30/04/15

Londra, 17 anni dopo.




Mancavo da Londra dal 1997

Erano altri tempi, si viaggiava liberi, si viaggiava soli. Ma, diciassette anni dopo ho trovato una città molto cambiata. 

Londra è ormai il Regno dell'Opulenza. 

La ricchezza è esibita senza discrezione. Londra è ormai accessibile - per vivere, ma fra poco anche per viaggiare - solo per i redditi alti o altissimi. 

Il centro della città è stato colonizzato da arabi e russi.  Mai vista una tale concentrazione di auto di lusso. 

Londra, intendiamoci è sempre meravigliosa.  Ma è come se stesse subendo un processo simile a quello di Venezia: una città-museo, un tributo perpetuo alla immutabile tradizione britannica (che si vende così bene nel mondo), però piuttosto svuotato di anima, cioè di vita vera, quotidiana (anche a Venezia la vita vera, quotidiana, esiste ancora, ma è ormai una sparuta minoranza di esseri umani che per necessità e convenienza, oppure per semplice resistenza, vive ancora lì). 

Visitando Londra si capisce anche meglio il fenomeno dei figli di seconda o terza generazione, musulmani, che negli ultimi tempi, hanno lasciato l'Inghilterra - parlando la lingua perfettamente, vestendosi come i ragazzi di Londra, ascoltando la loro musica - per arruolarsi nelle file dell'Isis e andarsi a fare ammazzare o ammazzare in Medio Oriente. 

La frustrazione di appartenere ad una città-nazione (Londra) dove i beni sono accessibili a pochissimi, dove tutto è esibito, ma non disponibile (per questione di redditi, potere economico), dove con poche fermate di Tube si può, provenendo dai più lontani e umili sobborghi, girovagare per Harrod's, una specie di regno di Bengodi, dove però si può vedere e non toccare, dove si è sostanzialmente esclusi, questa frustrazione funziona evidentemente da detonatore (lungi dall'essere un alibi) di rabbie personali, che trovano rifugio al cospetto di ideali di rivendicazione religiosa ed etico-religiosa. 

Insomma, una visita a Londra spiega molto dell'oggi. 

E negli occhi, il colore del magnifico cielo di Londra, azzurro smagliante o grigio-piombo getta diversi semi di inquietudine. 


Fabrizio Falconi  

24/04/15

Apre a Roma un luogo unico, mai visto: la Basilica Sotterranea Neopitagorica di Porta Maggiore.




Sacralità, mistero, magia. Chiusa al pubblico praticamente da sempre, riapre dal 26 aprile a visite guidate dopo una prima fase di restauri a Roma la Basilica Sotterranea di Porta Maggiore, straordinario e delicatissimo monumento pagano del I sec.d.C, forse luogo di culto o forse edificio funerario, comunque senza eguali in tutto il mondo romano con la sua struttura a tre navate con un grande abside, che anticipa le basiliche cristiane, e i raffinati stucchi che raccontano il suicidio di Saffo. 

Scoperta nel 1917, in seguito ad una frana nella soprastante ferrovia, la Basilica, che secondo alcuni studiosi ospitava un culto neopitagorigo, era stata restaurata più volte nel corso del Novecento, in particolare negli anni Cinquanta, quando a spese delle ferrovie era stata costruita anche una cupola in cemento armato per proteggerne la delicata struttura dalle vibrazioni dei treni e dalle infiltrazioni d'acqua, ma era poi rimasta sempre in condizioni critiche. 


Gli ultimi restauri, finanziati con 500 mila euro da Arcus spa, hanno riguardato la statica dell'edificio, le infiltrazioni d'acqua e l'inquinamento biologico. 

E ora i lavori proseguono con i finanziamenti ordinari della soprintendenza. 

Le visite, con prenotazione obbligatoria allo 0639967700, saranno comunque contingentate ( per il momento II e IV domenica del mese) proprio per non alterare il delicatissimo equilibrio della struttura.




23/04/15

"Esseri che attraversano tutte le tempeste." Rilke a Salomé



Che due esseri umani si riconoscano l'un l'altro non è soltanto splendido; ma è della più grande importanza che si incontrino nel momento giusto e che insieme celebrino feste profonde e silenziose in cui crescere nel desiderio per essere uniti contro le tempeste. 

... quando trovano alcuni minuti di respiro nei lunghi, pallidi giorni, si siedono assieme e si raccontano con guance infuocate della notte splendente e odorosa di abete... 
Esseri come questi passano attraverso tutte le tempeste. 

Spegnimi gli occhi: posso vederti
sigillami gli orecchi: posso udirti
e senza piedi ancora posso venire da te
e senza bocca ancora posso implorarti

Spezzami le braccia: col mio cuore
ti stringerò come una mano,
strappami il cuore e il mio cervello pulserà
e pur se getterai nel fuoco il mio cervello
ti porterò nel sangue. 


Rainer Maria Rilke a Lou Andreas Salomé,  Wolfratshausen 5 settembre 1897, domenica


22/04/15

"La morte? Risorgeremo tutti !" - intervista di Piergiorgio Odifreddi a Frank J. Tipler, uno dei più grandi fisici moderni.

La Galassia denominata "Eye of God", o Nebulosa Helix (Elica) si trova a 650 milioni di anni luce dalla Terra.

"La morte ? Risorgeremo tutti. " Intervista di Piergiorgio Odifreddi a Frank Tipler, uno dei più grandi fisici moderni. 

Arrivederci in Paradiso 

Nel 1961 il premio Nobel per la fisica Paul Dirac formalizzò nel postulato della vita eterna un suo desiderio: che la vita continui nell'Universo fino allo scadere del tempo. Visto però che il nostro pianeta è destinato a scomparire piuttosto presto, in senso cosmico, per essere seguito alla breve dall'intero sistema solare, il postulato richiede che la vita continui in altri modi e luoghi: il problema è sapere come e dove. La fantascienza si era sbizzarrita a dare risposte preventive a queste domande, ma la novità è che ora sono gli scienziati a farlo. Il primo ad affrontarle seriamente è stato il noto fisico Freeman Dyson, che in Infinito in ogni direzione' (Rizzoli, 1989) ha divulgato una serie di speculazioni sostenute da effettivi calcoli, basate sulle ipotesi che la vita sia un fenomeno essenzialmente organizzativo, indipendente dal substrato fisico-chimico, e che essa si possa adattare nel tempo a qualsiasi condizione ambientale. Le conclusioni di Dyson sono che la vita non può sopportare un Big Crunch, cioè un'implosione finale simmetrica all'esplosione iniziale del Big Bang. Quindi la sua durata indefinita richiede un universo aperto, infinito nello spazio e nel tempo, e in eterna espansione. In tali condizioni la vita potrà pulsare sempre più lentamente, senza però mai fermarsi, anche se essa sarà costretta a smaterializzarsi progressivamente: trasferendosi, ad esempio, in nuvole di polvere interstellare.

Più recentemente, Frank Tipler ha proposto ne La fisica dell'immortalità (Mondadori,1995) una teoria alternativa: che la vita sia invece incompatibile con un universo aperto, e che la sua sopravvivenza richieda dunque un Big Crunch. L'abbiamo intervistato per sentire direttamente da lui lo sviluppo di questa storia.

D.Che cosa critica, lei, nel modello di Dyson della vita nel futuro remoto?
R. Nel suo modello, che tiene conto della relatività ma non della meccanica quantistica, la vita continua in eterno. Ma solo in una piccola parte dell'universo, che nel frattempo si espande e si raffredda indefinitamente. C'è una contrazione energetica, a fronte di un'espansione spaziale, che rende la vita futura sempre più lenta e noiosa.

D.Che succede, invece, nel suo modello?
R. L'esatto contrario. Una contrazione spaziale, ma un'espansione energetica. Il che significa che tutto sarà più eccitante. Io prevedo che la vita riempirà l'intero universo e ne assumerà il controllo, diventando onnipotente. E che acquisterà sempre maggiori conoscenze, per poter sopravvivere, diventando onnisciente.

D. Suona un po' come fantascienza, e un po' come religione. Che, d'altronde, sono due facce di una stessa medaglia.
R. La vita onnipotente e onnisciente dell'estremo futuro si può effettivamente identificare con Dio. Io ci arrivo in maniera scientifica, ma si può arrivarci anche attraverso la Bibbia. Quando Mosè chiede a Dio quale sia il suo nome, la risposta nell'originale ebraico è: “Io sono colui che sarà''. Dio stesso si definiva come l'estremo futuro.

D. : Io trovo molto sospetto che lei pretenda di procedere scientificamente, e poi trovi concordanze non in una religione generica, ma nella specifica tradizione monoteistica occidentale.
R.: Io invece lo trovo irrilevante. Sono concordanze a posteriori. Se non ci fossero, direi: “tanto peggio per la Bibbia”. L'importante è mettere la fisica al centro, non la religione. Ad esempio, quand'ero studente alla fine degli anni sessanta, il mio professore Steven Weinberg mi diceva che la teoria del Big Bang era sbagliata perché somigliava troppo alla Genesi. Questo era un modo di dare priorità alla religione, invece che alla fisica.

D.: Che ne pensano i teologi delle sue teorie? Per esempio, è stato invitato al Giubileo degli Scienziati?
R.: Certo che no! Io dico cose certe e precise su Dio. Non sono come gli scienziati che vincono il Premio Templeton. Dyson, per esempio, che è agnostico e di Dio non vuole parlare. O Paul Davies, che lo mette nei titoli dei suoi libri ma non all'interno. Io dico chiaramente che Dio è ciò in cui l'universo si evolve, secondo le leggi della fisica.

D. : Dunque Dio non sarebbe l'Alpha, ma l'Omega. Non il Creatore, ma il Terminator. Non dovrebbero però essere la stessa cosa, se leggi della fisica sono invarianti rispetto alla direzione temporale?
R.: Si può pensare che il tempo vada avanti o indietro. È come pensare alla Terra al centro del Sistema solare, oppure come un pianeta attorno al Sole. Dal punto di vista matematico, si tratta solo di un cambiamento del sistema di coordinate. Ma il sistema copernicano è molto più semplice di quello tolemaico, e si capisce molto meglio. La stessa cosa avviene con Dio.

D.: Prima lei ha detto che la vita invaderà l'intero universo. Come potrà farlo? Certo non con organismi come i nostri.
R.: La vita è iniziata da microrganismi, tre miliardi di anni fa, e si è espansa e diversificata. Nessuna specie sopravvive indefinitamente: lo sapeva già Darwin. I nostri discendenti saranno molto diversi da noi. Io li immagino come supercomputer, piuttosto che come organismi. Il DNA non sopravvive alle alte temperature che ci saranno con la contrazione dell'universo, mentre l'informazione può essere codificata in mille modi.

D. : Se la vita del futuro sarà così diversa dalla nostra, perché la cosa dovrebbe interessarci?
R. :Con computer sufficientemente potenti, si potrebbe emulare la vita umana. Nel senso di riprodurla esattamente, in maniera perfetta. I nostri discendenti ci riporteranno in vita con l'emulazione, e non moriremo più. Ecco perché la cosa dovrebbe interessarci.

D.: Questa sarebbe la resurrezione dei morti?
R. : Certo. E possiamo dedurla dalla fisica. Non c'è bisogno della fede.

D. : A me sembra, più che altro, una versione della Realtà Virtuale.
R. : Sarebbe una Realtà Virtuale perfetta, non come quella che abbiamo oggi e che non inganna nessuno.

D. : E se fossimo già ora parte di una Realtà Virtuale? Se quello che lei dice fosse già avvenuto?
R. : Sarebbe un imperativo morale di coloro che ci emulano farcelo sapere, oltre che trattarci bene. E io credo che lo faranno, perché la moralità va di pari passo con la conoscenza. Più gli esseri sono intelligenti e colti, e più sono morali.

21/04/15

"Le lacrime di Nietzsche" di Irvin D. Yalom - Recensione.




E' uno strano romanzo, questo scritto da Irvin D. Yalom nel 1992 e ripubblicato recentemente da Neri Pozza

Friedrich Nietzsche e Josef Breuer non si sono mai incontrati in vita (o almeno non esiste alcuna documentazione in materia), ma Yalom li mette al centro del suo romanzo:  su suggerimento di Lou Salomé, incontrata a Venezia,  il padre della psicanalisi nell'anno chiave 1882, decide di prendere in cura il depresso Nietzsche reduce dalla disillusione amorosa e in procinto di partorire il Zarathustra.

Naturalmente Nietzsche non deve sapere nulla dell'interessamento di Lou. E Breuer mantiene il patto. Ma lentamente, da psicanalista si trasforma in psicanalizzato.  Felicemente sposato alla bella ed algida Mathilda e con tre figli, Breuer poco a poco svela al filosofo interlocutore il suo profondissimo vuoto interiore, l'ossessione erotica per Bertha Pappenheim, la giovane paziente che il professore ha eternato con lo pseudonimo di Anna O.  (il primo caso di psicanalisi universalmente riconosciuto, precursore delle intuizioni freudiane); la voglia di fuggire lontano, dal ruolo e dalle responsabilità. 

Nella evoluzione del racconto, i ruoli si rovesciano ancora: Breuer  risolve apparentemente le sue ossessioni, torna all'ovile, ritrovando slancio nell'amor fati, l'accettazione di ciò che si è scelto (secondo l'accezione Nietzsciana) o di ciò che è accaduto, che è capitato (nella accezione molto più limitata di Breuer); mentre Nietzsche, tradito nella fiducia, può liberamente dar corso alle sue lacrime - trattenute da una vita, per una vita - ed esprimere il grido di disperazione per l'amore intravisto e perduto, per la solitudine accecante che gli permetterà di vagheggiare il suo vertiginoso percorso filosofico, oltre ogni limite. 

Il romanzo di Yalom, che non ha un alto valore letterario, è interessante per l'originalità della trama, che se pure non si basa su circostanze vere, è fondata su cose verosimili. E assai ben documentato. 

Ne viene fuori un doppio ritratto sulla fragilità umana, su quella fragilità che il sentimento amoroso mette a nudo, e che nessuno riesce mai del tutto ad aggirare nella propria vita, per quanti muri possa aver costruito tra se stesso e il mondo. 

Il soggetto amoroso non è soltanto un simulacro, come vorrebbe il Nietzsche raccontato da Yalom, che nasconde e mette in secondo piano le vere voragini esistenziali (la paura della vita e della morte), è qualcosa di molto più concreto che sotto forma di destino interroga anche gli spiriti forti o coloro che si vorrebbero chiamare fuori dal mondo. 

L'elevazione spirituale alla quale questi due esseri umani ambivano, costa dolore e sofferenza. Qualche volta sacrificio. Ma il sacrificio più grande è quello di guardarsi dentro e dopo che lo si è fatto, come scriveva Nietzsche, quello di diventare se stessi

Il che presuppone che un nucleo originario (una ghianda, una essenza o un'anima junghianamente parlando) esiste dall'inizio, esiste da sempre, e solo nell'attraversamento di una vita e nel pieno compimento di essa (attraverso la relazione d'amore) si può individuarlo e incarnarlo, permettergli di non restare recluso nei bassifondi di noi stessi, ma di nascere e fiorire come un bianco loto. 


Fabrizio Falconi 

20/04/15

Cacciari: "Nietzsche non ha nulla a che fare con un volgare ateismo."




Cacciari: «L’ateismo oggi? Volgare e mondano»

"L’affermazione nietzschiana della morte di Dio non è affatto volgarmente ateistica come qualcuno può pensare".
Massimo Cacciari – protagonista di un dibattito con il filosofo francese Rémi Brague – da non credente si è occupato a fondo Dell’inizio e Della cosa ultima, per dirla con il titolo di due suoi volumi ponderosi. E rifiuta con sdegno l’idea che Nietzsche sia uno dei grandi padri dell’odierna negazione di Dio.

Professore, eppure è a lui, spesso in coppia con Heidegger, che tanta parte della cultura che rifiuta il monoteismo cristiano guarda con riconoscenza...

"Un autore come Nietzsche non ha nulla a che spartire con un volgare ateismo. Anche Hegel, che si professava filosofo cristiano, affermava che la proprietà essenziale del monoteismo cristiano consisteva nel pensare la morte di Dio. C’è un modo di pensare questa morte che può essere propriamente cristiano, che anzi costituisce la proprietà specifica del cristianesimo. Tanto meno in Heidegger c’è una posizione di stupido ateismo. Caso mai si può pensare a una critica di Heidegger alla tradizione che pensa Dio in termini ontoteologici, che pensa Dio con la categoria dell’ente sommo e quindi dimentica la differenza tra ente ed essere, la differenza ontologica. Ma è una critica che può benissimo essere intesa come interna alla tradizione monoteistica non solo cristiana, ma anche giudaica e islamica. Perché la critica all’ontoteologia è presente in tutte e tre le grandi correnti del monoteismo abramitico. Quindi bisogna stare molto attenti nel pensare che la filosofia di stampo nietzscheano-heideggeriano significhi l’abbandono della questione di Dio. Anzi, è un affrontamento radicale di tale questione".


Quali sono per lei le vere forme dell’ateismo filosofico contemporaneo?
"La vera forma dell’ateismo, che non ha a che vedere né con Nietzsche né con Heidegger, è la visione per cui, detto in estrema sintesi, noi siamo soltanto un essere nel mondo: noi siamo accasati, addomesticati nel nostro essere mondano. E al di là di questo non c’è nulla, o meglio, c’è il nulla, di cui non bisogna assolutamente avere cura. Questa sì è una posizione ateistica presente in varie correnti del pensiero contemporaneo".

Lei oggi interviene sul rapporto fra il Dio cristiano e le altre religioni. Tanto per stare sull’attualità: come giudica un’alleanza che si propone sempre più spesso, quella tra cristianesimo e liberalismo ateo o immanentista in funzione anti-islamica?

"L’ateismo nei termini che le ho appena detto, moneta corrente al giorno d’oggi, è essenzialmente opposto a ogni possibile versione o declinazione della radice abramitica del monoteismo. Un’alleanza di questo ateismo e di un liberalismo immanentista con il monoteismo cristiano in funzione anti-islamica non può far altro che tradire quella che è l’essenza del cristianesimo. Direi di più: è una totale aberrazione. Un liberalismo di stampo immanentistico condivide con le posizioni genericamente ateistiche l’idea che al di là dell’esserci non c’è nulla. Anzi, che Dio è il nulla. Il che, mi lasci dire, per tornare al punto iniziale, è ben diverso dal dire: Dio è morto".

Tratto da Avvenire, 11 dicembre 2009.

19/04/15

Poesia della domenica - 'Naufragio' di Fabrizio Falconi.




naufragio


un corteo numinoso sparito nei meandri
del mare, una donna
un vecchio uomo convesso, un ragazzo
mille ragazzi, mille coscritti, mille legati

ad una pietra per andare a fondo
disintegrata la carta dei loro cuori
nel macero dell'ultimo giorno
delle trombe dell'Apocalisse,

ecco cosa accade in quel gorgo
osceno: se ne vanno come per il soffio
di un sifone interminabile, le vite
schiacciate, avviluppate come il corpo

di una scolopendra, tutto il male che
non vogliamo mai vedere, tutto il bene
del povero materiale che è l'uomo
distrutto e mai sconfitto

annegato nell'ultimo istante pieno di morte
pieno di vita pieno di mani che si cercano

e non si trovano.




Fabrizio Falconi (inedito) (C)- 2015.

18/04/15

"Non aveva residenza fissa". - Rainer Maria Rilke.



Non aveva residenza fissa.  Così, parlando di se in terza persona, scrive Rainer Maria Rilke. Per il poeta praghese questa frase suona come una affermazione - manifesto, riassumendo una costante nella sua vita e nella sua poetica.

In cui la casa - come scrive Elisabetta Potthof nella prefazione alla edizione italiana del Testamento, - è continuamente ricercata come luogo protetto entro cui placare la propria interiorità.  D'altronde fissarsi definitivamente in una dimora è possibile solo quando si raggiunga un equilibrio interiore. 

Rilke non lo trovò mai, e forse ne aveva anche paura. 

Una vita dunque nomade, errabonda, alla continua ricerca di una specularità interno-esterno, di un esterno nel quale l'interno possa specchiarsi. 

Ecco un elenco (parziale) degli spostamenti e dei luoghi in cui ha vissuto Rilke nei suoi 50 anni quasi precisi di vita.

Praga (fino a 15 anni)
Linz
Schonfeld
Vienna
Monaco di Baviera
Venezia
Wolfratshausen
Firenze
Berlino
San Pietroburgo
Kiev
Poltava
Saratov
Samara
Brema
Parigi
Roma (9 mesi)
Borgeby Gard (Svezia)
Copenhagen
Furuborg
Oberneuland
Berlino
Worpswede
Berlino
Friedelhausen
Parigi
Dresda
Praga
Parigi
Furnes (Belgio)
Ypern
Bruges
Capri (6 mesi)
Napoli
Parigi
Praga
Breslavia
Vienna
Venezia
Capri
Napoli
Roma
Firenze
Parigi
Strasburgo
Colmar
Provenza
Lipsia
Jena
Berlino
Parigi
Oberneuland
Parigi
Algeri
Tunisi
Giza
Luxor
Karnak
Il Cairo
Napoli
Venezia
Parigi
Berlino
Monaco di Baviera
Avallon
Lione
Avignone
Savona
Sanremo
Piacenza
Bologna
Duino
Venezia
Toledo
Cordoba
Siviglia
Ronda
Madrid
Parigi
Foresta Nera
Lipsia
Berlino
Monaco
Parigi
Venezia
Vienna
Monaco
Berlino
Monaco
Zurigo
Nyon
Berna
Losanna
Ginevra
Brissago
Zurigo
Locarno
Schonenberg
Ginevra
Bern
Muzot
Montreux
Parigi
Baveno
Milano
Bad Ragaz
Muzot
Glion
Montreux

Ed ecco invece un elenco (parziale) delle personalità che Rilke ha conosciuto personalmente nella sua vita, e con cui ha avuto rapporti diretti:

Valerie von David-Rhonfeld
Emil Orlik
Hugo Steiner
Arthur Schnitzler
Karl Kraus
Lou-Andreas Salomé
Frieda von Bulow
Heinrich Vogeler
Paula Modersohn-Becker
Clara Westhoff
Gerhard Hauptmann
Stefan George
Oskar Kokoschka
C.J. Burckhardt
Lev Tolstoj
Leonid Pasternak
Paul Trubeckoj
Paula Becker
Auguste Rodin
Sidie Nàdherny
Maksim Gorkij
Rudolf Kassner
Jean Cocteau
Isadora Duncan
Marie von Thurn und Taxis
André Gide
Eleonora Duse
Sigmund Freud
Franz Werfel
Lulu Albert-Lazard
Stefan Zweig
Ferruccio Busoni
Jean Lurcat
Baladine Klassowska
Paul Valery

Fabrizio Falconi

16/04/15

Chi vuole farsi re dei boschi ? Michel Serres


John Robert Cozens, Il lago di Nemi, matita e acquarello, ca. 1777.

Se andate in Italia non mancate di visitare i monti Albani, non lontano da Roma e il lago di Nemi. 

Là le persone istruite vi racconteranno una storia. Accanto a quel luogo si stende un bosco, sacro nell'antichità. 

Un tempo chi attraversava quel bosco si trovava improvvisamente di fronte a un albero terrificante. Intorno ad esso, a ogni ora del giorno e probabilmente fino a notte tarda, si poteva veder strisciare, furtiva, una forma inquietante, una figura allucinatoria.  Un uomo anziano stava là.

Brandiva una spada sguainata, spiava d'attorno, febbrilmente, senza requie, come se aspettasse ogni momento l'assalto di un nemico. 

Quel vecchio in agguato, senza riposo, è il sacerdote del bosco sacro; sacerdote, omicida.  Il nemico che attende, colui di cui diffida, o da cui si guarda senza allentare la vigilanza, è colui che presto o tardi lo ucciderà, colui che gli prenderà il potere, il posto o il sacerdozio.

Una volta anche lui ha conquistato quel posto a quel prezzo.

Tale è la regola del santuario. Ogni candidato deve pugnalare il suo predecessore; allora assume le sue funzioni e le conserva fino a che sarà pugnalato a sua volta da qualcuno più forte, più giovane, più abile, più scaltro.

Durante il suo precario possesso feudale gode del titolo di re dei boschi. Quale testa coronata è stata più di quella visitata da incubi ?

Quel posto, tenuto non per mezzo dell'omicidio, è preso solo per mezzo dell'omicidio, lasciato infine, per mezzo di un omicidio,

Chi è re ? Colui che aspetta di morire di morte violenta.Colui che ha ucciso il re di morte violenta. 




15/04/15

Carl Gustav Jung: Il Tema Astrale.




A partire dal Timeo ( di Platone, ndr) è stato ripetutamente affermato che l'anima è il "rotondo".

In quanto anima mundi essa gira con la ruota dell'universo, il cui fulcro è il polo. Per questo lì si trova il cuore del Mercurio: perché il Mercurio è l'anima mundi. 

L'anima mundi è propriamente il motore del cielo. Alla ruota dell'universo stellato corrisponde l'oroscopo, il Thema Tes Geneseos, ossia quella suddivisione del cielo in dodici case che al momento della nascita viene regolata in modo che la prima casa coincida con l'ascendente.

Il firmamento così suddiviso sembra una ruota che gira, e fu a causa della similitudine fra la ruota e il tornio che l'astronomo Nigidio venne soprannominato Figulus, cioè Vasaio. 

Il Thema (propriamente ciò che viene posto o imposto) è in realtà un Trochos, una ruota.

Il senso fondamentale dell'oroscopo consiste nel fatto che, determinando le posizioni dei pianeti nonché le loro relazioni (aspetti) e assegnando i segni zodiacali ai punti cardinali, esso dà un quadro della costituzione prima psichica e poi fisica dell'individuo.

L'oroscopo dunque rappresenta in sostanza un sistema delle qualità originarie e fondamentali del carattere d'una persona e può essere considerato un equivalente della psiche individuale.


14/04/15

Ogni soglia è per entrare e ogni soglia è per uscire. (Gottfried Benn - 'Venite').






La soglia è aperta, ma non oltrepassarla significa restare muti. In silenzio. 

Ogni soglia è per entrare e ogni soglia è per uscire. Il senso dipende dalla direzione. La direzione è anzi il senso. 

Ogni soglia appartiene a chi la attraversa. E resta estranea a chi resta muto. 

Muti sono i morti, che hanno attraversato la soglia e non hanno più bisogno di attraversarla. La loro lingua serve per altro, là dove sono. 

Venite, parliamo tra noi
chi parla non è morto, 

scrive Gottfried Benn. La soglia è un invito:

Venite, diciamo: gli azzurri,
venite, diciamo: il rosso, 
si ascolta, si tende l'orecchio, si guarda,
chi parla non è morto.

Se resti prima della soglia, la soglia ti irretisce. Ti ipnotizza, non ti è d'aiuto:

solo nel tuo deserto,
nel tuo raccapriccio di sirti,
tu il più solo, non petto,
non dialogo, non donna

e già così presso agli scogli
sai la tua fragile barca -

bisogna credere, venire e perciò muovere l'incanto:

venite, disserrate le labbra, 
chi parla non è morto. 


Fabrizio Falconi (C) riproduzione riservata - 2015
La poesia di Gottfried Benn Venite, è tratta da Aprèslude, prefazione e traduzione di Ferruccio Masini, 1966 Einaudi, Torino. 



13/04/15

Il "Testamento" di Rainer Maria Rilke - Un testo sublime.





L'inverno del 1920-21 Rainer Maria Rilke si rifugia nel castello Schloss-Berg nel cantone di Zurigo. Qui scriverà una nuova elegia (un abbozzo) dedicata all'infanzia (e contenuta ne L'Illustrazione Italiana n.13) e questo Testamento, testo durissimo e veramente sconvolgente, sorta di purificazione interiore (ed esteriore, tramite silenzio ed isolamento) dai rapporti e dalle relazioni per ritrovare il vigore di una parola assoluta.

Raggiunge i vertici la sperimentazione linguistica del taccuino bruciato, simile alle astrazioni junghiane associative - un testo misterioso e affascinante, come tutto Rilke.

Basti questa singola pagina, (67 della edizione italiana TEA con la traduzione di Claudio Groff, Ugo Guanda Editore, 1983):

L'ascesi non rappresenta certo una soluzione; è sensualità di segno negativo. Può tornare utile al santo, come supporto ausiliario; nel punto di intersezione delle sue rinunce, egli scopre quel dio del contrasto, quel dio dell'invisibile che ancora non ha posto mano alla creazione.

Ma chi è impegnato nei sensi, chi deve considerare pura l'apparizione e autentica la forma, come potrebbe iniziare con la rinuncia !  E seppure questa gli si rivelasse in un primo momento utile e vantaggiosa, per lui rimarrebbe inganno, stratagemma, raggiro -, e infine si vendicherebbe in un qualche punto del suo arco creativo sotto forma di durezza, aridità, inammissibilità, viltà del frutto. 




10/04/15

Decalogo per vivere bene.




I. Combattere la propria ignoranza. (Quella degli altri non si può combattere; al massimo si può mettere in crisi inoculando un po' della propria saggezza faticosamente conquistata).

II. Non trasgredire mai quando è di moda farlo, ma soltanto quando è necessario.

III. Non dimenticare mai i morti,  ricordarsi sempre che i morti vivono con noi, attraverso di noi e sono felici quando siamo felici noi e quando parliamo di loro.

IV. Essere sempre generosi, dare sempre tutto se stesso agli altri, anche quando si riceve indietro il contrario di quel che si vorrebbe.

V. Non coltivare mai la cultura del nulla.  La vita è un seme prezioso pieno di potenzialità e merita sempre rispetto.

VI. Non credersi mai maestri di se stessi.  I maestri sono pochi e vanno cercati sempre e con fatica, rifuggendo la quelli che non hanno mai niente di nuovo e di bello da insegnare.

VII. Imparare a riconoscere e (con tutta la fatica che serve in una vita) accettare le proprie zone d'ombra.

VIII. Imparare ad amare prima che sia troppo tardi.

IX.  Coltivare sempre ogni passione, e non divenire mai schiavo di nessuna passione.

X. Non perdere mai la fiducia e la speranza nel futuro, anche quando l'orizzonte si fa nero.



Fabrizio Falconi -(C) riproduzione riservata.

09/04/15

Chi perde ha ragione.




Fabrizio era nell'anno 1977.  C'erano fuochi e c'erano spari. Da chi si diceva convinto e tutto sommato vittorioso, anche nella perdita.

Salito sull'autobus, Fabrizio quel giorno incontrò una ragazza che conosceva appena.  Le piaceva, si erano scambiati sguardi nelle pause della settimana autogestita.  Ma si erano parlati poco.

La ragazza quella mattina aveva il volto bianco e spaventato. 

Nella calca dell'autobus - piattaforma dell'ingresso, bigliettaio assonato - aveva detto a Fabrizio: 'sono nei guai'.  

'Io aiuto, io sono colui che aiuta.' Lei lo vedeva nel suo sguardo. Si avvicinò sfiorando il corpo di Fabrizio, abbassò lo sguardo sulla sua borsa, divaricandone i bordi con la punta delle dita, di quel tanto che bastò a svelare la canna di una pistola. 

Fabrizio si guardò intorno. Era pazza ?  'un litigio, non so che fare...'     L'avrebbero fermata, l'avrebbero perquisita, l'avrebbero arrestata.  Non erano i tempi giusti per fare quello. 

'Ti aiuto, io sono colui che aiuta'. 

Fabrizio escogitò il sistema, la via di fuga, la risoluzione: scesero dall'autobus,  si inerpicarono per la collina. Nel freddo sereno dell'inverno, in pieno sole, Fabrizio scavò a mani nude nel terreno. Guardandosi intorno come animali spaventati, seppellirono la pistola. 

Poteva essere l'arma fatale, arma colpevole, arma scottante.  Poteva essere l'arma di un vincitore o di un perdente.

Lei sorrise: 'abbiamo vinto'. 

Grazie. 

Hai vinto, ma non hai ragione. La ragione è come sempre, di chi ha perso.


Fabrizio Falconi (C) riproduzione riservata - 2015


07/04/15

Sub specie aeternitatis (di F.Falconi) - Una nota di Maria Modesti.

una nota di Maria Modesti su  Sub specie aeternitatis di Fabrizio Falconi



La sequenza delle poesie, divise in due parti ben distinte, Candoblè e Sub specie aeternitatis, rivela una progressiva padronanza stilistica nel verso libero che piano piano si distende, prendendo anima e voce.
Si passa così da immagini evocative “sostieni i vestiti di calce / offri ancoraggi idonei / dopo lente attese d’alto mare / et libera nos a malo “ (pag.10), immagini che riassumono, insieme ai versi successivi – “pallidi evasi / coscritti / destini derelitti, / dispersi dannati poveri cristi (pag.14) e naufraghi affamati esausti…”. (pag.15) – la condizione oggettiva, reale dell’uomo moderno, con le sue angosce, contraddizioni, vuoto e solitudine, senza, però, rinunciare all’anelito verso l’assoluto, a quella “sotto specie dell’eternità” dove l’individuo – libero non sono (pag. 28) - , ossia il poeta, mette in gioco se stesso in quella strana “caccia alla volpe” che “è la vita”(pag.28).  Scrive, infatti, Falconi - “Sono io / invece / l’oggetto, / l’artefice. / Ogni giorno distruggo / il mio pezzo di creato, / lo metto in conto / e ricomincio daccapo “ (pag.47) -.
 E’ l’io del poeta ad essere in discussione, a misurarsi e confrontarsi con gli altri, i vivi e gli assenti, cercando nel destino di ognuno, nella sua traccia o memoria, “un chiaro segno di riconoscimento”
E all’orizzonte c’è un sorriso, c’è un passaggio di luce, c’è un ramo argenteo, c’è una nube bianca che si srotola dai monti.
Si percepisce il senso della vita accanto a quello della morte, della luce accanto all’ombra.
Il messaggio che emerge è quello di una semplicità naturale come il vento, le foglie, il bosco e la neve che appesantisce “i rami / di vita nascosta, in nuce, / non visibile / ma reale” (pag.52).
Contaminazione, quindi, tra vari elementi nel tempo, nelle stagioni che si succedono “i giorni lunghi di novembre  in quella “conta degli assenti” (pag.53) che rimanda alla memoria, ai morti.
Più esplicito il riferimento è nel verso Voci di cose, separazioni” dove palpabile è il passaggio all’eternità, ad un assoluto (aria, cielo) che trascende e che pure è vivo, concreto nello sguardo della donna amata, sguardo che concede, tuttavia, una forza “che era celeste” (pag.60), prima che tutto si dissolva, definitivamente, nel momento del “passaggio”, del buio - sospeso nell’attesa di essere “interamente illuminato”.


Maria Modesti

06/04/15

E' morto Desmond O' Grady - Un ricordo.

Desmond O' Grady

Nessuno ne ha parlato in Italia, ma qualche tempo fa (agosto 2014) è morto Desmond O' Grady uno dei più grandi poeti contemporanei, che ho conosciuto qualche estate fa. 

O' Grady, nato in Irlanda, a Limerick il 27 agosto 1935, ha attraversato da outsider il Novecento, entrando in contatto con le più grandi personalità del secolo, da Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir a Picasso, da Samuel Becket a Ezra Pound, di cui fu amico intimo per lungo tempo. 

Desmond O' Grady ed Ezra Pound a Spoleto nel 1966

Desmond O'Grady (in camicia bianca e cravatta) vicino ad Ezra Pound e insieme ad altri poeti, Spoleto 1965. 


Desmond O'Grady decise di seguire la sua strada poetica a 15 anni e la seguì ignorando tutto, era un uomo fuori dalla mentalità della sua Irlanda, un "estraneo". Come la sua poesia era cittadino del mondo, nel senso abusato di questo termine. 

Irregolare ed errabondo, visse per diverso tempo a Roma, dove finì anche nel cast felliniano de La Dolce Vita, dove in una scena memorabile (a casa dell'intellettuale Steiner)  interpreta praticamente se stesso. Eccola : 




Al termine delle sue peregrinazioni ha fatto ritorno nella sua Irlanda, dove è morto.  Il suo collega Séamus Heaney, premio Nobel per la Letteratura nel 1995, lo ha definito "... una delle principali figure del mondo letterario Irlandese". 

Era membro di Irelands Aosdana, l'Organizzazione Irlandese degli Artisti. 

Ha pubblicato oltre 40 libri di poesia. Desmond O'Grady è uno di quei valorosi scrittori irlandesi che hanno fatto la rivoluzione con la penna cercando una rivincita storica e culturale per i suoi simili. 

E' indimenticabile, per me, il ricordo di una sera d'estate di alcuni fa (doveva essere il 1999) al Ristorante La capanna del negro (che oggi si chiama molto più prosaicamente Il vecchio Tevere), a Porta Portese, uno dei ristoranti preferiti di Pasolini, che affaccia sull'ansa del fiume di fronte a Testaccio. 

O'Grady, accompagnandosi con il solito vino a profusione, recitò per noi, in inglese, una delle sue poesie più grandi.  Questa, che riporto nella sua traduzione italiana e nella sua versione originale: 

E, sottratti all'agonia della luce,
lasciandoci dietro tutta la distruzione passata,
stendiamoci ancora sul vecchio letto
solido sotto il tetto d'alghe e bambù,
aprendo l'un l'altro bianche braccia felici.

Poi lascia che ti racconti tutta quella storia,
l'arte di sopravvivere nella lotta quotidiana:
i colpi dati, le percosse ricevute,
di anni vagabondi di vincite e di perdite
cercando di non diventare un distruttore.

Mentre veglio su di te, lascia cadere i lunghi capelli
che siano d'ombra alle tue spalle prima del sonno,
perché tutto questo luogo si romperà
e andrà in pezzi se ti dovessi assentare.

Desmond O'Grady - da 'Pillow Talk'. 

And, out of the light's agony
leaving behind all past destruction,
let us lie down again on that old bed
steadfast under the bamboo and seaweed ceiling, 
opening glad white arms to one another.

Then let me tell you all that story
That's the skill of survival in the daily struggle:
the blow's given, the beatings taken, 
of wandering for years and of wins and losses
in the search not to end a destroyer.

While I watch over you, let down your long hair
to shadow your shoulders before sleep
for all this place shall break
and fall apart should you go absent. 



Un grande poeta, Desmond O' Grady, un sognatore romantico (o post-romantico), un irregolare vissuto come si dovrebbe vivere.  Rischiando il cuore ogni volta, cercando soltanto di diventare (come diceva Nietzsche) quello che si è. 




Fabrizio Falconi (C) riproduzione riservata 2015

05/04/15

Poesia della domenica - 'Ruga' di F. Falconi.





Ruga



La piega amara formata sul volto
non l’hanno fatta gli anni, i punti e le virgole
le prudenze miserabili, i fuochi disperati
i balli fino all’alba, le misericordie
i crimini tentati, l’alacre monumento costruito
a te stesso, curvo
sul traguardo, le linee hanno preso corpo
si sono divise e demarcate come il ramo
stentato di un ciliegio
il rosso s’è sparso, la quiete in un giorno
dissolta
come l’acqua che prima c’era
le rane di notte
i pomeriggi senza requie, sudore inutile
cerchio di cose che contano
i nomi di quelli che restano,
tutto me stesso, l’amore al settimo
cielo, allontanati da me curami distraimi
rendimi pane che precipita dalla scarpata
rendimi pioggia che non s’intride
ai tessuti
rendimi pieno di attesa eterna
scevra di rancore.



Fabrizio Falconi (C) riproduzione riservata- aprile 2015

04/04/15

'Gita al faro' di Virginia Woolf - Il tutto e il niente che è la vita.



Che cosa è la letteratura bisognerebbe domandarlo allo spirito di Virginia Woolf.

Questa è letteratura pura al cento per cento, cioè arte, cioè riempimento della vita attraverso il senso doloroso e vivo della verità e della bellezza che è l'esistenza.

In questo meraviglioso romanzo non succede nulla. Eppure succede tutto.

Tutto questo nulla è riempito, attraversato dal tutto che è la sensibile passione di una vita, fatta di assenza e di memoria, di lutto, di sacrificio e creazione artistica.

Un libro prodigioso e grandioso che ricrea la realtà viva a partire da un semplice essere del pensiero.

Straordinaria, per efficacia, chiarezza e intensità, prefazione di Nadia Fusini.




Fabrizio Falconi (C) -  riproduzione riservata 2015.

03/04/15

La matematica è magica. Un gioco per voi.






Ci sono cose della matematica che stupiscono i profani come me. E fanno intendere come mai a questa sapienza è stata, per molti secoli nel passato, associata una proprietà quasi magica o esoterica.

Il gioco è questo. Seguite questi semplici steps.

1. Pensa a due numeri inferiori a 10.

2. Prendine uno dei due e aggiungi 1.

3. Moltiplica il risultato per 5.

4. Aggiungi ancora 1.

5. Raddoppia il risultato.

6. Sottrai 1.

7. Aggiungi ora il secondo numero pensato.

9. Aggiungi 2.

10. Raddoppia il risultato.

11. Sottrai 8.

12. Dividi per 2.

13. Dimmi il tuo risultato.

14. Sottrai 9.


Le cifre che compongono il numero ottenuto sono i due numeri che avevi pensato. 

Stupefacente, no ?

Fabrizio Falconi


01/04/15

Pier Francesco Paolini - Via Baccina. Un ricordo.





Ho conosciuto Pierfrancesco Paolini parecchi anni fa.

E soltanto casualmente ho saputo da Carlo Bordini - durante la commemorazione per Luigi Attardi tenuta alla casa editrice Empiria - che Paolini che era morto pochi giorni prima. 

Mi sono immediatamente ricordato di quel giorno in cui viaggiammo insieme in pullman fino a Celano, dove si inaugurava una esposizione d'arte contemporanea alla quale eravamo entrambi invitati. 

Familiarizzammo subito. Stimavo Paolini ben prima di conoscerlo personalmente: da sempre leggevo il suo nome stampigliato sui libri Mondadori o Rizzoli nelle traduzioni dei romanzi di Saul Bellow, che furono il mio innamoramento per la letteratura contemporanea (dei classici mi ero innamorato molto molto tempo prima). 

Paolini era un grande traduttore (in molte case di italiani esiste una copia del Gabbiano Jonathan Livingston, di Richard Bach, uno dei tanti libri tradotti da lui, ma il suo catalogo è veramente sterminato). 

Ma Paolini era anche un fine letterato. Diceva sempre: 'si traduce per vivere, si scrive per esistere'.

Bordini ha raccontato una tristissima parabola finale, come accade spesso in questo paese che non ha nessuna considerazione per i suoi intellettuali creativi: pare che Paolini sia morto in totale povertà. 

Il che risulta veramente inaccettabile per uno come lui.   Sugli scaffali di Empiria ho trovato questa poesia vitale, bellissima, piena di vita...,,  Via Baccina, che voglio lasciare qui ad esempio della bellezza dell'anima di Pierfrancesco.  


Via Baccina

Quando mi viene voglia di morire
prendo la metro e vado in Via Baccina.
è una via solitaria in un quartiere
vivace – strada quasi d’altri tempi.
Nel cuore storico di Roma antica
è una via malinconica, inromana,
ben lontana – diresti – dal vicino
frastuono dei motori e la notturna
allegria, spensierata e spendereccia,
delle Vie de’ Serpenti e del Boschetto,
di Madonna dei Monti, Via Leonina,
Via dei Zingari, Via dell’Angeletto.
Non ci trovi neppure un’osteria
in Via Baccina mia. C’è la bottega
(ma non è solo questo che mi strega)
d’un falegname antico che, ancora,
diresti che lavora legni rari,
ai tempi rei degli empi truciolati,
per fabbricare scrigni e stipi varii.
Ci sono negozietti di paese
dove la vecchierella va a comprare
“Mezz’etto, sor Novè, di mortadella”
ma puoi trovare prelibati
cibi e sapori ormai dimenticati,
tartufi, ed i fegatelli del vero
maiale – quello nero. C’è l’oscuro
portone sempre chiuso d’un ospizio
dove immagini ch’abbiano ricetto
principesse e marchesi immiseriti.
Simile a un antro, ad una catacomba,
c’è un Circolo Sportivo dove annosi
tifosi di Mazzola e di Piola,
al lume – sembrerebbe – di candela,
portano avanti una disperata
partita di tressette o di scopone
e rimembrano quella di pallone
dell’Italia che batte l’Inghilterra
nel Mille-novecento-trenta-quattro.
Poco più oltre ha la sede l’Empirìa,
la piccola casa Editrice che ha stampato
tanti libri di buona narrativa
e di incontaminata poesia.
Giunto in fondo alla via – mi soffermai.
Ed alzo gli occhi verso una soffitta
che il titolo ha, per me, di nostalgia.
Nel Mille-novecento-cinquantuno,
lì trascorremmo la breve stagione
del nostro amore eterno, io e la bella
donna che in terra ebbe nome Nicella:
Fenice Codispoti in Polverari,
polvere ormai da trentacinque anni.
Dentro di me, una voce ripeteva:
A thing of beauty is a joy forever.
E così sia.
Ricordo che, al risveglio, quel mattino
– lei dorme ancora – le depositai,
quasi a sigillo di una gioia estatica,
un bacio mordicchioso su una natica.
              Al termine di questa passeggiata
              la voglia di morire m’è passata.

(Pubblicata da Empirìa)