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17/09/20

Marcel Proust e l'ultimo incontro con Jeanne Pouquet - la fine di una illusione


Nelle ultime pagine del meraviglioso libro appena letto -'La storia d'amore come opera d'arte' di Dan Hofstadter - scopro una vicenda relativa a Marcel Proust che non ho mai saputo.
E' noto che - da giovane - Proust corteggiò a lungo Jeanne Pouquet, figlia di un agente di cambio cattolico di destra, che essendo assai graziosa, fece rapidamente ingresso nei salotti della buona società di Parigi.
Proust conobbe Jeanne insieme a Gaston de Caillavet, suo amico dai tempi del militare, uno dei pochissimi amici eterosessuali di Marcel.
Jeanne si innamorò subito di Gaston, ma usò per diversi anni lo "schermo" di Marcel, che era a sua volta dichiaratamente innamorato di lei (e che più tardi usò Jeanne come proto-tipo per la Gilberte della "Recherche"): il padre di Jeanne infatti era un conservatore cattolico e non avrebbe mai gradito che la figlia fosse corteggiata da un liberale semiateo quale era Gaston. Jeanne allora, con la alacre collaborazione della madre, sfruttò cinicamente la presenza di Marcel che fu convocato sempre, ogni qualvolta si desiderava invitare Gaston, fuori e dentro Parigi, perché la cosa non destasse sospetto.
Con il passare degli anni, quando finalmente la resistenza del padre di Jeanne fu vinta e il matrimonio con Gaston poté andare in porto, a Marcel fu dato l'immediato benservito.
Marcel soffrì molto e per i successivi 15 anni si rifiutò di mettere mai piede nella casa di Jeanne e Gaston nonostante i ripetuti inviti.
Jeanne aveva rappresentato per Proust (che morì senza mai dichiarare in pubblico la propria omosessualità), l'ultima possibilità di una vita "normale": se Jeanne avesse corrisposto il suo amore egli forse avrebbe potuto evitare a se stesso la vergogna di essere "invertito" e di doverlo oltretutto nascondere alla amata madre (cosa che fece infatti fino alla morte di lei).
A Jeanne e Marcel il destino offrì poi una seconda chance: Gaston infatti morì prematuramente, a 50 anni. Marcel, sconvolto dalla perdita improvvisa dell'amico, cercò di rivedere Jeanne.

E qui andò in scena l'incredibile, perché nonostante le ripetute lettere, inviti reciproci, questo incontro continuò a tardare per impedimenti di ogni tipo, finché un giorno Proust non avvertì Jeanne che quella sera sarebbe andata a trovarla a casa.
Marcel arrivò alle undici di sera a bordo di un taxi. Suonò il campanello, ma nessuno aprì. Lo scrittore però non si rassegnò. Tornò in macchina ad aspettare, guardò i tre grandi finestroni spenti, poi ordinò al tassista di suonare il clacson, cosa che fu fatta ripetutamente.
Nessuno comunque venne ad aprire.
Marcel tornò sconsolato a casa.
Dall'incrocio delle lettere e diari superstiti esiste la spiegazione che Jeanne non abbia volutamente aperto, e che fosse con il suo amante (che aveva già dai tempi del matrimonio con Gaston, il quale era a sua volta un incallito fedifrago).
L'incontro avvenne parecchio tempo dopo, a casa di Marcel, nella sua camera da letto appesantita dai vapori che usava per combattere la sua fortissima asma, ma fu tristissimo.
Marcel morì nel 1922.
Jeanne molti molti anni dopo nel 1961, ed è passata alla storia unicamente per la sua "amicizia" con Proust, che lei - una volta lo scrittore divenuto celebratissimo (soltanto dopo la sua morte, con la pubblicazione della Recherche) - sfruttò editorialmente con un volume contente i suoi ricordi su Proust (ampiamente manipolati), che andò a ruba.
La scena di Proust sotto casa sua di notte e di quella porta chiusa mi ha ricordato moltissimo il finale de "L'età dell'innocenza" di Edith Wharton e il film che Martin Scorsese ne ha fatto.
Mi sembra un topos narrativo di incredibile dolore e bellezza, come del resto è solo la grande letteratura o la grande vita.

Fabrizio Falconi - 2020

03/04/12

Piccole bugie tra amici (Recensione)


 

Sta per uscire anche in Italia Les Petits Mouchoirs (tradotto impropriamente come al solito: "Piccole bugie tra amici"), il film di Guillaume Canet, che in Francia è diventato un piccolo 'caso' con 6 milioni di spettatori e molti articoli sui giornali.

Interpretato da ottimi attori come Marion Cotillard, François Cluzet e Jean Dujardin ('The Artist'), il film - una commedia agrodolce sulle vicende di un gruppo di amici quarantenni alle prese con la scomparsa di uno di loro (tema che sembra molto molto vicino a quello de 'Il Grande Freddo')  -  nella sua semplicità dice alcune cose interessanti sui vizi della contemporaneità occidentale e in particolare sulla condizione della 'generazione di mezzo'. 

Si scopre così che in  queste vite liberate e dissipate, e completamente incentrate sul sesso e sulla sessualità (vissute in modo nevrotico o paranoico), l'ultimo tabù rimasto è quello della omosessualità - ma solo di quella maschile. 

E' l'omosessualità, vera o presunta o immaginata di uno degli amici, a scatenare imbarazzi, reticenze, ironie, e insieme le risate più convinte offerte dal canovaccio della sceneggiatura.

Insieme a questo, l'altro enunciato del film - non molto originale, per la verità - è che questa generazione è fondamentalmente una generazione di immaturi, di persone non formate, di eterni adolescenti, incapaci di prendere una direzione, nella vita, perché eternamente in fuga dalle proprie responsabilità e dal sacrificio, eternamente inebriati dal piccolo o grande sballo continuo, dal divertimento - se possibile - che diventa tetro rituale di solitudine, dal cerebralismo inutile, dalla coltivazione ossessiva del proprio ego, esattamente come fanno gli adolescenti.  

La morte è l'unico antidoto, sembrerebbe decretare il film, l'unico mezzo che serve per crescere.   Per abbandonare i piccoli e grandi isterismi, le nevrosi, ed essere capaci di scoprire la parte autentica di sé, che normalmente si fa di tutto per non ascoltare, nel chiasso insensato di queste vite.

Un film interessante, decisamente troppo lungo - con almeno 40 minuti di troppo - che dimostra la vitalità del cinema d'Oltralpe.