Visualizzazione post con etichetta vangelo di matteo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta vangelo di matteo. Mostra tutti i post

13/12/12

Prima conosci te stesso.





Molte persone non fanno altro che interrogarsi sul destino: vogliono sapere del futuro, di come e se verrà realizzato il proprio talento, di come e se si riceveranno amore o doni dalla vita. 

Sono sempre alla ricerca di qualcosa o di qualcuno che sappia divinare, gettare un lume di chiarezza sul proprio destino, sul perché - fondamentalmente - si è venuti al mondo. 

Molti non sono nemmeno coscienti di avere un qualsivoglia talento (non si parla qui di talento solamente creativo, si parla di tutti i talenti della vita, quello per esempio di saper amare, o di essere generosi o di saper comunicare..).   

Eppure ciascuno ne possiede uno, si tratta di conoscerlo. E soprattutto di farlo fruttare come indica anche il racconto evangelico (Mt 25, 14-30)

Ciò che però spesso sfugge è l'esistenza di una premessa importante senza la quale nessun destino (o daimon o vocazione) può mai essere raggiunto o intra-visto.

Si dovrebbe sapere che proprio al di sotto dell'Omphalos del più famoso oracolo dell'antichità, a Delfi, era scritto a chiare lettere: Γνῶθι σεαυτόν, ovvero:  'Conosci te stesso'.

Nessun responso sul futuro, nessuna conferma o smentita mai arriverà a nessuno, se prima non si lavora su se stessi, duramente, se prima non si conosce veramente chi si è.

Questo vale per ogni campo della vita, da quello affettivo a quello delle relazioni umane, del lavoro, della creatività.

Ad un giovane scrittore che ardeva dal desiderio di raccontare, di diventare poeta e narratore e che al medesimo tempo, si sentiva indeciso su cosa scrivere, cosa raccontare, Aleksandr Sergeevič Puškin rispose con una lapidaria sentenza:  prima conosci te stesso. 


Fabrizio Falconi

Foto in testa: Omphalos di Delfi (copia ellenistica-romana dell'originale andato perduto), conservata nel Museo Archeologico di Delfi. 


21/09/11

Misericordia per tutti ?



La lettura dei brani evangelici è sempre frutto di scoperte, se soltanto si ha la pazienza e la disponibilità di ascolto.  Sempre, scopriamo cose illuminanti su di noi, e sul nostro destino.


Come ognuno sa, le parole dei Vangeli sono poi anche le più abusate e le più equivocate.

Ciascuno, nel corso dei secoli le ha interpretate.  E spesso anche per fini di comodo, come è ovvio.

E però ci sono cose che sono difficilmente interpretabili.

Le ultime due domeniche del tempo ordinario ci hanno sottoposto due parabole, enunciate da Gesù, che sono celebri e sono anche fonte di numerose intepretazioni.

Io credo però che certe volte basterebbe leggere con attenzione. Ascoltare e basta.

Quella di domenica scorsa è la parabola dei lavoratori della vigna. Quella che definisce l'assunto cristiano: gli ultimi saranno i primi.
Proviamo a rileggere.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi». (Mt 20,1-16)

Qui, la cosa che vorrei far notare è una, oltre al fatto indubitabile che Cristo indica un senso di giustizia molto diverso da quello degli uomini (chi arriva per ultimo ha le stesse chances di chi è arrivato per primo): e cioè che il presupposto per ottenere il denaro (la ricompensa) è LAVORARE PER LA VIGNA. Cioè, rispondere alla chiamata. Operare per aderirvi. Farlo sul serio.   Poi, dice Cristo, se lo si fa per una vita intera, o se lo si capisce alla fine, poco conta.  Ma non è che la porta è aperta a tutti, indistintamente. Se non si risponde alla chiamata, se non si PARTECIPA al lavoro, io credo sia molto chiaro, il denaro non arriverà. Questo è quel che dice la parabola, mi sembra.

La seconda lettura, sette giorni fa, presenta la parabola sulla restituzione del debito.  Anche qui, rileggiamo.

 In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». (Mt 18,21-35)

Anche qui, la cosa che mi preme mettere in luce, è che il racconto di questa parabola, se dobbiamo far credito alle parole di Cristo nel loro senso letterale, ci dice molto chiaramente che il Regno non è aperto a tutti. Una questione che sembra contrastare molto nettamente con una versione del cristianesimo assai edulcorato che oggi sembra aver preso piede (anche in ambienti ecclesiastici, anche nelle omelie sempre più tirate via che capita di ascoltare):   Cristo dice che se non si opera cristianamente, cioè come in questo caso, se si è duri di cuore, se nella vita ci si chiude avidamente agli altri, si è incapaci di perdonare il prossimo, di essere misericordiosi, NON CI SARA' NESSUNA misericordia.  Il Signore della parabola, non accoglie il servo 'traditore' dicendogli: "non ti preoccupare, tutto a posto, verrai perdonato."   Il padrone, quel padrone (che è il Signore) è invece durissimo:  il servo ingrato viene mandato nientemeno agli aguzzini, che dovranno estirpargli il credito ricevuto.  Se non fosse abbastanza chiaro, la parabola aggiunge a chiosa finale: Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello.


Ecco, questo è quel che dice Cristo.   Poi, certo, oggi a noi fa molto comodo credere e pensare altro. Ma questo, a me non sembra affatto rispecchiare il fondamento stesso della vita cristiana così come è stato enunciato dal suo Fondatore.

Fabrizio Falconi

27/01/09

Il Vangelo della Domenica scorsa - "Convertitevi e credete al Vangelo."




VANGELO Mc 1,14-20

Dal Vangelo secondo Marco

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello diSimone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori.Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch'essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

Cosa vuol dire 'convertirsi' ? L'etimologia della parola, dal latino convertere (cum vertere) vuol dire letteralmente 'voltarsi con forza', 'volgersi con forza', cioè Trasformarsi, Trasmutarsi, Destinare ad un uso diverso.

Trasformarsi, Trasmutarsi, Destinare ad un uso diverso. Destinare ad un uso diverso, cosa ? Semplicemente se stessi.

Chiunque sperimenta nella vita di tutti i giorni che la cosa più difficile di tutte, per ognuno di noi, è cambiare. Cambiare noi stessi.

Cambiare sembrerebbe la cosa più naturale del mondo, visto che viviamo in un mondo im-permanente, dove tutto cambia, dove ogni cosa cambia in ogni momento, dove ogni cosa si trasforma, dove panta rei.

Noi esseri umani, invece, forse proprio a causa del sacro terrore che ci ispira questa im-permanenza, facciamo di tutto nella vita per evitare cambiamenti. L'unico scopo della nostra vita sembra essere quello di costruirci qualche tipo di (provvisoria) certezza: il lavoro, gli impegni, le mie convinzioni, le mie ideologie, le mie abitudini, le mie consuetudini, ecc..

Tutto pur di evitare di doverci mettere in discussione, di doverci domandare: " ma io chi sono veramente ? " " cosa sento e cosa provo veramente ? " e " cosa voglio per me, esattamente ? "

Domande che ci mettono a disagio, perchè ad esse è difficile rispondere, e sono domande che suscitano molti dubbi. E i dubbi, noi in generale non li vogliamo.

Gesù Cristo viene a scardinare tutto questo. Viene a ribaltare completamente il nostro 'io vecchio'. Viene a dirci: basta, adesso. Alzati, e seguimi: tutto il resto non conta. Tutte le piccole certezze che ti sei costruito, e sulle quali pensi di poter stare comodamente seduto, senza senso.


Le reti - simbolo delle nostre occupazioni, ma anche delle nostre 'prigioni' - lasciale stare, abbandonale. Cammina, seguimi. Vieni dietro di me, questo vuol dire convertirsi: muoversi, mettersi in cammino, non restare seduti. Certamente camminare è molto più faticoso che restare comodamente seduti. Ma vale la pena, se il cammino che ci viene promesso, è un cammino di conoscenza profonda, di noi stessi, dell'altro, e del nostro senso qui, ora.

.

24/11/08

Il Vangelo della Domenica - I fratelli più piccoli.


VANGELO
Mt 25,31-46

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.

Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi
avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.

Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.

Poi dirà a quelli posti alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato.


Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna".


Anche in questo caso sono molte le considerazioni che si potrebbero trarre dalle parole di Gesù, che parla in parabole - forse mai così chiaramente come qui - per farsi intendere meglio. E' infatti quasi "didascalico" questo Gesù che spiega cosa "vuole il Re", cosa sembra pretendere da noi.

L'aspetto che vorrei mettere in luce è questa definizione che Egli usa sia nel paragone 'buono' che in quello 'cattivo', ovvero " ogni volta che non avete fatto ( o avete fatto) queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli. " Quello che spesso ci sfugge è che il Re considera "suoi fratelli" - testualmente - gli uomini. E gli uomini più deboli: vediamo le categorie: gli affamati, gli assetati, i forestieri, i nudi, i malati, quelli che sono in carcere.

Davvero in questa semplice lista, fatta di cinque aggettivi e una definizione (quelli che sono in carcere, cioè i carcerati) c'è tutta la gamma completa delle possibili difficoltà umane su questo mondo, che in diversa misura, possono riguardare chiunque.

Dunque in questo panorama "ecumenico" di sofferenze, e di doglianze, Gesù ci eleva al rango di "fratelli più piccoli" del Re. Il che appare come una conferma che il filo che lega il Creatore a noi è molto, molto stretto. Siamo cioè - tutti - suoi fratelli (più piccoli), e come ogni fratello è da supporre che noi abbiamo in comune qualcosa - molto più di qualcosa - con Lui.

E' per questo - e sulla base di questo - che Lui sembra avere questa reazione così netta, così decisa, così - diciamolo chiaramente - severa. Se noi facciamo o non facciamo qualcosa non è qualcosa di neutro, che a Lui potrebbe anche - tutto sommato - non interessare.

No: è qualcosa che facciamo o non facciamo a suoi fratelli (più piccoli): come reagiremmo noi se qualcuno facesse o non facesse qualcosa a dei nostri fratelli di sangue ? La cosa ci toccherebbe, oppure no ?

Ecco perchè - credo - la nostra responsabilità nei Suoi confronti è grande. Ecco perchè - ricollegandoci al Vangelo di Domenica scorsa - non possiamo semplicemente "assistere a tutta la faccenda, senza far danni, restandocene tranquilli tranquilli. "

No. Lui ci chiede di fare, di operare, di dimostrare, di muoverci, di uscire, di metterci in gioco, di rischiare, di andare, camminare, muovere la polvere dai nostri sandali.




19/11/08

Il Vangelo della Domenica - I Talenti.


Mt 25,14-30


Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».


La pagina del Vangelo di questa domenica ripropone una delle parabole più misteriose, più 'difficile', sul cui profondo significato si discute da sempre. Cosa è il talento a cui allude Gesù ? Cosa rappresenta ? Perchè il Padrone della Vigna è così severo ? Perchè non basta custodire il proprio talento e restituirlo intatto come lo si è ricevuto, per salvarsi ? Perchè invece si è condannati a una fine durissima per questo ?

Ciascuno è chiamato a dare una sua interpretazione, ciascuno è chiamato, come sempre a sentire che cosa la Parola di Gesù gli dice, cosa gli chiede.

Quel che a me oggi appare chiaro, dopo averci pensato per molto tempo, è che Gesù Cristo non ci chiede di 'conservare', non ci chiede di 'rinchiuderci', di 'sigillare', di 'mettere al sicuro', di 'nascondere le cose preziose.' Gesù Cristo, sembra dirci l'opposto: nella fede - ma è così anche nella Vita, certamente - è essenziale rischiare, mettersi in gioco, far fruttare, aprirsi.
E' solo così, sembra dirci, che il talento può avere significato e valore. E' solo aprendosi, o meglio AFFIDANDOSI - è questa la parola chiave che Gesù usa - che qualcosa cambia. E cambia per noi in meglio, per sempre.

.

04/11/08

Il Vangelo della Domenica - Le Beatitudini.


Come si può pretendere di commentare le Beatitudini ? E' im-possibile. Si possono soltanto leggere e rileggere. Lasciare che fermentino dentro ognuno di noi, come è sempre stato. Occorrerebbero trattati e trattati, e nemmeno quelli riuscirebbero a dare forma teorica-esegetica alle parole più intense, più straordinarie, che si siano mai udite da orecchio umano su questo mondo.

VANGELO
Mt 5,1-12

In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, salì sulla montagna e, messosi
a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli.
Prendendo allora la
parola, li ammaestrava dicendo:
"Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi, quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo,
diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi
ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli".


.

27/10/08

Il Vangelo della Domenica - Il Comandamento più Grande.



Dal Vangelo secondo Matteo
22,34-40

In quel tempo, i farisei, udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: "Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?".

Gli rispose: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti".

Amare il Signore e Amare il prossimo tuo, ci dice Gesù, piuttosto chiaramente, sono due lati della stessa medaglia. E sono le due regole principali che Egli ci indica, per rispettare la Legge, e dunque entrare nel Suo Regno.

Ma io direi persino di più: secondo quanto Gesù dice non solo sono due facce, ma sembra essere proprio la stessa cosa: Gesù usa infatti il termine 'simile'. Simile, cioè 'uguale'.

E' già l'etimologia stessa della parola a guidarci: Simile deriva dal latino similem, cioè "che ha sembianza di quello che si dice esser simile. " Dunque, a me piace pensare proprio questo, e non mi sembra di illudermi, ma anzi di interpretare fedelmente le parole riportate da Marco: amare Dio, amare il Signore è la stessa cosa, ha cioè la stessa sembianza, che amare il tuo prossimo.

Ed è la stessa cosa proprio perchè l'uomo è - contiene - la stessa impronta di Dio. L'uomo è strettamente legato a Dio, il suo creatore. L'uomo non è un qualsiasi accessorio dell'immensa creazione. L'uomo è lo specchio di Dio nella creazione. E' anche - potremmo dire - lo specchio critico, nel quale Dio valuta la sua creazione.
Da ciò discendono conseguenze importanti: amare il prossimo E' amare il Signore. Odiare il prossimo E' odiare il Signore.

Ma Dio - Gesù - ci chiede di amare tutti ??? Proprio tutti ??? Non possiamo risparmiarci almeno qualcosa, lasciare il nostro umano risentimento per qualcuno che proprio non riusciamo a sopportare, non possiamo perdonarci almeno la nostra invidia, il nostro rancore, la nostra piccola vendetta per qualcuno che proprio la merita ???

La risposta di Gesù è 'No'.

Per questo la legge cristiana non è affatto semplice, ed è il contrario del 'volemose bene' nel quale il cristianesimo purtroppo - e ancora oggi - è stato così spesso annacquato. Volere bene al prossimo significa volere bene a Dio, e amare il prossimo con la mente, con il cuore e con tutta l'anima, significa amare il prossimo tuo come ameresti e come ami te stesso (perchè solo noi stessi, a quanto pare, riusciamo ad amare con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente).

Ma questo non basta per essere alla Sequela di Gesù. Amare se stessi non basta. Bisogna uscire da se stessi, dal proprio centro di (auto) riferimento. E solo così, soltanto in questo unico modo, si va anche verso il Signore-creatore.
.

20/10/08

Il Vangelo della Domenica - La moneta di Cesare.



Mt 22,15-21

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva ridotto al silenzio i sadducei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi.

Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?".

Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: "Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo". Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: "Di chi è questa immagine e l'iscrizione?". Gli risposero: "Di Cesare". Allora disse loro: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio".


E' senza alcun dubbio uno dei passi del Vangelo più citati, più equivocati, più fraintesi, e più strumentalizzati.

Ed è difficile interpretarlo correttamente, secondo me, se non si fa veramente silenzio, e non si lascia sedimentare la Parola, che anche in questo caso ha molto più da dirci, di quanto appaia a prima vista.

La domanda fatta a Gesù è capziosa. E' frutto addirittura di un complotto, ordito da farisei ed erodiani per indurre il Profeta a inciampare, a fare - come diremmo oggi - una 'gaffe' screditante agli occhi dei suoi 'sostenitori'.

La domanda che costoro fanno è se 'pagare il tributo a Cesare sia lecito'. E già qui ci sarebbe da discutere, perchè loro non chiedono se sia 'giusto', ma 'lecito', ed è già una bella differenza.

Gesù, però, non cade nel tranello. Cosa vorrebbero che dicesse ? Che non è 'lecito' ? Che ai Romani, agli esattori, agli amministratori, non è lecito pagare tributo, ma soltanto a Dio ? Questa parola basterebbe a condannarlo a morte, subito.

Ma Gesù non elude la domanda. Dà anzi una risposta che più piena non si potrebbe: "Rendere a Cesare quel che è di Cesare (la sua moneta, la moneta che egli ha coniato, ovvero far restare in ambito mondano tutto ciò che è mondano), e rendere a Dio tutto ciò che è di Dio ( ovvero tutto ciò che non è mondano, cioè effimero, e sul quale Cesare, o chiunque altro Cesare nulla può).

La risposta di Gesù è tutto meno che qualunquista - come qualcuno l'ha interpretata a volte. Non dice: paga le tasse e stai a posto così. Non dice: i soldi sono una cosa, la spiritualità un'altra, e bisogna coltivare tutte e due.

Non dice niente di tutto questo.

Dice di rendere a Cesare, e cioè di far restare in quell'ambito, quelle cose che nella vita servono per vivere. Cioè la stretta materialità. E di dedicare a Dio tutto il resto. La separazione è chiara. Gesù l'ha affermata tante altre volte, in altri passi del Vangelo, non si può servire Dio e Mammona, ed è più facile che un cammello (o una corda) passino nella cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno dei Cieli.

Dio, dice Gesù, è un'altra cosa.

Dio vuole altro.

Non sa che farsene della moneta di Cesare.

E di questo, dovremmo ricordarci tutti.

13/10/08

Il Vangelo della Domenica - L'abito nuziale.


Mt 22,1-14
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, rispondendo Gesù riprese a parlare in parabole ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo e disse: "Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze.

Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo,chi ai propri affari; altri presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.

Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti".


Il Re vuole un grande banchetto per le nozze di Suo figlio. Il re è gioioso, e vuole comunicare la sua gioia. Vuole una grande festa per tutti gli invitati.

Ma gli invitati che lui ha chiamato, non vengono. Rispondono al suo invito nel peggiore dei modi.

E il Re è piuttosto vendicativo. Ripaga quella gentaglia con la stessa moneta: hanno ucciso, li fa uccidere. Hanno distrutto, fa distruggere le loro città.

Ora il Re non fa più distinzioni: non cerca più 'invitati', ma si rivolge a tutti, a chiunque. Fa reclutare gli invitati per la strada, e non fa distinzioni: buoni o cattivi, purchè rispondano all'invito.

Vengono in tanti. Ma non tutti soddisfano quel minimo/massimo che il Re pretende: che almeno indossino l'abito nuziale !

Che significa 'abito nuziale' ? Significa che se si è invitati, e se si decide di andare ad una festa alla quale si è invitati, non vi si può presentare come se si passasse lì per caso. Bisogna 'pre-disporsi', 'pre-pararsi', 'pre-sentarsi.'

Bisogna cioè, fare qualcosa. Non si può solo aspettare passivamente la chiamata e presentarsi al banchetto per mangiare e bere allegramente.

Non sono eletti tutti coloro che sono chiamati. Lo stato di elezione - la partecipazione alla vera festa, nel vero modo - si materializza soltanto se si indossa l'abito giusto, il che vuol dire 'sentire' l'evento, parteciparvi fino in fondo, davvero. Essere nell'abito giusto, vuol dire, nella nostra vita di tutti i giorni, non dare sempre tutto per scontato, ma chiedersi, ogni volta, cosa è giusto, veramente, cosa ci viene richiesto veramente. Per essere parte della festa.

07/10/08

Il Vangelo della Domenica - I vignaioli crudeli.

VANGELO Mt 21,33-43

In quel tempo, Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: "Ascoltate un'altra parabola: C'era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò.

Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono.Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero.

Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?". Gli rispondono: "Farà morire miseramente quei malvagi edarà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo". E Gesù disse loro: "Non avete mai letto nelle Scritture: ''La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri '' ? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare ".


Ciò che più impressiona di questa Parabola - Gesù come al solito sta parlando a noi, proprio a ciascuno di noi - è la crudeltà efferata di questi vignaioli.

Siamo noi ? Siamo noi così ? Siamo noi quegli uomini che bastonano, che uccidono, che lapidano, che cacciano fuori e che uccidono nuovamente per avere l'eredità ?

Sì siamo noi. E' degli uomini su questa terra che sta parlando, Gesù. E per averne conferma, basta leggere le cronache di questi giorni. Sono proprio loro, gli uomini, che bastonano, lapidano, cacciano fuori, uccidono.

E di fronte a questi vignaioli/uomini così duri, così crudeli, anche la bontà di Gesù, la sua venuta per redimere, sembra quasi essere impotente, senza speranza di successo.

Sembra quasi riemergere, anzi, quel Dio severo dell'Antico Testamento che dà pane al pane, e ricambia occhio per occhio. Gli uomini sono crudeli ? Gli verrà tolto il Regno. Sempre che, invece, la Pietra D'Angolo, che è senza alcun dubbio Gesù, la Pietra scartata, offesa e dimenticata, non sia invece utilizzata come base di costruzione di una nuova casa, di un nuovo modo, di un nuovo ascolto. Nuovo. Cioè diverso da tutto quello che gli uomini sembrano prediligere, nella loro quotidiana attività.

E' avvenuto questo nuovo cambio di direzione, di vita, di mentalità, che Gesù in questa parabola ci presenta come un aut-aut ? Sta avvenendo ? E' avvenuto, avviene in ciascuno di noi, ora ?

07/07/08

La Parola di Gesù nei Vangeli e quella di Salomè-Augias.


Incredibile come in alcuni passi del Vangelo si trovino riassunti in poche righe dei veri e propri trattati di Teologia. E' il caso del brano del Vangelo di Matteo proposto dalla Liturgia di ieri.

Gesù, secondo quanto scrive l'Evangelista, in quel tempo, disse: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo edella terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agliintelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, chesono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime.Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero".


Si potrebbe scrivere qualche centinaio di trattati su queste poche e apparentemente semplici parole.


La cosa che qui mi interessa è che anche in questo brano del Vangelo, Gesù il Nazareno si autoproclama il Figlio di Dio: Egli, cioè chiarisce da se stesso, la Sua natura divina. Senza nessun possibile fraintendimento, senza nessuna ambiguità. Sono parole molto chiare: "nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. "


E' il centro del credo cristiano. Ed è il centro di quel grande mistero irrisolvibile con strumenti di indagine scientifica che rappresenta la figura storica di Gesù.

Intorno a questo mistero - io credo - ci vorrebbe molta prudenza. E bisognerebbe sempre evitare 'giudizi tranchant'.

Eppure ecco, ad esempio, quel che leggo proprio oggi in una rubrica di libri del Venerdì di Repubblica. Corrado Augias recensisce 'Gesù L'ebreo', il noto testo di Lou Andreas Salomè (l'amante di Nietzsche) e osservatrice non certo fredda e imparziale del Cristianesimo, e Augias scrive, testualmente:

" Questo saggio del 1896 ha acquistato un valore quasi profetico. Gesù appare come un messia ebraico invasato dall'attesa del Regno, analisi sulla quale gran parte della storiografia moderna oggi concorda. "

Un 'messia ebraico invasato' ???

"Analisi sulla quale gran parte della storiografia moderna oggi concorda ??"

Ma Augias ha scritto il giudizio su 2.000 anni di Cristianesimo, e ha deciso lui che Gesù era solo uno dei tanti profeti esaltati ? E la storiografia moderna che legge Augias comprende anche i molti che si dichiarano convinti che Gesù il Nazareno è vissuto realmente e che si fermano di fronte alla impossibilità di definirne la Natura - umana o divina - non essendovi disponibili testi storici o scientifici incontrovertibili, ma solo evangeli, cioè testi che sono diventati fondamenti di fede ?

14/05/08

Dov'è finita la Bellezza ?



Mi chiedo come sia possibile scandalizzarsi della depressione, della sfiducia e della negatività che si sente in giro.

Mi sembra inevitabile che le persone oggi - specie i più giovani, cioè i più sensibili - siano storditi, irretiti da tutto questo brutto che ci circonda.

Leggo oggi un sito a caso: http://www.corriere.it/ e sulla home page leggo, in rapida sequenza queste notizie, una via l'altra, senza soluzione di continuità:

MASSACRATA A 14 ANNI. "UCCISA PERCHE' INCINTA"

RACHEL, LA PORNO STUDENTESSA CHE DIVIDE LA SORBONA.

NAPOLI, NUOVI INCENDI IN CAMPI ROM.

AUSTRIA, STERMINA LA FAMIGLIA CON L'ACCETTA E POI SI COSTITUISCE.

DALL'ODORE DI CIPOLLA AL PARCHEGGIO - LE LISTE DELLE GUERRE DI CONDOMINIO.

UNA PETIZIONE DEGLI STUDENTI PER LA PROF. NUDA IN COPERTINA.

Mi fermo qui, ma si potrebbe andare avanti 'ad libitum'.

Cosa può produrre di buono un mondo che sembra proporre solo bruttezza ?

"La Bellezza salverà il mondo" scriveva Fedor Dostoevskij. Ma se la Bellezza viene bandita dal mondo, se nessuno ne parla, se nessuno la offre, se nessuno la vende, che fine farà il mondo ?

E poi, cosa è la Bellezza ? Quella Bellezza che sembra abbiamo tutti dimenticato ?

E' forse opportuno ricordare il passo evangelico della Trasfigurazione:


Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: «Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo». (Mt. 17,1-6)

La Bellezza che salva il mondo è questa bellezza semplice, di Pietro che dice: "Signore, è bello per noi restare qui."

E' talmente bello che, come sappiamo, Pietro pensa anche - ingenuamente - di costruire tre tende, che possano ospitare, custodire, quella Bellezza - ahimè non 'costringibile' in un luogo specifico.

Il candore di quella veste è purtroppo latitante, nel nostro mondo.

Eppure, basterebbe così poco, forse, per ritrovarne le tracce luminose.