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29/04/22

Libro del Giorno: "Troviamo le Parole" - Lettere (1948-1973) di Paul Celan e Ingeborg Bachmann

 



Viene finalmente stampato anche in Italia il carteggio (superstite) tra due dei più grandi protagonisti della scena letteraria europea del Novecento, Paul Celan e Ingeborg Bachmann, in un volume che ne ricostruisce la vicenda epistolare. Due spiriti difficili, provati da vite faticose e infelici, che hanno esplorato vette poetiche di difficile accesso, allo stesso penalizzati nella loro vita relazionale da un eccesso di sovrastrutture, di un pensiero contorto, avvitato, negli spazi abitati (anche) dall'ansia e dall'angoscia. 

Nella Vienna del dopoguerra si incontrano Paul Celan e Ingeborg Bachmann, lei diciottenne con un padre fervente nazista, lui ebreo fuggito dalla Romania e scampato ai campi di concentramento

A partire dal ’47 fino al suicidio di Paul nel ’70, le loro vite sono legate da un doppio filo sentimentale e poetico, e queste lettere testimoniano la lunga storia di amori e dissapori, di condivisione e di silenzio, che li ha legati per diciannove anni, sempre alla ricerca delle parole che li facessero incontrare. 

Alle loro voci si uniscono quelle dei carteggi di Paul con Max Frisch, compagno della Bachmann, e di Ingeborg con Gisèle Lestrange, moglie di Celan.

E' la parte forse più interessante di questo libro, penalizzato - almeno nella edizione e nella cura italiana - dalla mancanza di un efficace apparato contestuale, che spieghi al lettore ciò che accade - mentre le singole lettere vengono scritte - alle vite dei due protagonisti, 

Paul Celan non tenne conto di un avvertimento che Ingeborg (Bachmann) gli scrive a un certo punto, in una lettera, e cioè che loro due non potevano, non avrebbero mai potuto vivere insieme a qualcun altro (e d'altronde anche Ingeborg ci provò a lungo, con risultati egualmente disastrosi, con Max Frisch). 

Così è del tutto tragico l'epilogo di tutte e due queste vite: Celan provò una prima volta ad uccidere la moglie, Gisèle Lestrange, il 24 novembre del 1965. Fu sottoposto a ricovero coatto in diverse cliniche psichiatriche fino all'11 giugno 1966. Ci riprovò una seconda volta, il 30 gennaio 1967, senza riuscirci e tentando il suicidio. Di nuovo fu ricoverato in una clinica psichiatrica fino al 17 ottobre 1967. 

Finalmente Gisèle nell'aprile seguente, chiese la separazione, constatando l'impossibilità di vivere insieme. Il 20 aprile 1970 Celan si suicidò nelle acque della Senna, dopo aver riempito le tasche di sassi. 

Ingeborg Bachmann dall'autunno 1965 e fino al 1967 fu ricoverata in diverse cliniche, in seguito alla separazione da Max Frisch. Il 17 ottobre 1973 Ingeborg Bachmann morì in una clinica romana a seguito delle ustioni riportate nel suo appartamento di Via Giulia (si era addormentata al letto con una sigaretta accesa, stordita dalla enorme quantità di farmaci che assumeva).

E' nelle lettere finali tra Paul e Max Frisch, e soprattutto in quelle tra la Bachmann e Gisèle, che il contesto si fa più chiaro, e i due riescono forse come non erano riusciti a far prima, tra di loro, a dare parole concrete ai loro sentimenti, alle paure, al timore, al senso di colpa, ma soprattutto alla consapevolezza.

In questo non sembra un caso che mentre il tono tra i due maschi Paul e Max resti tutto sommato più freddo, distaccato - e vi si percepisca l'implicita rivalità nei confronti di Ingeborg - tra le due donne invece, l'accoglienza sia più vera, naturale, pietosa e anche sublime. Anche qui, le donne sembrano capaci di superare i contrasti, di perdonare, di comprendere, di accogliere. Molto meglio degli uomini. Anche se tutti, sembravano parlare lo stesso linguaggio, quello della poesia.


Paul Celan con la moglie Gisèle Celan-Lestrange


Ingeborg Bachmann

 

Ingeborg Bachmann e Paul Celan 

17/04/22

Poesia della Domenica di Pasqua: "Fede nella primavera" di Ludwig Uhland

 



Fede nella primavera.

Le dolci brezze si sono risvegliate spirano e sussurrano giorno e notte; si muovono ovunque.
Oh, aria fresca, oh nuovo suono ! Ora, povero cuore, non temere, Ora tutto, tutto deve cambiare.
Il mondo diventa più bello ogni giorno, non si sa cosa diventerà.

La fioritura non accenna a finire fiorisce anche la valle più lontana e profonda.
Ora, povero cuore, dimentica il tuo tormento. Ora tutto, tutto deve cambiare.


Ludwig Uhland, (Tubinga, 1787 – 1862) Fede nella Primavera

16/04/22

Ingeborg Bachmann e Roma, un destino tragico

 


Sto leggendo in questi giorni l'epistolario tra Paul Celan e Ingeborg Bachmann, meritoriamente pubblicato dall'editore Nottetempo, di cui parlerò più avanti, e mi torna alla mente il tragico destino della grande scrittrice austriaca, innamorata del nostro paese e di Roma, in particolare, dove finì i suoi giorni nel modo più tragico. 

Dopo diversi soggiorni, in gioventù e nell'età matura, la Bachmann era tornata nel 1965 a Roma, a trentanove anni. Era una autrice ormai affermata, anche se il suo stile raffinatissimo, le sue poesie rarefatte e i racconti e i romanzi densi e magici, non potevano essere destinati a un grande pubblico. 

In quel periodo poi, la scrittrice soffriva per la dipendenza da pillole e alcol e scriveva assai poco. 

Nel 1967 aveva lasciato il suo editore, la Piper Verlag in segno di protesta per aver incaricato l'ex leader dell'HJ (la gioventù nazista) Hans Baumann di tradurre il Requiem di Anna Achmatowa, sebbene la Bachmann avesse caldamente raccomandato l'amico Paul Celan, passando alla Suhrkamp Verlag. 

Nella sua ultima lettera a Bachmann del 30 luglio 1967, Celan la ringraziava per aver preso parte all'"Affare Achmatowa". 

Quattro anni dopo, nel 1971 la Bachmann pubblicò Malina, il romanzo considerato il primo volume di una prevista trilogia intitolata Tipi di morte

L'ultimo lavoro di Bachmann è oggi considerato un "paradigma della scrittura femminile". 

Ancora due anni dopo, la fine improvvisa di uno spirito geniale e tormentato: nella notte tra il 25 e il 26 settembre 1973, Ingeborg Bachmann subì gravi ferite nel suo appartamento romano, in Via Giulia, a causa di un incendio appiccato da una sigaretta accesa mentre si stava addormentando. 

Oggi  si sa che la sua dipendenza dalle pillole fu considerata una delle ragioni dell'incendio. 

Alfred Grisel, un amico intimo, riferì di una visita a Bachmann a Roma all'inizio di agosto 1973: “Sono rimasto profondamente scioccato dall'entità della sua dipendenza dalle pillole. Dovevano esserci circa 100 pezzi al giorno, il cestino traboccava di scatole vuote. Aveva un aspetto brutto, era pallida come la cera. E su tutto il corpo coperto di macchie. Mi chiedevo cosa potesse essere. Poi, quando ho visto la Gauloise che stava fumando scivolare dalla sua mano e bruciarsi sul braccio, l'ho capito: ustioni causate dalla caduta delle sigarette. Le tante pillole avevano reso il suo corpo insensibile al dolore.”

Dopo il grave incidente, la Bachmann fu portato all'ospedale Sant'Eugenio. La sua forte dipendenza dai sedativi (barbiturici), di cui i medici curanti inizialmente non erano a conoscenza, innescarono convulsioni simili a crisi epilettiche. 

Il 17 ottobre 1973 morì di sintomi di astinenza fatali all'età di 47 anni. 

Fu sepolta il 25 ottobre 1973 nel cimitero di Klagenfurt-Annabichl. 

Le indagini su un possibile sospetto di omicidio furono chiuse dalle autorità italiane il 15 luglio 1974. 

In un necrologio in Der Spiegel, Heinrich Böll descrisse la scrittrice come una dei pochi "intellettuali brillanti" che "non hanno perso la sensualità né trascurato l'astrazione nella loro poesia". 

Il suo patrimonio di 6.000 pagine si trova nella Biblioteca nazionale austriaca dal 1979 e può essere visualizzato nell'archivio della letteratura . Dal 2018 esiste anche un patrimonio parziale di quasi 1000 pagine con scritti e lettere dei suoi giorni da studente. 

Nel febbraio 2021 è stata decisa la vendita della casa dei genitori di Ingeborg Bachmann in Henselstraße 26 a Klagenfurt, alla fondazione privata carinziana.

I beni privati ​​di Bachmann, che Heinz Bachmann, fratello di Ingeborg Bachmann, riportò qui dall'appartamento romano dopo la sua morte, sono ancora conservati nella casa. 

Si prevede di aprire la casa al pubblico sotto la direzione del Klagenfurt Musil Museum.

Fabrizio Falconi - 2022

05/12/21

La Poesia della Domenica: "Venite" di Gottfried Benn

 




Venite - Gottfried Benn

Venite, parliamo tra noi chi parla non è morto, già tanto lingueggiano fiamme intorno alla nostra miseria.

Venite, diciamo: gli azzurri, venite, diciamo: il rosso, si ascolta, si tende l'orecchio, si guarda, chi parla non è morto.

Solo nel tuo deserto, nel tuo raccapriccio di sirti, tu il più solo, non petto, non dialogo, non donna,

è già così presso agli scogli sai la tua fragile barca - venite, disserrate le labbra, chi parla non è morto.

Gottfried Benn, 1950

22/12/19

Poesia della Domenica: "Annunciazione - Le parole dell'Angelo" di Rainer Maria Rilke




Annunciazione - Le parole dell'Angelo

Tu non sei più vicina a Dio
di noi; siamo lontani
tutti. Ma tu hai stupende
benedette le mani.
Nascono chiare a te dal manto,
luminoso contorno:
io sono la rugiada, il giorno,
ma tu, tu sei la pianta.

Sono stanco ora, la strada è lunga,
perdonami, ho scordato
quello che il Grande alto sul sole
e sul trono gemmato,
manda a te, meditante
(mi ha vinto la vertigine).
Vedi: io sono l’origine,
ma tu, tu sei la pianta.

Ho steso ora le ali, sono
nella casa modesta
immenso; quasi manca lo spazio
alla mia grande veste.
Pur non mai fosti tanto sola,
vedi: appena mi senti;
nel bosco io sono un mite vento,
ma tu, tu sei la pianta.

Gli angeli tutti sono presi
da un nuovo turbamento:
certo non fu mai cosí intenso
e vago il desiderio.
Forse qualcosa ora s’annunzia
che in sogno tu comprendi.
Salute a te, l’anima vede:
ora sei pronta e attendi.
Tu sei la grande, eccelsa porta,
verranno a aprirti presto.
Tu che il mio canto intendi sola:
in te si perde la mia parola
come nella foresta.

Sono venuto a compiere
la visione santa.
Dio mi guarda, mi abbacina...

Ma tu, tu sei la pianta.


Rainer Maria Rilke
Traduzione di Giame Pintor

08/12/19

Poesia della Domenica - "Il biancospino del conte Eberardo" di Ludwig Uhland








Il biancospino del conte Eberardo


Eberardo, il conte il barbuto
dalla contea del Wurttenberg,
è venuto in pellegrinaggio
alla terra di Palestina.


A cavallo attraversava
una foresta fresca,
e subito ha tagliato
un ramo verde di biancospino.


Lo ha attaccato con cautela
al suo ferrato copricapo,
lo ha portato alla battaglia
e sulle onde del mare.


Una volta tornato a casa,
lo ha piantato nella terra,
dove presto nuovi germogli
la primavera ha risvegliato.


Il conte, fedele e buono,
ogni anno lo andava a guardare,
e in cuor si rallegrava,
per come era cresciuto.


Il signore è vecchio e stanco,
il rametto ormai è un albero,
e lui lì sotto sta seduto
e sogna profondamente.


La chioma alta e larga,
con dolce stormire gli rimembra
quel tempo antico
e la terra lontana.
(Tubinga, 26 aprile 1787 – Tubinga, 13 novembre 1862)



Graf Eberhard im Bart
Vom Würtemberger Land,
Er kam auf frommer Fahrt
Zu Palästina’s Strand.

Daselbst er einsmals ritt
Durch einen frischen Wald;
Ein grünes Reis er schnitt
Von einem Weißdorn bald.


Er steckt’ es mit Bedacht
Auf seinen Eisenhut;
Er trug es in der Schlacht
Und über Meeres Flut.


Und als er war daheim,
Er’s in die Erde steckt,
Wobald manch neuen Keim
Der neue Frühling weckt.


Der Graf, getreu und gut,
Besucht’ es jedes Jahr,
Erfreute dran den Mut,
Wie es gewachsen war.


Der Herr war alt und laß,
das Reislein war ein Baum,
Darunter oftmals saß
Der Greis im tiefsten Traum.


Die Wölbung, hoch und breit,
Mit sanftem Rauschen mahnt
Ihn an die alte Zeit
Und an das ferne Land!

26/03/19

Esce "Ci diciamo l'oscuro", la storia d'amore tra Paul Celan e Ingeborg Bachmann .



L'ha scritto Helmut Bottiger il primo libro che racconta la tormentatissima storia d'amore tra due giganti della poesia del Novecento, Paul Celan e Ingeborg Bachmann ed ora esce in Italia per l'editore Neri Pozza. 

I due poeti, l'una austriaca, l'altro rumeno di nascita (il suo nome era un anagramma di quello vero: "Ancel"), si erano conosciuti a Vienna nel 1948.  La Bachmann aveva 22 anni e studiava filosofia (si laureò con una tesi su Heidegger), lui aveva una storia tragica già alle spalle: sfuggito per miracolo all'Olocausto, Celan, a 22 anni, nel 1942 non era stato presente quando i suoi genitori, ebrei, furono deportati e poi uccisi.  Anche Paul fu internato in un campo di lavoro nazista, ma - non si sa esattamente come - riuscì a fuggire e a raggiungere Bucarest da dove, nel '47 se ne andò per raggiungere a piedi Vienna, nauseato dall'antisemitismo che sentiva regnare nel suo paese tra i nuovi invasori bolscevichi. 

Anche la Bachmann, più giovane di 6 anni, aveva dovuto fare i conti con la tragedia: suo padre era stato membro del partito nazista, dopo che da ragazzina, nel '38, aveva visto Klagenfurt, la città dove era nata e cresciuta, invasa dalle truppe di Hitler. 

A Vienna, nel '48 era iniziata tra i due una storia d'amore: Celan, poverissimo, esule, aveva incantato la giovane viennese con i suoi versi, le aveva riempito la stanza di papaveri, insieme avevano trascorso sei settimane bellissime, poi lui era partito, senza un soldo, per Parigi, la città dalla quale lui, ormai apolide, si sentiva inesorabilmente attratto. 

Ingeborg lo raggiunse un paio d'anni più tardi, nel '50, e la loro storia proseguì, nella difficoltà un continuo lasciarsi, riprendersi, tentare di diventare amici. 

Per entrambi la scelta della poesia era radicale: una ragione di vita. E quando due anni più tardi, nel '52, Ingeborg presentò Celan alla riunione a Niendorf del prestigioso Gruppo '47 che aveva rivoluzionato la letteratura tedesca e lanciato i più grandi intellettuali e poeti dell'epoca, l'esibizione di Celan fu un fiasco: il carattere del poeta era pieno di contrasti, tetro e allegro, insofferente e conciliante, taciturno e a volte logorroico, in più il suo modo di leggere le poesie era quasi una meditazione, con pause lunghissime e un intenso pathos, che poco piaceva agli intellettuali tedeschi dell'epoca. 

Deluso, Celan, tornò a Parigi.  Anche se il rapporto con la Bachmann, fatto di anima e di versi, proseguì: lui le dedicò anche la raccolta "Papavero e memoria" in cui si rievocavano gli incanti dei giorni del '48.  

Anche a distanza i due non smisero di scriversi, di cercarsi, di interagire. 

E quando Celan, divorato dai suoi demoni, mise fine ai suoi attacchi di follia gettandosi nelle acque della Senna (1970), per la Bachmann il dolore fu insostenibile. Solo 3 anni più tardi anche Ingeborg morì tragicamente a Roma, nel suo letto, a causa di una sigaretta che aveva tra le dita e che incendiò il letto nel quale dormiva.   

Negli ultimi tempi fumava cento Gitane senza filtro al giorno e assumeva forti sonniferi da cui era diventata dipendente.

L'amore li aveva uniti forse troppo brevemente, e  non li aveva salvati.

Fabrizio Falconi


Helmut Bottiger
Ci diciamo l'oscuro 
traduz. Alessandra Luise 
Neri Pozza 2018 
pagine 273 


13/11/18

Libro del Giorno: "Sotto il tiro di presagi" di Paul Celan.



Dalla estesa produzione poetica di Paul Celan (1920-1970), Einaudi trasse qualche anno fa questo volume che contiene una parte delle quasi cinquecento poesie che dopo la morte tragica del poeta - annegatosi nelle acque della Senna -  in varie sedi furono ritrovate, in parte già pronte per essere date alla stampa, altre ricopiate più volte, corrette, datate, raccolte in cartelle. 

Una vera sorpresa che arricchisce la conoscenza di una delle voci poetiche più alte del Novecento ben oltre le celebrate raccolte di Papavero e memoria (1952), Luce Coatta (del 1970), Di soglia in soglia (1996) e Conseguito Silenzio (1998). 

Sono poesie drammatiche, terse o oscure allo stesso modo, personali ("Non ho mai scritto una riga che non abbia avuto a che fare con la mia esistenza", scriveva Celan nel 1962 all'amico Erich Einhorn) e collettive, sulla memoria, il tempo, l'incomunicabilità, il Sè e l'altro. 

Un vastissimo corpus - il volume raggiunge le 500 pagine - del tutto eterogeneo, dove si leggono poesie di un unico verso:   .... e la grandine mi colpiva dappertutto attorno a me (pag.205) e sequenze di un centinaio di liriche che si aprono con misteriose parole, neologismi criptici ed evocativi: Skat on, NONDIQUI, Gershom, Supermaestro, Rosipreti, Carriaggio Marino, Crivello, Annera, ecc...

Ad esse si aggiungono e si affiancano le poesie dove l'alta voce di Celan si leva maggiormente riconoscibile, nella luce e nei contrasti che la caratterizzano.  Nel diaframma spezzato che rimanda l'immagine di un'anima tormentata, eternamente alla ricerca di se stessa, perennemente in cerca di una (impossibile) salvezza.

Sotto il tiro di presagi, sempre.

Guardami attraverso,
eccomi, ancora una volta,
vieni 
più vicino, non mai
ero un altro 
che me stesso. 

Fabrizio Falconi

Paul Celan
Sotto il tiro di presagi
Poesie Inedite 1948-1969
Traduzione di Michele Ranchetti e Jutta Leskien
Einaudi 2001 

10/09/17

Poesia della Domenica: "E il mondo e il sogno", di Gustav Mahler.






Gustav Mahler, nato nel 1860, fu oltreché sensibile direttore d'orchestra, l'autore di uno dei più imponenti, anche per struttura e durata, cicli sinfonici dell'età post-wagneriana: dieci sinfonie scritte tra il 1888 e il 1910, l'ultima delle quali incompiute.
Di straordinario fascino i suoi cicli liederistici, tratti da raccolte poetiche della tradizione; ma alcune volte, scritti da lui stesso, con inquietante sensibilità.
La lirica che segue è appunto di suo pugno. 

E il mondo e il sogno

I due occhi azzurri del mio tesoro
m'obbligarono a partire per il vasto mondo. 
Dal mio angolo prediletto dovetti congedarmi !
Oh, occhi azzurri! Perché mi guardaste ?
Ora, per sempre, patirò ansia e dolore !

Me ne partii nella notte silente,
nella notte silente per l'oscura brughiera.
E nessuno mi disse addio, addio !
I miei compagni eran amore e doglia !
Lungo il cammino s'ergeva un tiglio,
e là soltanto nel sonno riposai!

Sotto il tiglio, che i suoi fiori
ha nevicato su di me,
più non sapevo quanto duole la vita,
perché tutto, oh tutto nel bene s'era mutato ! 
Tutto! Tutto! Amore e dolore!
E il mondo e il sogno!


Gustav Mahler, Lieder eines fahrenden Gesellen (1883-1884), (traduz. di Guido Davico Bonino)



21/05/17

La poesia della Domenica - "In un parco straniero" di Rainer Maria Rilke.








Due sentieri. A nulla ti conducono.
Pure, l'uno t'induce a volte, sopra
pensiero a proseguire. Come se ti smarrissi;
ma d'improvviso giunto alla rotonda,
rimasto solo innanzi a quella lapide
leggi ancora una volta: Baronessa
Brite Sophie - e con il dito torni
a tastare la data ormai disfatta.
Perché questa scoperta non ti stanca ?

Perché come la prima volta indugi
con tanta attesa in questo posto d'olmi,
umido e buio e senza orme di passi ?

Quale contrasto ti eccita a cercare
chi sa cosa tra le assolate aiuole,
come se fosse il nome di un rosaio ?

Perché spesso ti fermi ? Che cosa ode il tuo orecchio ?
E perché infine, come perso, guardi
bagliori di farfalle intorno all'alto Phlox ?


Rainer Maria Rilke, da Nuove Poesie, traduzione di Giacomo Cacciapaglia, Einaudi, Torino, 1992.

14/05/17

Poesia della domenica : "Stretta" di Paul Celan.






Stretta

Trasportato
nella landa
dalla traccia che non inganna:

Erba, scritta separatamente. Le pietre,
bianche, con l’ombra degli steli:
Non leggere più - guarda!
Non guardare più - va’!

Va’, la tua ora
non ha sorelle, sei -
sei a casa.
Una ruota, adagio,
gira da sé, i raggi
rampicano,
rampicano su un campo nerastro,
la notte non ha bisogno di stelle,
da nessuna parte si chiede di te.


Engführung

Verbracht ins
Gelände
mit untrüglichen Spur:

Gras, auseinandergeschrieben. Die Steine, weiβ,
mit den Schatten der Halme:
Lies nicht mehr -schau!
Schau nicht mehr-geh!

Geh, deine Stunde
hat keine Schwestern, du bist –
bist zuhause. Ein Rad, langsam,
rollt aus sich selber, die Speichen
klettern,
klettern auf Schwärzlichem Feld, die Nacht
braucht keine Sterne, nirgends
fragt es nach dir.


Paul Celan

09/04/17

Poesia della Domenica - "Eleonora" di Hermann Hesse.




Eleonora

Le sere d’autunno mi ricordano te.
Giacciono oscuri i boschi, il giorno muore
a piè dei colli in rosse gloriole.
In un villaggio vicino piange un bimbo.
A passi lenti se ne va pel bosco
a radunar le ultime foglie il vento.

Poi sale, da tempo abituata al cupo sguardo,
solitaria la falce della luna
alta nel cielo con la mezza luce
emergendo da terre sconosciute.
Percorre indifferente il suo sentiero
cingendo bosco, stagno, canne e viottolo
di smorti, malinconici bagliori.

Anche d’inverno quando le notti sono oscure
e vorticano ai vetri come in giuoco
vento e fiocchi di neve ho spesso l’impressione di vederti.
Risuona il piano, con sorriso insinuante
mi parla al cuore il tuo profondo, cupo
contralto, tu la più cruda delle donne care.

Talvolta la mia mano va alla lampada
e sulla vastità della parete si posa dolcemente la sua luce.
Cupa dalla vecchia cornice occhieggia la tua immagine
e mi ravvisa e sorride stranamente.
Ma io le mani ti bacio ed i capelli
e ripeto il tuo nome sussurrando.


Hermann Hesse (Traduzione di Mario Specchio)
da “Poesie”
Guanda 
Parma 1978

12/03/17

Poesia della Domenica: "Canto alla durata" di Peter Handke.



"Si era rivolta a me [...] e come dall'alto
e mi venne così di descrivere
la sensazione della durata
come il momento in cui ci si mette in ascolto,
il momento in cui ci si raccoglie in se stessi,
in cui ci si sente avvolgere,
il momento in cui ci si sente raggiungere
da cosa? Da un sole in più,
da un vento fresco,
da un delicato accordo senza suono
in cui tutte le dissonanze si compongono e si fondo assieme. [...]
Ecco, la durata è la sensazione di vivere. [...]
Credo di capire
che essa diventa possibile solo
quando riesco
a restare fedele a ciò che riguarda me stesso,
quando riesco a essere cauto,
attento, lento,
sempre presente a me stesso sino nelle punte delle dita.


E qual è la cosa
a cui devo restare fedele?
Essa ti apparirà nell'affetto
per i vivi
- per uno di loro -
e nella consapevolezza di un legame
(anche soltanto illusorio).
E questo non è una cosa grande
particolare, non è insolita, sovraumana,
non è guerra, non è un allunaggio,
non è una scoperta, un capolavoro del secolo,
la conquista di una vetta, un volo da kamikaze:
io la condivido con altri milioni di persone,
con il mio vicino e allo stesso tempo
con gli abitanti ai margini del mondo,
dove grazie a questo fatto comune
si crea lo stesso centro del mondo
che è qui accanto a me.
Sì, questo fatto dal quale con gli anni scaturisce la durata
è di per sé poco appariscente,
non fa conto parlarne
ma è degno di essere affidato alla scrittura:
perché dovrà essere per me la cosa più importante.
Dovrà essere il mio vero amore.
E io,
affinché da me nascano i momenti della durata
e diano un'espressione al mio volto rigido
e mettano nel mio petto vuoto un cuore,
devo assolutamente esercitareun anno dopo l'altro
il mio amore.
Restando fedele
a ciò che mi è caro e che è la cosa più importante,
impedendo in tal maniera che si cancelli con gli anni,
sentirò poi forse
del tutto inatteso
il brivido della durata
e ogni volta per gesti di poco conto
nel chiudere con cautela la porta,
nello sbucciare con cura una mela,
nel varcare con attenzione la soglia,
nel chinarmi a raccogliere un filo. [...]

Ma anche continuare per anni a essere ben disposto nei tuoi confronti
può darti durata.
Sapermi guardare amichevolmente negli occhi
talvolta mi assolve. [...]
Essere indulgente con i miei difetti [...]
rabbonirmi, se mi viene fatto un torto,
come mio unico parente,
battermi il petto
in trionfo per una parola felice
al posto giusto
e urlare un «sì» nella foresta della mia stanza
può ringiovanirmi
come una bottiglia di prelibatissimo vino
(con effetto però diverso).


Singolare è il sentimento della durata
anche alla vista di certe piccole cose
quanto meno appariscenti, tanto più toccanti:
un cucchiaio
che mi ha accompagnato in tutti i traslochi
un asciugamano
appeso nelle stanze da bagno più diverse,
la teiera e la sedia di vimini
per anni lasciata in cantina
o accantonata da qualche parte
e ora finalmente di nuovo al suo posto,
un altro, in verità, diverso da quello originario
e tuttavia al suo posto. [...]


Anche a casa mi si fa accanto molte volte
quando cammino su e giù per il giardino
nella neve, nella pioggia, al sole, sotto il temporale,
[...] oppure quando mi siedo nella mia stanza
al cosiddetto tavolo da lavoro -
non per attendere alla mia occupazione, al testo,
ma per fare tutti quei soliti gesti secondari:
spostare indietro la sedia,
dare uno sguardo nel cassetto [...]
sbirciare dalla finestra in giardino
dove i gatti lasciano le loro tracce
nella neve profonda e tra l'erba alta,
mentre ascolto da diverse direzioni a seconda del vento
il fischio e il trabalzare
dei treni che percorrono la pianura.


O durata, mia quiete!
O durata, mia sosta! [...]


La durata è il mio riscatto,
mi lascia andare ed essere. [...]
Chi non ha mai provato la durata
non ha vissuto.


La durata non stravolge,
mi rimette al posto giusto".


Da Canto alla durata, Peter Handke, Einaudi, 1995, traduz. H. Kitzmuller. 

14/08/16

Poesia della domenica - "Ricordare qui non basta", di Rainer Maria Rilke.




III.


Ricordare, qui, non basta, il puro
esistere di quei momenti sia 
sul mio fondo, un precipitato
della soluzione smisuratamente satura.
Perché io non rammento, quello che sono
mi tocca per causa tua.  Non ti invento
in punti tristemente raggelati
da cui fuggisti; la realtà stessa della tua assenza
è calda di te e più vera di una mancanza.
La nostalgia si perde troppo spesso nell'indistinto.
Perché dovrei espellermi, mentre forse il tuo influsso
mi è lieve, come il chiaro di luna a quel posto alla finestra. 


Rainer Maria Rilke, composta probabilmente a Duino, nell'ottobre del 1911 e conservata nel lascito di Lou Andreas Salomé in una trascrizione fatta da Rilke nel suo periodo a Monaco (1919).



17/04/16

Poesia della Domenica: da 'Conseguito silenzio' di Paul Celan.





Anche noi vogliamo essere,
dove il tempo dice la parola di soglia
il millennio giovane si alza dalla neve,
l'occhio errante
si calma nella propria sorpresa
e capanna e stella
stanno nel blu da vicini di casa,
come se la strada fosse già percorsa.


Paul Celan, Conseguito silenzio

16/02/16

Niente è più autentico e salvifico della poesia. Hilde Domin, "Il coltello che ricorda."



Niente è più autentico e salvifico della poesia
La poesia era stata dichiarata morta: da un esiliato di fama, da Adorno. Che dopo Auschwitz non si potessero più scrivere poesie, lo aveva già dichiarato a New York nel 1949. Una frase tanto impressionante quanto sbagliata – ma molto difficile da annullare. Non tanto dall’autore, che ha ritrattato, dichiarandola espressamente un errore nel 1966

Ancora nel 1964, dopo una lezione a Harvard, Herbert Marcuse mi scrisse una dedica sul suo libro Eros e civiltà: «perché lei [cioè io] dopo Auschwitz, scrive poesie e ha dovuto scriverle». 

Se non l’avessi conosciuto così bene non avrei osato provocarlo alla difesa della poesia e rinfacciargli la sua involontaria collaborazione alla distruzione della poesia tedesca.

No, non “nonostante”, ma proprio “a causa di” Auschwitz le poesie sono necessarie e più necessarie che mai. Ancor prima che la frase fatale fosse formulata, era già stata negata dai grandi poeti. Celan aveva già scritto Fuga di morte. E Nelly Sachs, prima di allora un’autrice graziosa, epigonale, come attestano gli studi sulle sue prime opere, si mutò in quella voce che è impossibile ignorare, appena le notizie dell’orrore giunsero a Stoccolma: le notizie della conferenza di Wannsee e della deportazione e dello sterminio degli ebrei di Berlino.
 Le dimore della morte (Die Wohnungen des Todes) scritto nel 1943, fu pubblicato a Berlino Est nel 1947. 

Horst Bienek, a quel tempo diciottenne, lesse Nelly Sachs. Il libro deve aver scosso molto le giovani generazioni. «Era il libro di un supertestimone», scrive lui, «che non rimane invischiato nel realismo. Proprio ciò di cui avevamo bisogno».

HILDE DOMIN, Lezione di Francoforte, Il coltello che ricorda, Del Vecchio Editore 2016.


Hilde Domin

 Il coltello che ricorda

In questo volume, il terzo della serie che Del Vecchio Editore dedica alla poetessa, si dà conto degli sviluppi letterari di Hilde Domin negli ultimi anni della sua attività poetica, presentando al pubblico italiano un compatto insieme di testi autobiografici, teorici e lirici, che si commentano e presentano gli uni con gli altri rendendo evidente la compatta organizzazione del pensiero creativo e filosofico di Hilde Domin.

Al centro della riflessione restano e si fanno più nitide la potenza della parola poetica e l’incitamento al coraggio civile, che è innanzitutto la capacità di uscire dagli schemi e accettare la propria umanità aprendosi all’incontro con l’altro: «Solo colui che è crocifisso/ le braccia/ spalancate/ dell’Io–sono qui».

*** Genesi
Cambiare
la parola
lo sguardo
creare la realtà
il sogno della realtà
l’incubo della realtà la realtà

il suo nocciolo
(traduzione di Paola Del Zoppo) ***

 Genesis
Das Wort
der Blick
ändern
erschaffen die Wirklichkeit
den Traum der Wirklichkeit
den Angsttraum der Wirklichkeit
die Wirklichkeit

 ihren Kern

HILDE DOMIN, Il coltello che ricorda, Del Vecchio Editore 2016.

02/07/15

'I due' di Hugo von Hoffmansthal.

Dante Gabriel Rossetti - Beata Beatrix



I due


Lei portava la coppa in mano -
Pari al suo orlo aveva il mento e la bocca -
Aveva un passo così leggero e sicuro,
Che dalla coppa non cadeva una stilla.

Non meno leggera e salda era la mano di lui:
Un giovane cavallo egli montava,
E con gesto noncurante
A una tremante immobilità lo sforzava.

Eppure quando dalla mano di lei
La lieve coppa egli dové prendere
Per entrambi fu troppo pesante;
Perché entrambi tremavano tanto
Che le mani non si trovarono,
E scuro vino corse sul suolo.



Hugo Von Hoffmansthal
(Trad. di Elena Croce)

11/05/15

Paul Celan e Gisèle, un amore tormentato.




A prima vista le lettere che si scambiarono Paul Celan e la moglie, la pittrice francese Gisèle Lestrange, durante quasi vent' anni, dal 1951 al 1970, riflettono la storia di una unione solida, apparentemente senza incrinature, cementata da un' intesa sentimentale e artistica che sembra indistruttibile. 

Lui è uno dei maggiori poeti in lingua tedesca del Novecento che elegge la Francia sua patria adottiva e che attinge forza e ispirazione dalla compagna della sua vita; lei è una parigina di famiglia aristocratica, rigidamente cattolica, e un' artista dotata e sensibile che con le sue opere grafiche influenza non poco la produzione poetica del marito - la raccolta Fiato di cristallo non sarebbe pensabile senza le incisioni astratte che Gisèle crea negli anni Sessanta e da cui Paul trae ispirazione. 

Straordinario è il sentimento intenso e profondo che li lega fino alla morte. 

Poesie e incisioni vanno a braccetto in mostre dedicate alla produzione dei coniugi Celan, in volumi di versi illustrati dalle creazioni astratte di Gisèle. In effetti la parola poetica di Paul Celan, che negli anni diventa sempre più essenziale, magnetica, indelebile, dà l' impressione di essere incisa su una lastra di rame. 

Da noi Einaudi ha pubblicato l' intera raccolta delle poesie di Celan, che vanno dal 1948 al 1969, con il titolo Sotto il tiro di presagi (pagg. 500, euro 18,59). 

Ma mano a mano che si va avanti nella lettura di questo prezioso carteggio pubblicato in Germania dalla Suhrkamp e contemporaneamente in Francia da Seuil (Paul Celan - Gisèle Celan Lestrange: Briefwechsel, in 2 volumi a cura di B. Badiou), cresce l' apprensione per i protagonisti di questa storia d' amore solo apparentemente felice. 

Non solo perché conosciamo in precedenza la tragica fine del poeta, morto suicida nell' aprile del 1970 ad appena 50 anni, ma perché l' accuratissima cronologia che accompagna le lettere e documenta giorno per giorno la vita di Celan, rivela puntualmente i drammatici retroscena di un legame tormentato e tormentoso che solo la forza morale di Gisèle riesce in parte a salvare. 

Dietro a queste scene da un matrimonio c' è sempre la tragedia dei genitori di Paul deportati e morti a Auschwitz che il poeta non può e non vuole dimenticare, c' è la tragedia di un ebreo sopravvissuto che vuole combattere, armato solo della sua parola poetica, l' oblio e l' indifferenza dei suoi connazionali

C' è la fragilità di un' anima di artista che l' amore della moglie e del figlio Eric non può sanare. 

Amare una donna bella e coraggiosa, scrivere poesie che fanno sognare e meditare è una terapia che nei primi tempi funziona, che al poeta ebreo originario di Cernowitz e approdato a Parigi nel 1948 dopo Bucarest e Vienna, dà l' illusione di una vita «normale», appiana il suo eterno contrasto con la realtà. 

Nel dicembre 1952 Paul sposa la bella Gisèle; nello stesso mese esce Papavero e memoria, la prima raccolta di poesie di Celan: poesie d' amore, poesie dolenti in ricordo della madre uccisa da un colpo di pistola alla nuca, poesie che diventeranno celebri come Todesfuge (Fuga di morte). 

Segue, nel ' 55, l' uscita del volume Di soglia in soglia con una bellissima dedica del poeta alla moglie, alla sua «anima vivente». 

Ma la malattia nervosa che porterà Celan alla depressione e in seguito ad una serie di crisi gravissime e ad un tentato suicidio (nel gennaio 1967 tenta di suicidarsi ficcandosi un coltello nel petto ed è salvato solo all' ultimo momento dalla moglie), è latente sin dai primi tempi della sua relazione con Gisèle, sin da quando le scrive lettere appassionate. 

«Ti scrivo per dirTi che mi accompagni ovunque io vada, che tu sei questo mondo, Tu sola, e che il mondo è diventato più grande attraverso di Te, che ha trovato attraverso di Te una nuova dimensione», le scrive il 28 gennaio 1952. 

Ma in quello stesso anno il viaggio in Germania dove tiene una serie di letture dei suoi versi nelle principali città tedesche, gli causa un' angoscia indicibile

Per lui, che in Francia è assolutamente sconosciuto come poeta e che deve tenere i contatti con gli editori e il pubblico tedesco, questi viaggi sono una necessità professionale, ma ogni volta gli procurano un disagio, un malessere che gli è impossibile superare: in realtà la Germania del dopoguerra, protesa nello sforzo della ricostruzione materiale e morale Paul la sente irrimediabilmente estranea, addirittura ostile, nonostante i numerosi riconoscimenti che gli verranno conferiti

Le sue tappe nelle città tedesche sono un calvario, come testimoniano le lettere a Gisèle, sua unica confidente.

Il 31 maggio del 1952 Paul le racconta la sua lettura tenuta a Niendorf di fronte ai membri dell' autorevole Gruppo 47 dove era stato invitato su consiglio di Ingeborg Bachmann. 

La serata si rivela disastrosa per il poeta il cui modo di leggere viene deriso, viene definito «patetico».

Decisamente un feeling con la sua patria linguistica, con la terra degli assassini dei suoi genitori, Paul non lo proverà mai; si sente a casa solo a Parigi, a fianco della sua adorata Gisèle. 

Ma una tempesta rompe anche il precario equilibrio della sua vita parigina, lo fa sentire uno straniero in Francia, perseguitato da un' accusa insensata di plagio dietro alla quale egli vede un antisemitismo che inesorabilmente riaffiora, che lo vuole distruggere.

 E' «l' affare Goll» che lo tormenterà fino agli ultimi giorni. La vedova del poeta Yvan Goll inizia una campagna diffamatoria senza precedenti contro Celan che ha tradotto le opere del marito e che, secondo le sue accuse, ha copiato da lui metafore e immagini poetiche.

 E' una prova terribile per il poeta che dal '65 comincia a dare segni di squilibrio, che deve sottoporsi a massicce cure psichiatriche e che, due anni dopo, deve separarsi dalla moglie, su desiderio della stessa Gisèle: la convivenza diventa impossibile nonostante l' affetto che ancora la lega a Paul. 

Nella sua ultima lettera del 20 marzo 1970, Gisèle, questa donna straordinariamente forte e dolce al tempo stesso, ringrazia Paul per i tulipani rossi e la poesia Ci sarà qualcosa, più tardi, accompagnata dalla traduzione francese, che lui le ha mandato per il suo compleanno. 

Lei ha appena compiuto 43 anni. Lui, appena un mese più tardi, dopo un ultimo viaggio in Germania, mette fine alla sua vita buttandosi nella Senna. 

«L' ondeggiante parola / la possiede / il buio», aveva scritto in una delle poesie della raccolta Luce coatta.

23/04/15

"Esseri che attraversano tutte le tempeste." Rilke a Salomé



Che due esseri umani si riconoscano l'un l'altro non è soltanto splendido; ma è della più grande importanza che si incontrino nel momento giusto e che insieme celebrino feste profonde e silenziose in cui crescere nel desiderio per essere uniti contro le tempeste. 

... quando trovano alcuni minuti di respiro nei lunghi, pallidi giorni, si siedono assieme e si raccontano con guance infuocate della notte splendente e odorosa di abete... 
Esseri come questi passano attraverso tutte le tempeste. 

Spegnimi gli occhi: posso vederti
sigillami gli orecchi: posso udirti
e senza piedi ancora posso venire da te
e senza bocca ancora posso implorarti

Spezzami le braccia: col mio cuore
ti stringerò come una mano,
strappami il cuore e il mio cervello pulserà
e pur se getterai nel fuoco il mio cervello
ti porterò nel sangue. 


Rainer Maria Rilke a Lou Andreas Salomé,  Wolfratshausen 5 settembre 1897, domenica


14/04/15

Ogni soglia è per entrare e ogni soglia è per uscire. (Gottfried Benn - 'Venite').






La soglia è aperta, ma non oltrepassarla significa restare muti. In silenzio. 

Ogni soglia è per entrare e ogni soglia è per uscire. Il senso dipende dalla direzione. La direzione è anzi il senso. 

Ogni soglia appartiene a chi la attraversa. E resta estranea a chi resta muto. 

Muti sono i morti, che hanno attraversato la soglia e non hanno più bisogno di attraversarla. La loro lingua serve per altro, là dove sono. 

Venite, parliamo tra noi
chi parla non è morto, 

scrive Gottfried Benn. La soglia è un invito:

Venite, diciamo: gli azzurri,
venite, diciamo: il rosso, 
si ascolta, si tende l'orecchio, si guarda,
chi parla non è morto.

Se resti prima della soglia, la soglia ti irretisce. Ti ipnotizza, non ti è d'aiuto:

solo nel tuo deserto,
nel tuo raccapriccio di sirti,
tu il più solo, non petto,
non dialogo, non donna

e già così presso agli scogli
sai la tua fragile barca -

bisogna credere, venire e perciò muovere l'incanto:

venite, disserrate le labbra, 
chi parla non è morto. 


Fabrizio Falconi (C) riproduzione riservata - 2015
La poesia di Gottfried Benn Venite, è tratta da Aprèslude, prefazione e traduzione di Ferruccio Masini, 1966 Einaudi, Torino.