Visualizzazione post con etichetta romanzi russi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta romanzi russi. Mostra tutti i post

09/04/24

Appunti a margine della lettura de "Il dottor Živago" di Boris Pasternàk


 Appunti a margine della lettura de Il Dottor Zivago

Pur non appartenendo al periodo d'oro tra il 1850 e il 1910, ed essendo invece stato scritto più avanti e completato soltanto nel 1957, Zivago risente della grande tradizione russa, innanzitutto perché Pasternak cominciò a lavorarvi quando aveva 20 anni, e alcune parti risalgono dunque al 1910 e al 1920.
Forse anche per questo lunghissimo periodo di gestazione, Zivago è uno strano romanzo, poco organico nelle diverse parti e nella intensità del racconto.
Il fatto che nel pieno degli anni Sessanta, grazie anche all'incredibile spy story che permise al romanzo di arrivare in Italia (per opera di Giangiacomo Feltrinelli) e poi di essere tradotto in tutti i paesi occidentali, sicuramente ne ampliò a dismisura l'impatto sui lettori di allora.
Si era in piena Guerra Fredda. Ciò che filtrava dalla Cortina di Ferro, di quella vita, di quel mondo, era poco e incerto. La Russia Sovietica una specie di mondo a parte, di cui si sapeva quasi niente, lontano e minaccioso.
Quando arrivò Zivago, dunque, fu subito clamore. Amplificato dalla riduzione per il cinema che subito ne fece David Lean (1965), con il kolossal divenuto fenomeno di massa sopra ogni previsione (nell'intera storia del cinema in sala italiana, Zivago è ancora oggi il film più visto in assoluto, con circa 23 milioni di spettatori - quasi il doppio di "Titanic").
Eppure Zivago è un romanzo di difficile lettura. Quanti, all'epoca, lo lessero veramente? Quanti di quelli che lo comprarono? Quanti di quelli che poi corsero a vedere il film? Credo una piccola parte.
Il film di Lean è poi una riduzione molto molto libera del romanzo. La storia d'amore, che nel film è centrale, in tutto il libro di Pasternàk occupa non più di 120 pagine (sulle 600 del romanzo). Lara Fedorovna, la "protagonista", compare in ancora meno pagine di queste:
l'incontro di Zivago e Lara descritto nel romanzo, che si svolge in un modo quasi del tutto casuale (il colpo di pistola di Lara a Komarovskij) ed è lungo soltanto due pagine, i giorni in cui la rivede al fronte- lei crocerossina alla ricerca del marito Pasa, lui arruolato come medico - e poi nelle due incantate settimane che trascorrono insieme alla fine della guerra civile, quando Tonja, la moglie, e i figli sono scappati all'estero, a Parigi, e il marito di Lara, Strelnikov è diventato il capo dei rossi.



Per questo Lean decise di inserire, nella sceneggiatura, altre occasioni di incontri, che nel romanzo non ci sono, come quello di Zivago come assistente del professore, per soccorrere l'amante di Komarovskij in fin di vita, al termine del quale Zivago e Lara intercettano i loro sguardi attraverso un vetro.
Per il resto, il vero protagonista del romanzo è l'incomprensibile - specie per chi non è russo - mondo russo, nel suo periodo più caotico, dalla rivoluzione d'ottobre alla terribile guerra civile che ne seguì.
Il romanzo è popolato da almeno un centinaio di personaggi, ciascuno con un suo limitato spazio, però molto spesso ricorrente, ciascuno con i classici nomi russi resi ostici per via della presenza del patronimico (il dizionario finale della edizione Feltrinelli, che è lungo quindici pagine, è poco utile, perché non inserendo l'ordine alfabetico dei patronimici risulta di difficile consultazione).
La lettura è resa impervia oltre che dall'affollarsi di mille personaggi, anche da descrizioni lunghissime (ma spesso stupende) dei luoghi, degli ambienti, delle vicende, dei viaggi estenuanti, degli incontri casuali, che non generano conseguenze.
Carmelo Bene raccontava di aver lasciato il romanzo a metà. Per un lettore di oggi questo è ancora più facile, e con i criteri editoriali di oggi - specialmente in Italia - nessuno dei famosi "editor" pubblicherebbe oggi, temo, un romanzo così poco strutturato sui violenti parametri imposti oggi dalla legge "commerciale".
Detto questo, Zivago è un romanzo straordinario. Forse l'ultimo grande romanzo "umanista": Juri Andreevic è l'eroe passionale, vittima e testimone della follia del mondo degli uomini, che si ammazzano e si scannano per assurdità e non sanno nulla della vera vita, perché non ne riconoscono nulla della sua poesia e dell'incanto.
Ogni pagina di questo romanzo, è una sofferente lezione di vita.
Leggerlo o ri-leggerlo oggi è altamente consigliabile: un puro antidoto alla superficialità (non "leggerezza") inane del mondo contemporaneo.

Fabrizio Falconi - 2024

25/09/12

Dostoevskij - il primo shock emotivo/culturale della mia (giovane) vita.




Voglio raccontarvi la prima vera illuminazione della mia vita. Avevo 15 anni, ero un ragazzo qualsiasi, proveniente da una famiglia operaia, frequentavo il secondo Liceo scientifico.  

Una professoressa particolarmente illuminata, o forse solo il caso - non ricordo bene i dettagli - decise di portare una scolaresca di immaturi foruncolosi a teatro. 

Fu scelto il Teatro Centrale, a Roma, vicino Piazza del Gesù.  Giorgio Albertazzi metteva in scena 'Uomo del sottosuolo', tratto da Ricordi dal sottosuolo romanzo scritto da Fedor Dostoevskij nel 1864.

Non era la prima volta che vedevo un nudo femminile integrale a teatro. L'anno prima, nella palestra del Liceo Castelnuovo, che frequentavo all'epoca, si erano esibiti, durante la settimana autogestita degli studenti, i ballerini del Living Theatre.

Poco o nulla accadde su quella scena, abitata semplicemente da un grande letto matrimoniale disfatto, dal protagonista avvolto in un camicione bianco e da Liza, la prostituta sedotta - con la illusione di cambiarle la vita - dal protagonista, che successivamente la umilierà nel peggiore dei modi.

Non so ricostruire il perché e il come, ma l'assistere a quello spettacolo fu per me - che ne parlo a tanti anni di distanza - una iniziazione, l'entrare cioè in un mondo sconosciuto: che era appunto me stesso.

Tornato a casa, provai una sensazione di malessere fisico. Una crisi profonda che mi impedì anche solo di parlare per tre giorni.  L'unica cosa che mi riuscì di fare fu di riempire un vecchio diario di pensieri sconnessi, quelli che sentivo emergere da una profondità remota e forse preesistente che mi abitava e della quale non ero mai stato cosciente.

Visto a ritroso, posso dire oggi che quello fu ufficialmente il mio ingresso nell'età adulta: un ingresso doloroso, fatto di consapevolezza e di dolore (soprattutto di dolore fisico, in ogni angolo del mio corpo), di raggiungimento di nuovi strati sconosciuti interiori che mi attraevano e mi spaventavano.

Fu l'ispirazione per prendere in mano Delitto e Castigo. E poi, uno dopo l'altro, tutti i grandi romanzi di D. che nella lettura e rilettura hanno segnato i momenti significativi della mia vita e della mia crescita.

Dostoevskij mi insegnò la brutalità e la sublime bellezza della profondità umana, di ogni profondità umana, anche della più apparentemente meschina. Mi insegnò che in ogni uomo vi è un abisso, popolato di tetri fantasmi che neanche lui conosce e che spesso decidono della sua vita, e mi insegnò che la bellezza salva, o può salvare, se si è capaci di affrontare con pienezza la vita, attraversandone l'ombra e non lasciandosene travolgere e sopraffare per sempre.

E' quello che ho cercato di fare, faticosamente,  nel mio percorso di vita, fin qua.



foto originale di Uomo del Sottosuolo di e con Giorgio Albertazzi - foto l'Unità.