creduto per molto tempo perduto e ritrovato recentemente dal critico Denis Mahon.

Fautore dapprima dello stile barocco, Poussin, a partire dal 1630 cominciò ad abbandonare del tutto quel gusto artistico, per una rimeditazione attraverso una ricerca di chiarezza razionale, sul senso dell'esistenza e sul ruolo dell'arte come transito oltremondano.

A Roma Poussin morì, nel 1665, e fu sepolto proprio all'interno della Chiesa a Campo Marzio.

Il suo monumento funebre è tra i più enigmatici. La tomba fu concepita da Francois René de Chateaubriand (attivo a Roma fra il 1802 e il 1804), come si legge nella dedica in epigrafe subito al di sotto del busto del pittore (realizzato dallo scultore Jean-Louis Deprez) : F.A. De Chateaubriand a Nicolas Poussin per la gloria delle arti e l'onore della Francia. 

L'epitaffio invece, scritta da Pietro Bellori, il bibliotecario della regina Cristina di Svezia, recita: Trattieni il sincero pianto. In questa tomba vive Poussin che aveva dato la vita ignorando egli stesso di morire; qui egli giace, ma egli vive e parla nei quadri.

Infine, al di sotto dell'epitaffio, è realizzato in bassorilievo il profilo di un suo celebre capolavoro: Pastori in arcadia, che oggi è conservato al Museo del Louvre di Parigi e che esiste anche in un'altra versione dello stesso pittore, del 1627 e conservata in Inghilterra, a Chatsworth House.

E sotto questa rappresentazione, è inscritto il celebre motto Et in Arcadia ego, intorno al quale sono sorte le leggende più disparate e al quale sono stati dedicati interi libri.

In realtà Poussin non fu il primo ad utilizzare questo motto, che appare per la prima volta in un dipinto del Guercino, realizzato intorno al 1620.

La frase si riferisce alla mitica regione della Grecia, l'Arcadia, dove la leggenda narra che i pastori vivevano una vita idilliaca, lontana dai clamori e dagli affanni del tempo e della guerra e di ogni altra miseria umana.

La frase però, da un punto di vista strettamente letterale, risulta monca e priva di verbo.  Se infatti il significato è chiaramente: “anche io (sono stato o sono) in Arcadia”, è evidente che la frase manca del verbo – sum – che dovrebbe essere posto dopo il soggetto ego.

La citazione è stata subito interpretata come un memento mori come è reso esplicito anche dalle scene rappresentate dal Guercino – due pastori che si imbattono in un grande teschio – e da Poussin – pastori ideali  (c'è anche una donna, che nella versione di Chatsworth esibisce anche delle pose sensuali) che scoprono una tomba austera.

In pratica il significato della frase sembra essere: Anche la persona che riposa in questa tomba una volta viveva in Arcadia. Oppure: Anche io ero un Arcade, prima di incontrare la morte.

Il motto latino e l'associazione alla scena allegorica è stata ricollegata fantasiosamente con la pseudostoria (frutto di manipolazioni di tutti i tipi, in epoche successive) del Priorato di Sion.

Il legame con la morte (nel bassorilievo sulla tomba di Poussin i pastorelli contemplano quella che sembra essere a tutti gli effetti la tomba stessa del pittore) e la stranezza della frase senza verbo hanno fatto ipotizzare che la citazione contenga in realtà un codice anagrammato.

C'è stato chi ha tentato di sciogliere l'enigma, componendo la frase I! Tego arcana Dei, ovvero Vattene ! Io celo i misteri di Dio, alludendo ad un mistero del quale Poussin fosse al corrente, ossia che nella Chiesa fosse presente una sepoltura di una importante figura biblica (o addirittura dello stesso Gesù).

Ipotesi rafforzata da altri autori che, aggiungendo il sum alla frase, hanno ottenuto l'anagramma: Arcam dei tango Iesu, ovvero, Io tocco la tomba di Gesù. In questo caso, però, si è spiegato, la tomba del Maestro non sarebbe nella chiesa di San Lorenzo in Lucina, come ipotizzato, ma in un luogo misterioso della Francia, che servì da ispirazione a Poussin per il dipinto dei Pastori dell'Arcadia conservato al Louvre, il quale è modello del bassorilievo tombale.

Le tracce alla ricerca di questo luogo hanno portato dapprima in Francia, nella località di Les Pontiles, vicino a Rennes-le-Chateau, e poi in Inghilterra, nello Staffordshire, dove esiste una versione scolpita (non si sa in quale epoca) del dipinto realizzato da Poussin, nel cosiddetto Sheperd's Monument nel giardino della Sugborough house.

Ma ricerche in loco, non hanno dato nessun esito e tutte queste teorie sono state  ripetutamente smentite dai critici d'arte e dagli storici.

Quel che è certo è che Arcadia divenne dopo la morte di Poussin, la più celebre delle Accademie romane, fondata nel 1690 dai frequentatori del circolo di Cristina di Svezia (alla Lungara) che vollero così proseguire l'opera del pittore e le sue ricerche, in ogni campo delle arti e della cultura.


Fabrizio Falconi, tratto da Roma Segreta e Misteriosa, Newton Compton, 2015

24/02/23

Presentazione de "Le Basiliche di Roma" di Fabrizio Falconi a Via Panisperna, il 3 marzo !

 



Nella bellissima Libreria Panisperna (Via Panisperna 220), ci incontriamo, Venerdì 3 marzo alle ore 18 per parlare - con Luigi Galluzzo - della meraviglia di Roma, delle sue antiche o antichissime basiliche, partendo da quelle imperiali romane alle cristiane. Curiosità, storie, che abbiamo sotto i piedi ogni giorno.
E quindi del nuovo Libro appena uscito, Le Basiliche di Roma di Fabrizio Falconi da Newton Compton, in tutte le librerie,

01/02/23

Il Film del Giorno (su Amazon Prime Video): "Viaggio in Inghilterra" di Richard Attenborough, sulla vicenda umana del grande C. S. Lewis



Mi sono incuriosito leggendolo più volte citato in un luogo inaspettato, ovvero il libro di memorie di Andre Agassi, "Open".
Sono andato allora alla ricerca di questo film uscito nell'ormai lontano 1993 e diretto da "Sir" Richard Attenborough.
In Italiano fu chiamato (inspiegabilmente) "Viaggio in Inghilterra", mentre il titolo in inglese era molto evocativo: Shadowlands (Le Terre dell'Ombra).
Si tratta della vera vicenda di Clive Staples Lewis, uno dei più grandi scrittori e intellettuali del XX secolo britannico, autore della saga di Narnia, e di una quantità di saggi e altri romanzi e testi, quasi tutti pubblicati in Italia da Adelphi.
Lewis lo conosco molto bene: lui era uno dei dieci autori che ho scelto per "Cercare Dio", il saggio che ho pubblicato con Castelvecchi nel 2018.
Perciò temevo un po' la ricostruzione della storia della sua vita e in particolare del suo tragico amore con l'americana Joy Gresham, che cambiò del tutto la sua vita, regalandogli una felicità insperata, totale, purtroppo stroncata quasi subito dalla malattia che portò Joy alla morte nel giro di pochi anni.
Il film è molto bello, nel suo classicismo. Lo nobilitano le interpretazioni di Anthony Hopkins e di Debra Winger, nei panni di Joy che per questo film fu candidata all'Oscar.
Certo Hopkins è molto più bello e fascinoso di quanto fosse nella vita il vero Lewis. Ma lui riesce a essere altamente credibile anche in questo ruolo.
Il film ha una emozionante luce invernale, tipicamente inglese, dura più di due ore, tocca profondamente e rende il giusto tributo a un regista, Attenborough, che bisognerebbe rivalutare.

28/01/23

L'intervista a RadioUno: Le Basiliche di Roma, Il nuovo libro di Fabrizio Falconi




Un viaggio avventuroso nella storia bimillenaria delle meravigliose Basiliche di Roma. Dalle Basiliche antiche del Foro Romano, ancora superstiti, alle quattro patriarcali, alle tre minori, alle oltre venti paleocristiane, piene di storia.

Questo è Le Basiliche di Roma di Fabrizio Falconi, appena uscito in tutte le librerie. 

E ordinabile su Amazon e su tutte le librerie online.

Del Libro e delle Basiliche di Roma ho parlato nella intervista a Alessandra Rauti di Radio Rai nella intervista andata in onda a Incontri d'Autore su RadioUno domenica 23 gennaio 2023.

L'intervista è ascoltabile su Rayplaysound:

CLICCA QUI

08/12/22

8 Dicembre, Festa dell'Immacolata. La storia della famosa Colonna a Piazza di Spagna a Roma



  

Per molto tempo, la Piazza di Spagna fu definita cristianissima piazza, quasi si trattasse della Piazza più santa di Roma, ancor più di Piazza San Pietro. Ciò si doveva in parte alla pianta della Piazza, che sembra ricalcata quasi sul monogramma di Cristo, cioè il Labarum, il Chi-Ro, con le due lettere greche simbolizzate dalle quattro strade laterali che vi convergono e che sembrano una ics (la Chi greca) e l’asse centrale che l’interseca (da Via Condotti alla Scalinata) che rappresenterebbe la erre (la Ro greca); in secondo luogo per l’affollamento di edifici o monumenti di ispirazione cristiana che vi si affacciano, la Chiesa di Trinità dei Monti, il collegio di Propaganda Fide, la Barcaccia del Bernini che sembra richiamare la navicella di San Pietro e infine la colonna dell’Immacolata.

Questa, ha una storia davvero particolare. Alta quasi dodici metri e con un diametro di un metro e mezzo fu rinvenuta integra durante scavi eseguiti nel 1778, e proveniva probabilmente dal complesso degli edifici augustei che sorgevano in quella zona nel I secolo d.C.

Proprio per le sue notevoli dimensioni, però, la colonna rischiò incredibilmente di essere di nuovo sotterrata. Al contrario degli altri frammenti ritrovati in quegli scavi che si prestavano ad un rapido reimpiego, era difficile trovare una giusta collocazione ad una colonna così imponente.

Restò dunque malinconicamente abbandonata per molti anni nei pressi del Quirinale, in attesa di una occasione per un suo riutilizzo, occasione che arrivò quando papa Pio IX decise di celebrare il dogma dell’Immacolata Concezione da lui proclamata. 

L’inaugurazione della Colonna (grazie ai diecimila scudi versati al Papa da Ferdinando II di Borbone), nella nuova collocazione avvenne l’8 dicembre – festa dell’Immacolata – del 1854, e a sorpresa, il Papa non fu presente.  Uno dei cronisti dell’epoca, il britannico Norton, che era protestante, colse allora subito l’occasione per ironizzare sul Pontefice, vaticinando che l’opera avrebbe avuto sicuramente una ottima riuscita, visto che – come scrisse nei suoi diari – ho sentito dire che la sua presenza era temuta per la fame che egli ha di portare il malocchio.

Davvero irriverente, nei confronti di un Papa !

La Colonna, poi fu oggetto anche di un’altra celebre pasquinata: quando furono svelate le quattro statue alla base del monumento, rappresentanti i quattro profeti, Isaia, Ezechiele, David e Mosè, il popolo non tardò ad accorgersi che l’ultima di queste statue – proprio quella di Mosè – aveva una bocca che appariva sproporzionatamente piccola.

Pasquino allora scrisse uno sferzante epigramma, facendo finta di rivolgersi al Mosè, come aveva fatto Michelangelo, dicendogli: Parla ! E il Mosè dalla bocca piccola, gli rispondeva: Non posso !  E di rimando Pasquino: Allora fischia! E il Mosé: Sì, fischio lo scrittore !  Che era il povero e inconsapevole Ignazio Jacometti.


Tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e Segreti dei Quartieri e dei Rioni di Roma, Newton Compton, Roma, 2015

05/11/22

Esce il 25 novembre "Le Basiliche di Roma", il nuovo Libro di Fabrizio Falconi

 



Esce in tutte le librerie (e su quelle online) il prossimo 25 novembre "Le Basiliche di Roma", il nuovo Libro di Fabrizio Falconi.

Sinossi

Dalle costruzioni pagane e paleocristiane fino a San Pietro e San Giovanni in Laterano

La storia bimillenaria di Roma è indissolubilmente legata a quella delle numerose basiliche che punteggiano la città. Che si tratti delle grandi chiese della cristianità o degli edifici pubblici pagani superstiti, questi luoghi sono diventati iconici della grandezza di Roma, e non mancano mai di stupire e affascinare i milioni di turisti che visitano la Città Eterna. In questo prezioso libro, Fabrizio Falconi illustra la nascita e il significato originale delle basiliche, per poi condurre il lettore in un percorso che tocca tutte quelle presenti nell’Urbe. Si raccontano aneddoti e curiosità sulla costruzione e la storia di questi magnifici luoghi, spaziando dalle quattro basiliche apostoliche ai ruderi di quelle di Roma antica, fino ad arrivare alle basiliche minori e a numerose chiese di fondazione paleocristiana. Da San Pietro in Vaticano alla Ulpia, da San Giovanni in Laterano a Santa Croce in Gerusalemme fino a Santa Cecilia in Trastevere e San Martino ai Monti: uno straordinario viaggio all’interno della storia della Capitale.

La storia di intere generazioni racchiusa in monumenti eterni

La basilica di San Paolo fuori le mura
Santa Maria Maggiore
Santa Croce in Gerusalemme
San Sebastiano fuori le mura
San Lorenzo fuori le mura
Santa Prassede
Santa Maria degli Angeli e dei Martiri
Santi Dodici Apostoli
Santa Maria sopra Minerva
Santa Maria in Domnica
San Clemente

e tante altre...

  • ISBN: 8822767179
  • Casa Editrice: Newton Compton
  • Pagine: 288
  • Data di uscita: 25-11-2022

TUTTE LE INFORMAZIONI QUI







07/09/22

"(in)abisso" - una poesia di Fabrizio Falconi

 



in(abisso) 



generale tempo del senso perso,
ecco i tuoi amici distratti
ecco coloro che se ne sono andati,
i marinai del vento contrario,
ecco i monchi pazzi
ecco le vedove
ecco mio padre che sorride
e quello che un solco venerabile
ha lasciato, eccoli in corteo:
non vedi come conta i denti la ruota
del tempo soppesato da te,
non vedi come si ribella
reclama un nuovo visibile
spavento, uno spavento che finisca
in riso e non si penta e non scolori
mai
nel pianto.


03/05/22

A Roma esisteva una "Via Tiradiavoli" - una storia di apparizioni e bizzarrie

 


Non è celebrata come la sorella consolare Appia Antica, che per una lunghezza di quasi dodici chilometri di percorso cittadino (entro il Raccordo Anulare) ha mantenuto lo stesso aspetto che aveva duemila anni fa, ma anche la Via Aurelia è capace oggi di stupire il visitatore.

Del resto questa consolare fu una delle primissime costruite a Roma, esattamente nella metà del III secolo a.C. e come le altre prese il nome del suo costruttore, Gaio Aurelio Cotta. Aveva lo scopo di collegare l’Urbe a Cerveteri, l’antica Caere Vetus, etrusca, la cui fondazione sembra risalire addirittura al XII secolo a.C.

L’Aurelia Vetus – questo primo tratto – fu poi prolungato fino alla colonia di Pyrgi, alle pendici del Monte della Tolfa, e poi sempre più su fino a Cosa – la colonia che si trovava sul promontorio di Ansedonia – a Populonia, Vada (oggi in provincia di Livorno, che sorgeva al duecentottantasettesimo chilometro della Via), Pisa, Luna, Genova e Sabatia, cioè fino al confine naturale delle Alpi liguri, al confine con la Francia odierna, scavalcando con la geniale ingegneria romana, zone paludose (come quella nel Versiliese) e popolazioni ostili che si incontravano durante la costruzione (come i temibili Apuani).

Una costruzione che durò per tre secoli e che fu completata nel 13 a.C. sotto Augusto, con la via Julia Augusta che celebrò il consolidamento delle conquiste del nord e la sottomissione delle popolazioni alpine.

Ma a noi interessa qui il circuito cittadino della Via consolare, che prende origine dalla Porta San Pancrazio, anche se anticamente la Via partiva proprio dal Campidoglio, come tutte le altre consolari, nella computazione chilometrica (e come del resto avviene anche oggi), scavalcando il Tevere attraverso il cosiddetto Ponte Rotto, i cui resti monumentali sono ancora oggi visibili a valle dell’Isola Tiberina, opera del console Manlio Emilio Lepido e costruito negli stessi anni della Via Aurelia, intorno al 241 a.C.

La Via Aurelia poi, si inerpicava sul colle del Gianicolo, attraversava le campagne oggi occupate dalla Villa Doria-Pamphilj ( attraverso un sentiero laterale si accedeva al Casale di Giovio) per spingersi poi sempre più a nord, a una distanza più o meno regolare dal litorale.

Al giorno d’oggi, l’Aurelia antica, nel suo tracciato, rimasto lo stesso da secoli, separa con esattezza il confine tra il quartiere Aurelio e il quartiere Gianicolense, fino all’altezza della via Bravetta.

E proprio lungo questo itinerario c’è una vecchia consolidata leggenda romana, secondo cui una carrozza trainata da cavalli con occhi di fuoco e con a bordo il fantasma di donna Olimpia (la celebre cognata di papa Innocenzo X Pamphilj) partiva a tutta velocità dalla villa della famiglia, in direzione del centro di Roma, lungo la Via Aurelia Antica, attraversava come un fulmine Ponte Sisto per tornare poi nuovamente a sparire all’interno della stessa villa percorrendo obbligatoriamente la via Tiradiavoli, una strada ricordata fino a tutto il 1914 nella toponomastica romana (e dall’origine piuttosto eloquente), poi incorporata anch’essa nell’Aurelia Antica.

Come nacque la leggenda è opportuno brevemente narrare.

A Donna Olimpia Maldaichini, che il popolo dell’Urbe chiamava, a metà tra il familiare e lo sprezzante, la pimpaccia, il nomignolo che alla temuta dama aveva affibbiato l’irriverente Pasquino, sono ancora oggi intitolate a Roma una importante via e una piazza.

La gente di Roma la chiamava anche Papessa,  per le sue frequentazioni importanti oltretevere e la sua parentela acquisita con il Papa, e per le stesse ragioni: il Cardinal padrone.

Quello invece di pimpaccia derivava dalla geniale scritta che giocando sulla separazione delle lettere del suo nome, apparve un giorno affissa sulla più celebre statua parlante di Roma, Pasquino: « Olim pia, nunc impia »,  che tradotto dal latino si leggeva: olim (una volta)  pia (religiosa), nunc adesso) impia (peccatrice).

Nata a Viterbo nel 1592 da una famiglia modesta, Olimpia Maidalchini aveva  sposato in seconde nozze Pamfilio amphilj,  fratello di quel cardinale, Giovanni Battista Pamphilj, che pochi anni dopo sarebbe diventato papa con il nome di  Innocenzo X. 

Grazie alla sua sottile intelligenza e alle sue arti politiche, Olimpia divenne con gli anni la consigliera molto influente del papa, ed in poco tempo la donna più potente e temuta di Roma, al punto che alla sua morte lasciò l’incredibile somma di due milioni di scudi d’oro, contribuendo in questo modo a consolidare la fortuna dei Pamphilj. 

Innocenzo X, avvalendosi dell’opera dei più geniali architetti e artisti dell’epoca – in primis Bernini e Borromini – cambiò il volto alla città, risistemando Piazza Navona, la Basilica di San Giovanni in Laterano,  edificando la sontuosa Villa Pamphilj, organizzando una celebrazione sfarzosa, destinata a rimanere negli annali, dell’Anno Santo del 1650, il tutto con la stretta collaborazione della cognata.

Dopo la morte di Panfilio, il fratello del futuro papa, che aveva sposato in seconde nozze e che era più vecchio di lei di trent’anni, infatti Olimpia si era ritrovata  nel 1639 libera dall’assolvere i doveri coniugali, e soprattutto libera di dedicarsi completamente al cognato, alimentando in tal modo le dicerie e i veleni (generati in gran parte proprio dalle pasquinate)  secondo le quali i due erano stati amanti, ed era stata la stessa Olimpia a provocare la morte del marito, somministrandogli nel sonno un potente veleno.

Cinque anni dopo, l’ascesa di Giovanni Battista Pamphilj, si completò con la sua elezione a papa: era il trionfo per Donna Olimpia: ad essa, il  cognato consegnò un potere immenso. Non v’era praticamente affare importante  che a Roma potesse essere deciso senza averla prima consultata, non v’era la possibilità di essere ricevuti in udienza privata dal pontefice, senza prima passare dal suo avallo.  Al figlio della nobildonna, Camillo, fu inoltre concesso l’onore di diventare dapprima capo della flotta e delle forze dell’Ordine della Chiesa, e poi di divenire a sua volta Cardinale, ricevendo la porpora nel concistoro del 1644 direttamente dalle mani dello zio paterno.

Questo potere smisurato attirò però su Olimpia, inevitabilmente, l’odio feroce di molti avversari, con la proliferazione  di rumorosi scandali, che ne aumentarono la fama controversa.  

Un ultimo episodio infamante fu attribuito ad Olimpia nella occasione della morte di Innocenzo X,  che morì il 7 gennaio del 1655 – alla bella età di 81 anni: sembra proprio che, con il cadavere ancora caldo del Pontefice,   Olimpia non si fece problemi a cavare, dal di sotto del suo letto,  due casse piene d’oro, e al contempo, professandosi  ‘una povera vedova’, a esimersi dal fargli fabbricare una cassa da morto. Non solo, l’ingrata cognata non volle saper nulla, né di esequie, né di sepoltura  o dei convenzionali, lussuosi abiti da lutto che si imponevano al pontefice morto: con il risultato che  la salma di Innocenzo fu abbandonata per tre giorni in una segreta del Vaticano, dove venne vegliato da tre operai i quali si incaricarono quanto meno di proteggere il cadavere dall’insidia dei topi. Sembra incredibile, ma anche la poverissima bara e le esequie furono poi pagate da due generosi  maggiordomi (uno dei quali fra l’altro era stato da lui perfino malamente licenziato), nella indifferenza totale dell’austera Olimpia.

Ritiratasi a vivere nelle sue sconfinate tenute di San Martino al Cimino, nel viterbese,  Olimpia sopravvisse due anni, prima di morire.

Ma anche dopo la morte la leggenda nera intorno ad Olimpia continuò per molti e molti anni. Basti pensare, come abbiamo detto, che soltanto nel 1914 fu cancellata dagli stradari cittadini quella certa Via Tiradiavoli, nella quale la tradizione popolare voleva che il carro fiammeggiante con a bordo il celebre fantasma fosse bloccata, nelle notti di tempesta, dai demoni che volevano portare con loro l’anima avida della signora.

Ma anche l’abolizione della Via e del suo lugubre nome, non ha cancellato la memoria del curioso destino di Donna Olimpia e del suo inquieto, esoterico andirivieni, lungo il tracciato della antica Via Aurelia.

Tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e Segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, 2013